CGUE: sentenza su status di ‘lavoratore’ e rinuncia al lavoro per gravidanza

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Con la sentenza nella causa Jessy Saint Prix c. Secretary of State for Work and Pensions UK (C- 501/12) del 19 giugno 2014, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha statuito che la cittadina di altro Stato membro UE che smetta di lavorare o di cercare un impiego a causa delle limitazioni fisiche collegate alle ultime fasi della gravidanza e nel periodo successivo al parto, conserva la qualità di “lavoratore” ai sensi dell’art. 45 del TFUE e dunque la parità di trattamento con i cittadini nazionali anche nella materia delle prestazioni di assistenza sociale, purchè essa riprenda il suo lavoro o trovi un altro impiego entro un ragionevole tempo dopo la nascita del figlio.
La causa dinanzi alla Corte di Giustizia europea aveva preso avvio a seguito del rinvio pregiudiziale avviato dalla Corte Suprema inglese in merito al diniego opposto dall’autorità competente inglese a concedere ad una cittadina francese residente nel Regno Unito un’indennità integrativa di reddito prevista dal diritto interno inglese a favore delle donne incinte, ma limitata per le cittadine UE esclusivamente a quelle che siano lavoratrici subordinate o autonome o che, sebbene disoccupate, conservino lo status di ‘lavoratore UE’ ai sensi dell’art. 7 c. 3 lett. a) o b) della direttiva 2004/38 in quanto siano inabili al lavoro a seguito di malattia o infortunio ovvero abbiano esercitato un’attività lavorativa per oltre un anno e siano registrate presso gli uffici dell’impiego.
Nella sua sentenza, la Corte considera che una donna nella situazione della sig.ra Saint Prix può conservare lo status di «lavoratore». A sostegno del proprio ragionamento, la Corte ricorda che un cittadino dell’Unione che non svolga più attività lavorativa può tuttavia conservare la qualità di lavoratore in taluni casi particolari (inabilità temporanea al lavoro, disoccupazione involontaria o, ancora, formazione professionale). La Corte rileva che la direttiva sul diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione non elenca in maniera esaustiva le circostanze nelle quali un lavoratore migrante può, nonostante la perdita del suo impiego, continuare a beneficiare dello status di lavoratore. In ogni caso, la direttiva, che mira espressamente ad agevolare l’esercizio del diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, non può, di per sé, limitare la portata della nozione di lavoratore ai sensi del TFUE. Orbene, dalla giurisprudenza della Corte risulta che la qualifica di lavoratore ai sensi del TFUE, nonché i diritti derivanti da un siffatto status, non dipendono necessariamente dall’esistenza o dalla prosecuzione effettiva di un rapporto di lavoro e la situazione deve essere considerata alla luce della tutela particolare che il diritto dell’Unione garantisce alle donne in caso di maternità.

CGUE, sentenza 19 giugno 2014 (causa C-507/12)

Il comunicato stampa della Corte di Giustizia dell’Unione europea

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