Corte d’appello di Catanzaro, sentenza del 31 marzo 2014, n. 46

La Corte di Appello di Catanzaro ha riconosciuto  lo status di rifugiato ad un cittadino nigeriano, annullando  l’erroneo orientamento giurisprudenziale del Tribunale di primo grado sulla base del principio più volte ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione rispetto al mancato recepimento da parte del Decreto legislativo n. 251/2007 dell’art. 8 della Direttiva 2004/83/CE .

Il Giudice di primo grado non aveva tenuto conto della situazione politico sociale dello stato di provenienza e della situazione vissuta dal ricorrente. Evidenziava in particolare il ricorrente di essere stato oggetto di persecuzione e di aver comprovato le ragioni delle fuga attraverso la produzione di un articolo di giornale. Aggiungeva che avrebbe dovuto essergli riconosciuta la protezione sussidiaria, in applicazione del D. Lgs 51/2007, o, quantomeno, la protezione umanitaria ai sensi dell’art. 5, co. 6 del D. Lgs 286/1998.

Nel caso di specie il ricorrente aveva impugnato, dinanzi al Tribunale di Catanzaro, accolto il ricorso di un cittadino nigeriano avverso la decisione resa dalla Commissione Territoriale di Crotone in data 6.5.10 , con la quale veniva respinta la rivalutazione dell’istanza volta ad ottenere la protezione internazionale, riconoscendogli

Il ricorrente denunciava l’insufficienza e/o genericità delle motivazioni della decisione della Commissione e chiedeva che l’adito Tribunale riconoscesse i presupposti di fatto e di diritto per il riconoscimento dello status di rifugiato politico, o, in subordine, riconoscesse la protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs 125/07, oppure il permesso di soggiorno per motivi umanitari, ai sensi dell’art. 5 comma 6 del D. Lgs 286/2008.

La Corte di Appello  ha dichiarato fondato l’appello ed ha evidenziato che, come aveva già evidenziato il Tribunale, lo straniero che può aspirare alla concessione dello status di rifugiato è “colui che per il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per una opinione politica, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e non può o non vuole avvalersi della protezione del paese di cui ha la cittadinanza” ; inoltre, “l’atto di persecuzione, per essere rilevante ai fini della concessione dello status di rifugiato, deve provenire da un organo dello stato di provenienza del richiedente, ovvero da partiti o da qualsiasi altra organizzazione, anche non statale, ed anche di matrice internazionale, che abbiano il controllo dello stato o anche di una parte consistente del suo territorio e deve essere idoneo a ledere diritti umani fondamentali”.

La Corte d’Appello di Catanzaro ha affermato che la vicenda narrata dal ricorrente rientra nelle ipotesi sopra esposte: nel caso di specie il ricorrente aveva affermato di essere stato vittima di persecuzioni per ragioni attinenti alla religione cristiana pentecostale. Aveva narrato di provenire da Jos, Stato nel quale vi erano e vi sono conflitti fra cristiani e musulmani. In particolare, ha riferito che i musulmani avrebbero attaccato la sua famiglia, e ucciso uno zio e un nipote.

La Corte d’Appello ha ricordato che il D.Lgs n. 251/2007 non ha recepito l’art. 8 della Direttiva 2004/83/CE , con la conseguenza che non può essere escluso il riconoscimento di una misura di protezione internazionale in virtù dell’applicazione di un principio non recepito. La Suprema Corte di Cassazione ha, invero, più volte ribadito il principio secondo cui: “in tema di protezione internazionale dello straniero, il riconoscimento del diritto ad ottenere lo status di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, atteso che tale condizione, contenuta nell’art.8 della Direttiva 2004/83/CE, non e’ stata disposta nel D.lgs 251/2007, essendo una facoltà rimessa agli Stati membri inserirla nell’atto normativo di attuazione della Direttiva”( Cfr per tutte Cass. 13172/2013, 20646/2012).

Si ringraziano gli avv.ti Tonino Barberio(socio ASGI) e Michele Gigliotti.