Il Bangladesh non è un paese sicuro! Il governo lo escluda dall’elenco dei paesi di origine sicuri

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Le organizzazioni chiedono al governo italiano di escludere il Bangladesh dall’elenco dei Paesi di origine sicuri, citando le recenti repressioni violente delle manifestazioni studentesche, gravi violazioni dei diritti umani, e crisi climatiche. In Bangladesh, come in Egitto e Tunisia, i diritti umani restano violati in modo diffuso, come riconosciuto dalla giurisprudenza.

Il 7 maggio 2024, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, di concerto con il Ministero dell’Interno e il Ministero della Giustizia, ha emanato un decreto che aggiorna e amplia l’elenco dei Paesi di origine sicuri per i richiedenti protezione internazionale includendo altri sei Paese: Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka.

Alle preoccupazioni e alle richieste di revisione della lista dei Paesi sicuri già formulate in particolare per Egitto e Tunisia, si aggiungono oggi quelle per il Bangladesh.

In generale l’inserimento del Bangladesh nell’elenco emanato nel 2024 sulla base della scheda elaborata dal Ministero degli affari esteri allegata al Decreto  è apparso fin dall’inizio viziato da illegittimità o eccesso di potere:

  1. nella scheda all’inizio si illustra a lungo la pressione migratoria dal Bangladesh verso l’Italia, il che è estraneo agli elementi che devono essere valutati ai fini della definizione di Paese di origine sicuro, ai sensi dell’art. 2-bis d. lgs. n. 25/2008
  2. nella scheda si riferiscono corruzione, violazioni diffuse di diritti fondamentali, violenze diffuse, conflitti locali, esecuzioni capitali, anche se non si considera il rapporto sulla libertà religiosa 2023 di ACS che riferisce precisi elementi circa la grave situazione di discriminazioni e violenze di tipo religioso. La dichiarazione di paese di origine sicuro prevede per il Bangladesh  una serie vasta di eccezioni (LGBTQI+, vittime di violenza di genere, incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, persone accusate di crimini di natura politica, condannati a morte, sfollati “climatici”) che finiscono per contraddire la stessa decisione di inserire il Bangladesh nell’elenco dei Paesi sicuri, la quale è di fatto fondata soprattutto su un motivo non compreso dalle norme legislative tra i fattori da considerare a tali fini nell’art. 2-bis d. lgs. n. 25/2008, cioè la pressione migratoria verso l’Italia. 

Le organizzazioni firmatarie ricordano come in base alla Direttiva 2013/32/UE un Paese di origine di un richiedente asilo può essere considerato sicuro solo se “si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante né pericolo dovuto a violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

Già con la propria risoluzione n. 2023 del 14.09.2023 il Parlamento Europeo evidenziava come la situazione nel Paese asiatico si fosse “gravemente deteriorata, anche per quanto riguarda le esecuzioni extragiudiziali, le sparizioni forzate, la libertà di espressione e i diritti dei lavoratori”. La dichiarazione dell’Alto rappresentante dell’Unione europea sulle elezioni parlamentari svoltesi in Bangladesh e resa nel gennaio 2024 ha confermato le diffuse violazioni ai diritti umani e la violazione delle regole democratiche elementari che hanno indotto quasi tutti i partiti a boicottarle e hanno portato ad irregolarità e ad arresti diffusi.

Secondo Amnesty International Il governo ha intensificato la repressione dei diritti alla libertà di espressione e di riunione pacifica in vista delle elezioni generali previste per gennaio 2024. Le autorità hanno utilizzato i poteri della legge sulla sicurezza digitale e di altre leggi per colpire giornalisti e difensori dei diritti umani, sottoponendoli a detenzioni arbitrarie e torture. Si è registrato un preoccupante aumento delle sparizioni forzate e la mancanza di responsabilità per le morti in carcere”.

Nelle ultime settimane le proteste degli studenti Bangladesh contro il sistema che riserva una quota elevata di assunzioni nella pubblica amministrazione ai reduci della guerra di indipendenza del 1971 sono state represse nel sangue dalle forze dell’ordine e dai militanti della Lega Awami della premier Sheikh Hasina.  

L’Alto Commissario dell’ONU per i diritti umani ha affermato che misure brusche adottate dal Governo durante le proteste, come lo spegnimento intenzionale di Internet per un periodo prolungato, sono in contrasto con il diritto internazionale. 

Sebbene il 21 luglio la Corte Suprema del Bangladesh abbia parzialmente rivisto il sistema delle quote, le manifestazioni sono continuate con ulteriori richieste di riforma del sistema; la repressione violenta delle proteste è proseguita, determinando un peggioramento del già tragico bilancio delle persone decedute, che ad oggi sarebbero oltre 200, ed arrestate.

La grave crisi che attraversa il Bangladesh è esacerbata dai cambiamenti climatici che colpiscono il Paese. Il Bangladesh è al settimo posto tra i paesi che, negli ultimi anni, hanno subito maggiormente l’impatto del cambiamento climatico.  La vulnerabilità climatica ha impatti drammatici sulla produzione agricola e sull’economia e secondo le stime dell’Internal Displacement Monitoring Centre, nel solo 2022 oltre 7 milioni di bangladesi hanno dovuto spostarsi all’interno dei confini nazionali in ragione di eventi naturali disastrosi.

Le condizioni generali del Paese costringono ogni anno migliaia di persone ad emigrare innescando meccanismi debitori che favoriscono la tratta delle persone, come denunciato anche dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e della prevenzione del crimine. La vulnerabilità dei richiedenti asilo provenienti dal Bangladesh, la loro esposizione a fenomeni di tratta e di re-traffiking sono stati più volte valorizzati dalla giurisprudenza ai fini del riconoscimento non solo di forme di protezione complementare ma anche della protezione internazionale.

L’applicazione di procedure accelerate di frontiera potrebbe inoltre determinare il trasferimento dei richiedenti asilo provenienti da Paesi sicuri, quindi anche dal Bangladesh, nei centri di trattamento extraterritoriali in Albania, con applicazione di procedure di valutazione rapide, prive di adeguate garanzie, nelle quali il richiedente asilo del Bangladesh non avrebbe la possibilità di far valere il proprio specifico profilo di vulnerabilità ai fini del riconoscimento di una forma di protezione, alternativa al rimpatrio.

Per le ragioni sopra indicate, le organizzazioni firmatarie

CHIEDONO

  1. che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, insieme al Ministero dell’Interno e al Ministero della Giustizia, RIVEDA  l’elenco dei Paesi d’origine sicuri escludendo da esso il Bangladesh, oltre ad altri Paesi, come l’Egitto e la Tunisia,  nei quali i diritti umani restano violati in modo diffuso, come riconosciuto dalla giurisprudenza.
  2. che, nel contempo, la Commissione europea valuti se la procedura italiana per la designazione di un “Paese di origine sicuro” sia conforme al diritto dell’UE, anche per quanto riguarda i criteri adottati e la gamma di informazioni rilevanti prese in considerazione. 

Organizzazioni firmatarie

A Buon Diritto Onlus APS
ActionAid Italia ETS
Amnesty International Italia
ARCI
ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione
CIES ONLUS
Cnca
Europasilo – Rete Nazionale per il Diritto d’Asilo
FONDAZIONE MIGRANTES
International Rescue Committee Italia
Italiani Senza Cittadinanza
Melting Pot Europa
Mes·dhe
RECOSOL
Refugees Welcome Italia
ADIF (Associazione diritti e frontiere)
Carovane Migranti
Mediterranea Saving Humans

Foto di Austin Curtis su Unsplash

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