ASGI al Parlamento : ecco la road map per un sistema asilo che rispetta le direttive europee

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L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) ha inviato una proposta di parere  ai parlamentari delle Commissioni parlamentari che stanno esaminando lo schema di decreto legislativo integrativo e correttivo delle norme di attuazione delle direttive UE in materia di accoglienza dei richiedenti asilo e di procedure di esame delle domande presentato dal Governo .

L’ASGI chiede ai Parlamentari di approvare tali proposte perché importanti sia sotto il profilo giuridico e sia come “impatto” sulla vita delle persone,  “indispensabili per porre immediato rimedio alla violazione o elusione delle due direttive e alle norme costituzionali e sono perciò finalizzate a prevenire procedure di infrazione e giudizi di legittimità costituzionale“. Nella lettera ASGI richiama i parlamentari sulla necessità  che il testo in discussione sia integrato e modificato con  :

  • l’introduzione delle procedure di verifica della permanenza della protezione sussidiaria e di rinnovo o di revoca del permesso di soggiorno per motivi umanitari;
  • l’introduzione del reclamo contro i decreti della sezione specializzata in materia di protezione internazionale al collegio della sezione specializzata, senza la partecipazione del giudice che aveva disposto il decreto reclamato;
  • la previsione espressa della garanzia del contraddittorio nei giudizi delle sezioni specializzate dei tribunale in materia di protezione internazionale con l’udienza convocata dal giudice anche su richiesta del ricorrente;
  • la previsione di una garanzia dell’estensione delle misure di accoglienza per i sei mesi successivi al riconoscimento della protezione per coloro nei cui confronti non è stato possibile effettuare l’accoglienza nello SPRAR e rimangono nei centri straordinari di prima accoglienza o nei centri governativi di prima accoglienza;
  • tutte le modifiche sulle revoche in materia di accoglienza.

 

In particolare ASGI ritiene che vadano apportate le seguenti modifiche :

 

 

1.Informazione

Per attuare gli articoli 3, par. 1, e 17, par. 1 della direttiva 2013/33/UE che prevedono che il richiedente ha diritto di accedere al sistema di accoglienza fin dal momento della sua manifestazione di volontà di presentare la domanda di protezione internazionale, le informazioni sull’accesso al sistema di accoglienza gli devono essere fornite non già al momento della ricezione della domanda (concetto non sempre univocamente interpretato nella prassi e che può addirittura rinviare il tutto al momento del deposito formale di una domanda scritta o della sua verbalizzazione), bensì fin dal momento in cui l’ufficio di polizia riceve tale manifestazione di volontà.

2.Documentazione

Per dare effettiva e completa attuazione all’art. 6, par. 6 della direttiva 2013/33/UE che vieta agli Stati di esigere documenti inutili o sproporzionati o di imporre altri requisiti amministrativi ai richiedenti prima di riconoscere loro i diritti garantiti dalla direttiva stessa, occorre modificare l’art. 4 d. lgs. n. 142/2015.

3.Domicilio

In primo luogo ai fini della determinazione di diritto del domicilio del richiedente asilo l’art. 5, comma 2 d. lgs. n. 142/2015 indica quale domicilio soltanto l’indirizzo del centro di permanenza in cui lo straniero è trattenuto o l’indirizzo di uno dei centri indicati negli artt. 9, 11 e 14 D.L.gs. n. 142/2015. In tali riferimenti non è incluso anche il centro in cui è ospitato il minore non accompagnate ai sensi dell’art 19. Tale omissione contrasta col superiore interesse del minore e deve perciò essere colmata facendo altresì riferimento al tutore ai fini delle notifiche.

In secondo luogo col comma 4 dell’art. 5 d. lgs. n. 142/2015 l’Italia si avvale della facoltà prevista dall’art. 7, par. 2 della direttiva 2013/33/UE. Tuttavia al fine di rispettare le disposizioni della direttiva e le riserve di legge in materia di stranieri (art. 10, comma 2 Cost.) e in materia di misure limitative della libertà di circolazione (art. 16 Cost.), occorre espressamente prevedere che il prefetto esercita la facoltà di fissare un luogo di residenza o un’area geografica del richiedente soltanto – come prevede la direttiva – nei casi concreti in cui sussistano motivi di pubblico interesse, di ordine pubblico o, ove necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda.

4. Iscrizione anagrafiche

Nella prassi si sono verificati dubbi e difficoltà applicative circa l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo nelle liste della popolazione residente, la quale dà accesso ai diritti sociali previsti per la popolazione residente, anche se nel caso dei richiedenti asilo prevalgono spesso altre norme speciali più favorevoli. In proposito già l’art. 4, comma 3, D. Lgs. n. 142/2015 prevede che la ricevuta attestante la presentazione della richiesta di protezione internazionale rilasciata contestualmente alla verbalizzazione della domanda costituisce permesso di soggiorno provvisorio e consente dunque l’iscrizione anagrafica, tanto che l’art. 5, comma 3 d. lgs. n. 142/2015 prevede che per il richiedente accolto in uno dei centri o strutture indicate negli artt. 9, 11 e 14 a cui sia stato rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta di asilo e la ricevuta della presentazione della domanda costituisce luogo di dimora abituale ai fini dell’iscrizione anagrafica. Quest’ultima disciplina deve essere completata e precisata, sia estendendo il medesimo principio ai minori non accompagnati accolti in uno dei centri indicati nell’art. 19, prevedendo (come già da tempo prescrivono le circolari del Ministero dell’Interno) che in mancanza di altra documentazione già disponibile l’iscrizione anagrafica avviene con i dati identificativi indicati nel permesso di soggiorno o nella ricevuta del permesso di soggiorno, fatte salve eventuali successive rettifiche o integrazioni.

5.Trattenimento

In primo luogo al fine di dare effettiva implementazione alla definizione di rischio di fuga del richiedente quale presupposto del suo trattenimento consentito dall’art. 8, par. 3, lett. b) della direttiva 2013/33/UE, l’art. 6, comma 2, lett. d), d. lgs. n. 142/2015 nella parte in cui tale rischio si riferisce all’inottemperanza dei provvedimenti dell’art. 14 d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, deve essere modificato in modo da riferire tale rischio soltanto a precedenti violazioni dei provvedimenti impartiti allo straniero espulso (e non anche dei provvedimenti impartiti allo straniero respinto, essendo il respingimento incompatibile con l’applicazione delle norme in materia di asilo ai sensi dell’art. 10 d. lgs. n. 286/1998) indicati in tale articolo che possano costituire davvero una manifestazione della volontà dello straniero di volersi sottrarre all’esecuzione di provvedimenti di allontanamento dal territorio dello Stato (sottrazione dalle misure coercitive alternative al trattenimento, inottemperanza senza giustificato motivo all’ordine del Questore di lasciare il territorio dello Stato impartito allo straniero espulso, fuga da un centro di identificazione ed espulsione).

In secondo luogo la disciplina della durata in concreto di ogni provvedimento di trattenimento nei confronti del richiedente asilo prevista nell’art. 6 d. lgs. n. 142/2015 viola la riserva di giurisdizione e la riserva assoluta di legge previste dall’art. 13 Cost., perché non è decisa dal giudice nei casi e nei modi previsti dalla legge come prevede la norma costituzionale, ma è stabilita dalla norma legislativa con modalità incerte che sono però legate caso per caso soltanto alle decisioni di un’autorità amministrativa (la commissione territoriale) circa l’esame di ogni domanda di protezione internazionale. L’art. 6, comma 6 d. lgs. n. 142/2015 collega infatti la durata del trattenimento del richiedente asilo alle scansioni temporali della procedura accelerata di esame della sua domanda previste nell’art. 28-bis, comma 3 d. lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, come modificato dallo stesso decreto legislativo. Ciò rende oggettivamente abnorme la modulazione del termine massimo della durata del periodo di trattenimento del richiedente asilo, che dopo l’iniziale termine di 7+2 giorni è di volta in volta prorogabile, dapprima di ulteriori 2 mesi e poi di ulteriori 3 mesi e poi ancora di un ulteriore mese. E’ evidente che dunque i termini massimi del provvedimento di trattenimento del richiedente asilo non sono dati alla piena disponibilità del giudice che decide del trattenimento nei limiti di termini tassativamente stabiliti dalla norma legislativa, come esigono la riserva di legge assoluta e la riserva di giurisdizione previste dall’art. 13 Cost. quali presupposti delle restrizioni della libertà personale, ma sono collegati ai tempi e alle proroghe della procedura amministrativa di esame della domanda, che sono decisi caso per caso dalla sola Commissione territoriale anche durante le procedure accelerate; si tratta perciò di una norma incostituzionale per la sostanziale violazione dei requisiti minimi per ogni restrizione della libertà personale previsti dall’art. 13 Cost. Pertanto anche per prevenire ogni tipo di contenzioso di legittimità costituzionale occorre modificare il comma 6 dell’art. 6 d. lgs. n. 142/2015.

In terzo luogo l’art. 6, comma 7 d. lgs. n. 142/2015, come modificato dal d.l. n. 13/2017, consente che il trattenimento sia disposto per tutto il tempo in cui il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato in conseguenza del ricorso giurisdizionale, sottraendo in modo irrazionale al giudice del merito (innanzi a cui si impugna il diniego della Commissione Territoriale) il potere di sospendere il trattenimento. Tale norma appare un indiretto disincentivo ad esercitare il diritto alla difesa previsto dall’art. 24 Cost. e contrasta con l’effettivo ricorso alla difesa del richiedente asilo garantito dalla direttiva UE. Pertanto anche per prevenire ogni tipo di contenzioso di legittimità costituzionale occorre modificare il comma 7 dell’art. 6 d. lgs. n. 142/2015.

In quarto luogo la durata massima complessiva del trattenimento del richiedente asilo (12 mesi) prevista nell’art. 6 d. lgs. n. 142/2015 è molto più lunga rispetto alla durata massima complessiva dei trattenimenti degli stranieri espulsi, la quale dal 2014 è stabilita dall’art. 14 d. lgs. n. 286/1998.

6.Condizioni di trattenimento

In primo luogo occorre dare esatta e completa attuazione all’art. 11, par. 4 della direttiva 2013/33/UE ed evitare in modo sistematico quelle frequenti situazioni di promiscuità che comportino violazioni del divieto di trattamenti degradanti previsto dall’art. 3 CEDU e lesioni sproporzionate al diritto alla vita privata e familiare garantito dall’art. 8 CEDU, rilevate e condannate nell’attuale sistema italiano di accoglienza dei richiedenti asilo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, Tarakhel c. Suisse del 4 novembre 2014.

In secondo luogo occorre prevedere che gli eventuali dinieghi di accesso al centro di permanenza temporanea in cui è trattenuto il richiedente asilo devono essere disposti con atto scritto e motivato al fine di consentirne l’eventuale impugnazione.

In terzo luogo la riserva di legge in materia di stranieri e di diritto di asilo e in materia di libertà personale (artt. 10, commi 2 e 3, e 13 Cost.) esigono di meglio individuare espressamente con norma di rango legislativo quali sono le persone le cui condizioni del richiedente asilo impediscono il trattenimento, facendo riferimento sia alle persone portatrici di esigenze particolari indicate nell’art. 17, sia alle ipotesi indicate nelle disposizioni penali e processuali che impediscono l’esecuzione delle pene detentive per motivi di salute.

7. Sistema di accoglienza

Nell’articolo 8 che delinea in generale il sistema di accoglienza occorre introdurre precise garanzie volte ad implementare i diritti del richiedente asilo previsti dalle norme internazionali ed europee.

1) Le attività di soccorso di migranti ritrovati o che entrino nel territorio dello Stato in situazione di soggiorno irregolare devono comunque comprendere una completa informazione in lingua comprensibile a chiunque della facoltà di manifestare la volontà di presentare domanda di asilo, e dei suoi diritti, come prevede l’art. 8 della direttiva 2013/32/UE e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Ciò vale in generale per qualsiasi straniero potenzialmente interessato a richiedere protezione internazionale. L’informazione deve essere accurata, fatta attraverso un mediatore culturale, in lingua comprensibile e solo dopo che il richiedente ha ricevuto un primo aiuto e sia stato posto in condizioni di poter in modo sereno ricevere le informazioni medesime. L’attività informativa è compito dello Stato. Può essere fornita da soggetti terzi di provata competenza nel settore della protezione internazionale in convenzione con lo Stato, senza che tuttavia a questi soggetti possa essere contestualmente affidate attività di monitoraggio/garanzia nello stesso centro o in altri centri di eguale natura.

2) In mancanza di tale informazione ogni eventuale provvedimento di respingimento o di espulsione deve intendersi nullo (Cass., sez. VI, ord. 25.3.2015, n. 5926).

3) Le operazioni di identificazione sono effettuate da ufficiali o agenti di pubblica sicurezza nelle ipotesi, nei modi, nei limiti e nei termini previsti dalla legge per la generalità dei cittadini e dal Regolamento n. 603/2013 che istituisce EURODAC.

4) Poiché l’art. 8 par. 2 della direttiva 2013/32/UE prevede che le organizzazioni e le persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti abbiano effettivo accesso ai richiedenti presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito, alle frontiere esterne occorre prevedere espressamente tale accesso e garantire un accesso effettivo alle strutture di accoglienza o di trattenimento ad enti indipendenti che possano monitorare l’effettivo rispetto del diritto all’informazione di cui al comma 2 ter dell’art. 8. Tali organizzazioni dovranno poter avere accesso a tutti i luoghi in cui sono presenti o transitano gli stranieri. L’accesso ai centri e alle singole parti di questi non può essere sottoposto a previa autorizzazione. Tali organizzazioni in occasione dei loro accessi possono altresì fornire informazioni direttamente ai richiedenti asilo Tali organizzazioni non possono svolgere in convenzione con la Pubblica Amministrazione, sul territorio italiano, le attività di cui al comma 2 ter dell’art. 8 ovvero altre attività in convenzione con pubblica Amministrazione nei centri di primo soccorso di cui all’art. 8 comma 2 o di prima accoglienza di cui all’art. 9 o nei centri di permanenza temporanea di cui all’art. 14 D. lgs. n. 286/1998

5) Lo straniero che abbia manifestato volontà di presentare domanda di protezione internazionale e che sia cittadino di Stati che sono ammessi dalle norme dell’Unione europea alla ricollocazione in altri Stati dell’Unione europea deve essere tempestivamente informato, deve esprimere le sue preferenze e informare sull’eventuale presenza di familiari in altri Stati dell’UE e fino al momento del trasferimento è ospitato in centri di accoglienza. Infatti gli artt. 5 e 6 della Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio del 14 settembre 2015 e della Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015 che istituiscono misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia prevedono che dopo l’identificazione le procedure per la ricollocazione si concludano entro 60 giorni durante i quali il richiedente asilo usufruisce comunque delle misure di accoglienza, e in ogni caso ai fini della ricollocazione in altro Stato si privilegia il superiore interesse del minore e l’esigenza di mantenere unite le famiglie e si deve garantire che il richiedente asilo sia informato nella sua lingua della possibilità della ricollocazione in altro Stato.

6) Al fine di ottemperare ai requisiti generali dell’accoglienza previsti dall’art. 18 par. 1 lettera b) della direttiva 2013/33/UE, occorre prevedere che i centri di soccorso e di prima assistenza e i centri governativi di prima accoglienza siano destinati soprattutto alle esigenze di prima accoglienza e di identificazione nel caso di afflussi massicci e che i richiedenti debbano essere in ogni caso trasferiti nel minor tempo possibile nelle strutture dell’accoglienza territoriale di cui all’art. 14, o, in caso di indisponibilità di posti, presso le strutture straordinarie di cui all’art. 11.

7) Si sono registrate criticità in merito all’applicazione dell’art. 8, comma 2, d. lgs. n. 25/2008 per il riferimento ai centri di soccorso e prima accoglienza istituiti dal decreto legge 30.10.1995 n. 51 convertito in legge 29.12.95 n. 573. Tale legge infatti si riferiva ad una emergenzialità circoscritta in termini geografici e temporali e dava la più ampia discrezionalità al Governo nella disciplina di tali centri, in contrasto con la riserva di legge in materia di stranieri prevista dall’art. 10, comma 2 Cost. Perciò risulta necessaria una norma di rango legislativo che indichi i termini massimi di accoglienza, i minimi standard di accoglienza e una modalità legittima di istituzione dei centri medesimi.

8.Misure di prima accoglienza

Nella prassi si sono registrate diverse criticità, anzitutto sulla durata dell’accoglienza nei centri governativi di prima accoglienza, che appunto dovrebbero essere centri di prima accoglienza.

Le riserve di legge in materia di stranieri e di diritto di asilo (art. 10, commi 2 e 3 Cost.) rendono indispensabile che una norma di rango legislativo preveda un termine massimo di accoglienza all’interno del centro, e escluda che in ogni caso all’interno di questi centri si possa operare l’avvio della procedura di asilo, dovendone circoscrivere la funzione alla fase della formalizzazione della domanda.

9.Modalità di accoglienza

In primo luogo al fine di dare completa attuazione all’art. 18, par. 6 della direttiva 2013/33/UE, l’art. 10, comma 3 deve essere integrato prevedendo espressamente la facoltà dell’interessato di avvisare il proprio avvocato o consulente legale del trasferimento nel centro e del nuovo indirizzo, elementi che sono essenziali per consentire un effettivo esercizio del diritto di difesa e dell’avvocato o consulente legale di accedervi senza alcun obbligo di preavviso o di autorizzazione.

In secondo luogo al fine di dare effettiva attuazione all’art. 18, par. 7 della direttiva 2013/33/UE occorre prevedere che i soggetti e i modi della formazione degli operatori dei centri governativi di prima accoglienza, mediante appositi corsi di formazione e di aggiornamento periodicamente organizzati dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno in collaborazione con la Commissione nazionale per il diritto di asilo, con l’EASO, con l’UNHCR e con esperti e università.

10.Misure straordinarie di accoglienza

In primo luogo il comma 2 dell’art. 11 d. lgs. n. 142/2015 dispone che i centri di accoglienza straordinaria soddisfino le esigenze essenziali così come indicato dall’art. 10 co.1, ma non prevede nulla circa le possibilità di uscita notturna e di assenza prolungata, disciplinate invece dall’art. 10 co. 2 per i centri governativi. Lo stesso può dirsi per quanto disposto all’art. 10 co. 3 e 4 concernenti l’accesso dei difensori e delle organizzazioni. E’ perciò necessario prevedere espressamente queste facoltà anche per i centri straordinari, per assicurare il più possibile la parità di trattamento con le altre strutture del sistema di accoglienza. La normativa deve inoltre richiamare gli standard della accoglienza territoriale, in modo che quella praticata nei centri di accoglienza straordinaria abbiano standard di accoglienza relativi ai servizi offerti ai richiedenti parificati a quelli dello Sprar, pur rimanendo una forma di accoglienza straordinaria e provvisoria.

In secondo luogo nella prassi la durata dell’accoglienza nei centri di accoglienza straordinaria invece che nei centri afferenti allo SPRAR è divenuta quasi sempre tutt’altro che transitoria.

Tuttavia l’art. 18, par. 9 della direttiva 2013/33/UE prevede che le modalità eccezionali di accoglienza devono durare il più breve tempo possibile e per attuare tale norma poiché in materia di diritto di asilo è prevista una riserva di legge dall’art. 10, comma 3 Cost. è indispensabile che una norma di rango legislativo preveda un termine massimo di durata dell’accoglienza in questi centri.

In terzo luogo per evitare equivoci e incomprensioni verificatisi nella prassi e in conformità alle riserve di legge in materia di condizione dello straniero e di diritto di asilo previste dall’art. 10, commi 2 e 3 Cost. è indispensabile che in una norma di rango legislativo chiarisca espressamente che anche l’accoglienza nelle strutture straordinarie, qualora per qualsiasi ragione non sia stato disposto il trasferimento in una struttura afferente allo Sprar, perdura in pendenza dei ricorsi giurisdizionali alle medesime condizioni previste per gli ospitati nelle strutture dello SPRAR.

11.Sistema di accoglienza territoriale

In primo luogo al fine di assicurare che tutti i tipi di centri di accoglienza garantiscano una qualità di vita adeguata richiesta nell’art. 17, par. 2 della direttiva 2013/33/UE e di garantire l’effettivo rispetto della riserva di legge in materia di stranieri e di diritto di asilo prevista dall’art. 10, commi 2 e 3 Cost. l’art. 14, comma 2 d. lgs. n. 142/2015 deve essere integrato con un’indicazione esplicita dei servizi che devono essere garantiti da tutte le misure di accoglienza allestite nell’ambito del sistema di accoglienza territoriale. A tale fine occorre stabilizzare incorporandole nel testo legislativo in un’apposita disposizione le più fondamentali prescrizioni sul tipo di prestazioni, di strutture e di personale che devono afferire alle strutture di accoglienza e che finora sono già previste nei decreti ministeriali recanti le linee guida per i centri SPRAR.

In secondo luogo nella disposizione contenuta alla fine del comma 4, secondo cui la persona può rimanere in accoglienza in una struttura dello SPRAR fino alla decisione in merito all’istanza di sospensione, occorre esplicitare la sua applicazione anche in una struttura di accoglienza straordinaria e l’accoglienza in pendenza del ricorso giurisdizionale e dopo il riconoscimento della protezione internazionale o del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Lo stesso Ministero dell’interno nella circolare 2255 del 30 ottobre 2015 inerente al Decreto legislativo n. 142/2015 prescrive che “in caso di ricorso avverso la decisione del Tribunale, le misure di accoglienza previste dal decreto legislativo possono essere assicurate, nel caso in cui sia stata accolta l’istanza di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, eventualmente presentata dall’interessato, fino alla decisione del ricorso in appello.”. Inoltre resta aperta nella prassi la questione della durata dell’effettiva accoglienza di chi abbia ottenuto una forma di protezione internazionale o umanitaria e sia ancora sprovvisto di un’autonoma sistemazione alloggiativa: le riserve di legge in materia di stranieri e di diritto di asilo previste all’art. 10, comma 2 e 3 Cost. esigono che tutto ciò sia espressamente previsto con norma di rango legislativo, come finora consentono le linee guida per la gestione degli attuali centri del sistema SPRAR, la possibilità che dopo il riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria o il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari permanga accolto in un centro del sistema di accoglienza territoriale per almeno 6 mesi e con la possibilità di proroghe qualora si tratti di persona vulnerabile o qualora non siano disponibili altri alloggi o servizi di accoglienza idonei ad assicurare vitto, alloggio e assistenza nell’ambito dell’ordinario sistema dei servizi e degli interventi sociali degli enti territoriali.

12.Accesso all’accoglienza

Poiché l’assistenza dei richiedenti protezione internazionale ha la natura di diritto soggettivo garantito dalla direttiva 2013/33/UE, la sua tutela giurisdizionale deve essere assicurata in forme piene, effettive e conformi a tale natura e perciò deve spettare non già al giudice amministrativo, che è il giudice degli interessi legittimi, bensì al giudice ordinario, che è il giudice dei diritti soggettivi e perciò occorre correggere in tal senso l’art. 15, comma 6 d. lgs. n. 142/2015.

13.Forme di coordinamento nazionale e regionale

In primo luogo al fine di evitare il ripetersi della sottovalutazione del fabbisogno di accoglienza dei richiedenti asilo, che comporta un’elusione degli obblighi di accoglienza dei richiedenti asilo previsti dalle norme della direttiva UE, occorre prescrivere che in ogni regione siano individuati posti di accoglienza disponibili in via immediata e ulteriori posti aggiuntivi e che il numero complessivo annuo dei posti ordinari e aggiuntivi complessivamente disponibili non sia inferiore al più alto numero annuo di richiedenti tra i numeri annui di ognuno degli ultimi tre anni, aumentato del numero delle persone che hanno presentato ricorsi giurisdizionali contro le decisioni delle commissioni territoriali, del numero dei richiedenti ammessi alle procedure di ricollocazione in altro Stato dell’UE, del numero delle persone portatrici di esigenze particolari e dei minori non accompagnati.

In secondo luogo al fine di dare piena attuazione all’art. 17 comma 2 della Direttiva 2013/33/UE e agli artt. 118, 119 e 120 della Costituzione occorre che il Piano nazionale di accoglienza e le linee di indirizzo e di programmazione predisposti ai sensi dell’art. 16 d. lgs. n. 142/2015 dal Tavolo nazionale prescrivano che la realizzazione e la gestione dei progetti di accoglienza territoriale di cui all’art. 14 del decreto legislativo da parte dei Comuni, singoli o associati, avvengano secondo i criteri di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione previsti nell’art. 118 Cost. e che le spese per l’implementazione di tali progetti siano integralmente finanziate dallo Stato, come prevede l’art. 119 Cost. Deve essere altresì prevista l’attivazione del potere sostitutivo previsto dall’art. 120 Cost. nei confronti delle regioni e degli enti locali inadempienti rispetto agli obblighi di accoglienza derivanti dalle norme dell’UE.

14. Accoglienza di persone portatrici di esigenze particolari

In primo luogo l’art. 17, comma 2 d. lgs. n. 142/2015 prevede che ai richiedenti protezione internazionale identificati altresì come vittime della tratta di esseri umani si applica il programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale ai sensi dell’art. 18, comma 3-bis d. lgs. n. 286/1998. Tale disposizione ha suscitato alcuni dubbi interpretativi relativamente alla possibilità per i richiedenti asilo che siano o siano state vittime di tratta di accedere al programma di emersione, assistenza e integrazione sociale ex art. 18 pur proseguendo nella procedura di riconoscimento della protezione internazionale e degli eventuali ulteriori benefici previsti dalle norme vigenti in favore dei richiedenti asilo, aspetto che, pur pacifico – anche in ottemperanza a quanto disposto dall’art. 10 d. lgs. n. 24/2014 rispetto alle esigenze di coordinamento tra i sistemi rispettivamente di protezione internazionale e di protezione delle vittime di tratta – necessita di essere chiarito con una norma di rango legislativo, in conformità con le riserve di legge in materia di stranieri e di diritto di asilo previste dall’art. 10, commi 2 e 3 Cost.

In secondo luogo al fine di dare effettiva implementazione ai servizi predisposti per le persone portatrici di esigenze particolari previste nell’art. 17 e alla riserva di legge in materia di stranieri prevista nell’art. 10, comma 2 e 3 Cost. occorre consolidare in norme legislative le prescrizioni circa il contenuto di questi servizi attualmente previste dalle linee guida del Ministro dell’Interno.

15. Accoglienza Minori non accompagnati

In primo luogo al fine di dare effettiva attuazione all’art. 25 della direttiva 2013/32/UE a tutela dei minori non accompagnati e alla riserva in materia di stranieri prevista nell’art. 10, comma 2 e 3 Cost. occorre consolidare in norme legislative le prescrizioni circa il contenuto di questi servizi attualmente previste dalle linee guida del Ministro dell’Interno per la disciplina delle condizioni di accoglienza nei centri di accoglienza dei minori non accompagnati,

In secondo luogo poiché il testo attuale dell’art. 19, comma 3 d. lgs. n. 142/2015 prevede che ogni Comune deve collocare i minori stranieri non accompagnati nei propri centri per minori nei casi in cui non siano momentaneamente disponibili posti negli appositi centri per minori stranieri non accompagnati istituiti e finanziati nell’ambito dello SPRAR occorre abrogare l’art. 19, comma 3-bis (inserito dall’art. 1-ter della L. n. 160/2016, di conversione con modificazione del decreto legge 24 giugno 2016, n. 113), il quale, nella estrema genericità della formulazione, collocando i minori stranieri tra 14 e 16 anni in appositi grandi strutture temporanee di prima accoglienza gestite dai Prefetti, così derogando agli standard in vigore per tutti i minori, che in nome della tutela del superiore interesse del minore garantito dalle norme internazionali, esigono dimensioni ridotte dei numeri e degli operatori e un rapporto ridotto tra minori ed operatori da collocarsi presso i singoli enti locali, ha introdotto nell’ordinamento italiano una norma che discrimina i minori stranieri non accompagnati rispetto ai minori italiani ed ai minori accolti all’interno dei centri SPRAR e, dunque, viola i principi costituzionali di eguaglianza senza distinzioni e di tutela dei minori (artt. 3 e 31 Cost). L’inutilità e la pericolosità della permanenza in vigore di tale disposizione è accresciuta dopo l’entrata in vigore della legge 7 aprile 2017, n. 47 che tutela i minori stranieri non accompagnati e ha istituito e finanziato all’interno dello SPRAR i Comuni e i loro appositi centri per i minori stranieri non accompagnati.

16. Monitoraggio e controllo

L’art. 28, par. 1 della direttiva UE sull’accoglienza prevede che ogni Stato debba assicurare forme di sorveglianza e controllo del livello delle condizioni di accoglienza.

A tale fine l’art. 20 d. lgs. n. 142/2015 prevede forme di controllo delle condizioni di accoglienza da parte del Dipartimento libertà civili e immigrazione, anche con l’ausilio di professionisti o di organizzazioni internazionali.

Occorre però inserire anche la possibilità di effettuare forme di controllo indipendente e senza preavviso in tutte le strutture di polizia, di accoglienza o di trattenimento dei richiedenti asilo da parte dei garanti dei diritti dei detenuti e delle persone ristrette nella libertà personale e da parte dei rappresentanti di enti, diversi dall’ente gestore del centro, competenti in materia di immigrazione, di comprovata esperienza pluriennale, che non svolgano in convenzione con la Pubblica Amministrazione, sul territorio italiano, nei centri di cui all’art. 8 comma 2 o all’art. 9 o all’art. 14 del d. lgs. n. 286/1998.

17.Assistenza sanitaria e istruzione dei minori

Al fine di rendere effettivo il diritto alla salute dei richiedenti asilo previsto dall’art. 17 Direttiva 33/2013 è indispensabile introdurre modifiche all’art. 21 d. lgs. n. 142/2015 sia per agevolare il loro immediato accesso agli accertamenti delle violenze subite e alle prestazioni terapeutiche e psicologiche necessarie, sia per evitare incertezze interpretative e applicative, per le quali si prevede l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (ticket) per i richiedenti asilo fin dal momento della presentazione della domanda e per almeno i due mesi successivi al rilascio del permesso di soggiorno per richiesta di asilo (periodo in cui non possono comunque lavorare) e per il periodo in cui sono disoccupati perché iscritti al centro per l’impiego, secondo la nuova nozione prevista dall’art. 19 d.lgs. n. 150/2015, nonché per tutti i richiedenti asilo trattenuti in un centro di permanenza temporanea o ospitati in un centro di soccorso e prima assistenza, in un centro governativo, in una struttura di accoglienza temporanea o in una struttura afferente allo SPRAR (nelle quali accedono comunque le persone sprovviste di mezzi di sostentamento) e per tutti i richiedenti asilo appartenenti alle categorie bisognose di particolari misure di assistenza.

18. Revoca accoglienza

In primo luogo l’art. 22, par. 1 della Direttiva 2013/33/UE, prevede che la revoca delle condizioni di accoglienza sia misura che può essere assunta solo in casi eccezionali, debitamente motivati e che la medesima disposizione prevede la possibilità di anche solo ridurre le misure di accoglienza; l’art. 22 al par. 5 prevede che i provvedimenti di revoca o riduzione siano assunti sempre in modo proporzionale. Tuttavia l’art. 23, comma 1 lett. a) e lett. e) e comma 3 del decreto legislativo n. 142/2015 sembra eludere questi obblighi nella disciplina della possibilità che il Prefetto adotti una revoca anziché una misura di riduzione dei servizi di accoglienza, fattispecie che pare non recepita nel decreto e perciò in tal senso deve essere modificato. Occorre perciò modificarlo, prevedendo anche la riduzione delle misure di accoglienza, che è per sua natura temporanea e semmai può essere rinnovata.

In secondo luogo nella prassi si verificano casi di revoche dell’accoglienza adottate nei confronti di richiedenti asilo a causa della mera protesta pacifica contro le condizioni di accoglienza considerate inadeguate o difettose. Poiché dunque nella direttiva UE sull’ accoglienza la revoca è indicata quale extrema ratio, esistono altre soluzione intermedie adottabili e in ogni caso la norma andrebbe riscritta per meglio precisare i parametri di gravità del comportamento dell’accolto che possono giustificare la revoca. La valutazione del comportamento non può comunque essere legata al pacifico esercizio del diritto alla libertà di pensiero.

Pertanto occorre rendere più chiari i presupposti della revoca dell’accoglienza, così da sostituire il riferimento alle infrazioni “gravi o ripetute”, in “infrazioni gravi o ripetute che compromettono in modo irreversibile la possibilità di convivenza” e prevedendo che in ogni caso non può considerarsi una infrazione la pacifica manifestazione del pensiero, anche in forma di protesta o di reclamo per le condizioni di accoglienza, in quanto esercizio di un diritto costituzionalmente garantito e spesso strumento per migliorare le condizioni di accoglienza e per mantenere l’effettivo rispetto delle convenzioni degli enti gestori.

In terzo luogo occorre modificare in modo conforme alla direttiva l’art. 23, comma 2 nel senso che tutti i provvedimenti siano assunti dalla Prefettura competente solo in casi eccezionali (escludendo pertanto qualsiasi automatismo nell’applicazione delle fattispecie di cui all’art. 23, comma 1) nonché sulla base di attenta valutazione dei fatti accaduti e dei comportamenti dei richiedenti desumibili anche da relazioni psicologiche e sociali da parte dell’ente gestore del centro di accoglienza e solamente se, in ragione della gravità dei fatti, la riduzione delle misure di accoglienza risulti non applicabile al caso concreto, il che rafforza il fondamentale principio della gradualità delle misure sancito dalla Direttiva 2013/33/UE.

In quarto luogo poiché l’assistenza dei richiedenti protezione internazionale ha la natura di diritto soggettivo garantito dalla direttiva 2013/33/UE, la sua tutela giurisdizionale deve essere assicurata in forme piene e conformi e perciò deve spettare non già al giudice amministrativo, che è il giudice degli interessi legittimi, bensì al giudice ordinario, che è il giudice dei diritti soggettivi e perciò occorre correggere in tal senso l’art. 23, comma 5 d. lgs. n. 142/2015.

19. Accesso alla procedura

L’accesso effettivo alla procedura di asilo previsto dalla direttiva UE deve essere garantito sempre ai migranti ritrovati o che entrino nel territorio dello Stato in situazione di soggiorno irregolare, i quali devono comunque ricevere informazioni sulla possibilità di accedere alla procedura e devono poter manifestare la propria volontà di richiedere asilo in qualunque modo.

20. Garanzia per i richiedenti asilo

In primo luogo nella prassi spesso le autorità di polizia non ottemperano all’obbligo di informazione al richiedente asilo, prescritto dall’art. 12, par. 1, lett. a) della direttiva 2013/32/UE e che nell’art. 10 d. lgs. n. 25/2008 è adempiuto mediante la consegna dell’opuscolo informativo. Occorre perciò espressamente prevedere l’obbligatorietà di questa informativa da svolgersi al momento della presentazione della domanda.

In secondo luogo l comma 2-bis del d. lgs. n. 25/2008 introduce un servizio di informazione gratuita ai richiedete asilo svolto sulla base di convenzioni del Ministero dell’interno con enti con esperienza consolidata nel settore. Tali convenzioni non dovrebbero impedire il libero accesso nel luogo in cui si trova il richiedente di altri enti e associazioni di comprovata esperienza pluriennale che vogliano fornire tali informazioni ai richiedenti asilo.

21. Informazione e servizi di accoglienza ai valichi di frontiera

In primo luogo il decreto legislativo n. 142/15 con l’introduzione nel d. lgs. n. 25/2008 dell’art. 10 bis aveva cercato di dare applicazione all’art. 8 della Direttiva 2013/32/UE e alle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui tutti gli stranieri potenzialmente interessati a richiedere protezione internazionale devono essere immediatamente informati sul diritto di asilo, prima che la P.A. possa adottare qualsivoglia provvedimento amministrativo. Tuttavia il testo dell’art. 10 bis ha un contenuto limitato e non sempre chiaro e perciò ha contribuito alla sistematica violazione di questo diritto all’informazione, con la gravissima conseguenza di impedire di fatto che molti stranieri interessati potessero manifestare la propria volontà di richiedere asilo, il che li ha resi destinatari di provvedimenti di espulsione o respingimento. Le attività di soccorso di migranti ritrovati o che entrino nel territorio dello Stato in situazione di soggiorno irregolare devono comunque comprendere una completa informazione in lingua comprensibile a chiunque della facoltà di manifestare la volontà di presentare domanda di asilo, e dei suoi diritti, come prevede l’art. 8 della direttiva 2013/32/UE e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Ciò vale in generale per qualsiasi straniero o apolide potenzialmente interessato a richiedere protezione internazionale. L’informazione deve essere accurata, deve essere fatta attraverso un mediatore culturale, in lingua comprensibile e deve essere fornita soltanto dopo che il richiedente abbia ricevuto un primo aiuto e sia stato posto in condizioni di poter in modo sereno ricevere le informazioni medesime. L’attività informativa è compito dello Stato. Può essere fornita da soggetti terzi di provata competenza nel settore della protezione internazionale in convenzione con lo Stato, senza che tuttavia a questi soggetti possa essere contestualmente affidate attività di monitoraggio/garanzia nello stesso centro o in altri centri di eguale natura.

In secondo luogo il comma 2 dell’art. 10-bis d.lgs. n. 25/2008, in adempimento a quanto previsto dall’art. 8, par. 2 della Direttiva 2013/32/UE, aveva previsto la facoltà di una serie di soggetti ad accedere nei luoghi in cui tale diritto di informazione doveva essere esercitato. Tuttavia, l’imprecisione e la scarsa perentorietà della norma hanno nei fatti condotto a risultati insoddisfacenti. Poiché l’art. 8 par. 2 della direttiva 2013/32/UE prevede che le organizzazioni e le persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti abbiano effettivo accesso ai richiedenti presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito, alle frontiere esterne occorre prevedere espressamente tale accesso e garantire un accesso effettivo alle strutture di accoglienza o di trattenimento ad enti indipendenti che possano monitorare l’effettivo rispetto del diritto all’informazione di cui al comma 2 ter dell’art. 8 d. lgs. n. 142/2015. Tali organizzazioni dovranno poter avere accesso a tutti i luoghi in cui sono presenti o transitano i cittadini stranieri. L’accesso ai centri e alle singole parti di questi non può essere sottoposto a previa autorizzazione. Tali organizzazioni in occasione dei loro accessi possono altresì fornire informazioni direttamente ai richiedenti asilo. Tali organizzazioni non possono svolgere in convenzione con la pubblica amministrazione, sul territorio italiano, le attività di cui al comma 2 ter dell’art. 8 d. lgs. n. 142/2015 ovvero altre attività in convenzione con pubblica Amministrazione nei centri di primo soccorso di cui all’art. 8 comma 2 d. lgs. n. 142/2015 o nei centri governativi di prima accoglienza di cui all’art. 9 d. lgs. n. 142/2015 o nei centri di permanenza temporanea di cui all’art. 14 d. lgs. n. 286/1998.

22. Colloquio personale

In primo luogo al fine di dare effettiva e completa attuazione all’articoli 4, par. 3, e 15, par. 3, lett. a) e d) della direttiva 2013/32/UE, dopo l’art. 24, comma 1, lett. i), d. lgs. n. 142/2015 occorre introdurre una nuova lettera in modo che nell’articolo 12, comma 1-bis del decreto legislativo n. 25/2008 sia previsto che la persona incaricata di condurre il colloquio non debba indossare uniformi, debba avere acquisito una conoscenza generale dei problemi che potrebbero compromettere la capacità del richiedente di sostenere il colloquio, come le indicazioni che il richiedente potrebbe essere stato torturato nel passato, e debba avere la competenza per tener conto del contesto personale e generale in cui nasce la domanda, compresa l’origine culturale, il genere, l’orientamento sessuale, l’identità sessuale o la vulnerabilità del richiedente;

In secondo luogo l’art. 12, comma 4, prevede che l’autorità decidente decide allo stato della documentazione disponibile, ma tale disposizione non è coordinata con l’art. 23-bis che prevede la sospensione del procedimento in caso di allontanamento ingiustificato dai centri di accoglienza o l’archiviazione se la persona non si presenta entro un anno, salvo il diritto dell’interessato di chiedere una motivata riapertura del procedimento. Occorre pertanto prevedere un coordinamento con tale disposizione.

23.Criteri applicabili al colloquio personale

In primo luogo al fine di dare effettiva attuazione all’art. 16 della direttiva 2013/32/UE, nella lett. m), n. 1) il comma 1-bis dell’art. 13 del decreto legislativo n. 25/2008, introdotto per effetto del d. lgs. n. 142/2015 deve essere modificato nel senso che anche che nel colloquio sia assicurata al richiedente la possibilità di spiegare l’eventuale assenza di elementi o le eventuali incoerenze o contraddizioni delle sue dichiarazioni.

In secondo luogo nella prassi la facoltà del richiedente di farsi assistere da un avvocato durante il colloquio personale di fronte alle Commissioni territoriali si è rivelata lacunosa circa alcuni aspetti delicati concernenti il colloquio (la possibilità di richiedere a nome del richiedente assistito il rinvio del colloquio o il colloquio da parte dell’intera Commissione o sezione o la richiesta di richiedere comunque il colloquio personale omesso o di riaprire il procedimento sospeso o di inviare alla commissione ulteriori dichiarazioni ed elementi) che meritano di essere inclusi espressamente nelle facoltà dell’avvocato che assiste il richiedente durante il colloquio. Inoltre appare non recepita la direttiva in relazione alla fondamentale figura del dell’operatore legale, che svolge già un ruolo chiave nella preparazione e nel supporto giuridico del richiedente asilo. Tuttavia manca al momento una regolamentazione giuridica di questa figura professionale. Ne consegue la necessità di attribuire una serie di importanti facoltà all’operatore legale sulla base di quanto indicato dalla direttiva e allo stesso tempo di regolamentare il profilo professionale di questa figura.

24. Verbale del colloquio personale

La previsione della videoregistrazione del colloquio con la Commissione territoriale con l’ausilio di sistemi di riconoscimento vocale, prevista dall’art. 14 d. lgs. n. 25/2008, introdotta dal d.l. n. 13/2017 appare disciplinata in modo troppo tassativo, anche quando motivi ostativi gravi potrebbero impedirlo come la mancanza di adeguate garanzie per chi potrebbe ritenersi anche più facilmente perseguitabile grazie alla possibile diffusione della videoregistrazione.

Inoltre è del tutto incostituzionale (per violazione dell’art. 113 Cost.) la previsione che sia insindacabile la decisione della Commissione sulla richiesta di rigettare la richiesta di non sottoporsi alla videoregistrazione.

Occorre perciò prevedere disposizioni integrative e correttive al fine di:

a) consentire sempre allo straniero la chiedere di non avvalersi della videoregistrazione per gravi ragioni (di salute, religiose o timori persecutori), dotata pur sempre di una potenzialità distorsiva della genuinità del colloquio, prevedendo che la possibilità di esercitare tale facoltà sia preavvisata allo straniero nella convocazione al colloquio e che la decisione sull’istanza sia ricorribile nell’eventuale ricorso giurisdizionale contro la decisione della Commissione sulla domanda di protezione internazionale;

b) consentire l’immediata disponibilità per lo straniero e il suo difensore della videoregistrazione,

c) rafforzare la sicurezza delle registrazioni per evitare che attacchi mirati alle copie informatiche delle videoregistrazioni mettano in pericolo la sicurezza dei richiedenti asilo a rischio di persecuzione.

25. Diritto all’assistenza e alla rappresentanza legali

In primo luogo al fine di dare completa implementazione al diritto alla difesa garantito dall’art. 24 Cost., anche per evitare il ripetersi di applicazioni molto diversificate da zona a zona, occorre che l’Italia si avvalga delle più ampie facoltà consentite dalla direttiva 2013/32/UE circa l’esercizio del diritto all’assistenza e alla rappresentanza legale del richiedente asilo.

In secondo luogo al fine di dare effettiva applicazione al diritto alla difesa per i non abbienti garantito dall’art. 24 Cost. e dalla direttiva 2013/32/UE e per evitare che nei confronti dei richiedenti asilo (che sono di per sé impossibilitati a rivolgersi alle autorità dei Paesi di origine) si ripetano applicazioni molto diversificate delle norme da parte degli ordini professionali occorre prevedere a livello legislativo in modo definitivo il contenuto della norma attuativa dello stesso art. 16 d. lgs. n. 25/2008 già prevista nell’art. 8 d.p.r. n. 21/2015 e occorre escludere ogni valutazione sulla fondatezza del merito dei ricorsi da parte dei consigli degli ordini degli avvocati, trattandosi di giudizi su questioni di grande complessità che attengono ad un diritto costituzionalmente garantito allo straniero, il diritto di asilo, e prevedendo altresì termini tassativi con un meccanismo di silenzio-assenso.

26. Istruttoria della domanda di protezione internazionale

In primo luogo al fine di evitare l’elusione dell’art. 6 della direttiva 2013/32/UE e di evitare perciò che le procedure di registrazione della domanda ostacolino l’effettiva e completa presentazione della domanda occorre garantire il richiedente asilo nella sua volontà di manifestare richiesta di protezione prevedendo anche una verbalizzazione in lingua (con obbligo di notifica e possibilità di contestazione).

In secondo luogo al fine di evitare l’elusione dell’art. 6 della direttiva 2013/32/UE, e in particolare del par. 2, che prevede che chiunque abbia presentato una domanda di protezione internazionale abbia un’effettiva possibilità di inoltrarla quanto prima, e del par. 5, che consente la proroga a dieci giorni lavorativi del termine per la registrazione della domanda soltanto nei casi in cui le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano molto difficile all’atto pratico rispettare il termine di tre o sei giorni lavorativi, l’art. 24, comma 1, lett. s), n. 1, d. lgs. n. 142/2015 il comma 2-bis dell’art. 26 del decreto legislativo n. 25/2008, introdotto dal d. lgs. n. 142/2015, deve essere modificato nel senso che allo straniero sia comunque consentito presentare una domanda anche mediante la presentazione diretta di un formulario (come prevede l’art. 6, par. 3 della direttiva) e che la proroga del termine di verbalizzazione delle domande da parte delle Questure può essere differita di ulteriori dieci giorni soltanto nei casi in cui le domande simultanee di protezione internazionale, presentate presso la medesima Questura da parte di un numero elevato di richiedenti, rendano praticamente molto difficile il rispetto dei termini ordinari per la verbalizzazione previsti nello stesso nuovo comma 2- bis.

27. Procedure di esame

Al fine di evitare l’elusione dell’art. 31, par. 3, lett. b) della direttiva 2013/32/UE, nell’art. 24, comma 1, lett. t), D. Lgs. n. 142/2015 il comma 3, lettera b) dell’art. 27 del decreto legislativo n. 25/2008, modificato dallo stesso d. lgs. n. 142/2015 deve essere modificato nel senso che nell’ipotesi indicata nella lettera b) il termine di conclusione dell’esame delle domande possa essere differito soltanto qualora le domande simultanee di protezione internazionale presentate alla medesima Commissione territoriale rendano praticamente molto difficile il rispetto del termine di sei mesi, anche dopo il provvedimento del Presidente della Commissione nazionale che abbia riassegnato la competenza all’esame delle domande ai sensi dell’art. 4, comma 5-bis dello stesso decreto legislativo n. 25/2008.

28. Esame prioritario

L’art. 28 comma 1 bis d.lgs. n. 25/2008 prevede che sia il Presidente della Commissione territoriale, sulla base della documentazione in atti, ad individuare i casi di procedura prioritaria o accelerata. Tuttavia, nella prassi si registra una forte difformità si applicazione in relazione alla formalizzazione di questa dichiarazione del presidente. Inoltre, la norma non prevede nulla circa la necessità che la procedura dichiarata accelerata debba effettivamente rispettare la tempistica sancita dalla legge stessa.

Oggi invece nella prassi il richiedente viene a sapere dell’applicazione della procedura accelerata soltanto una volta ricevuto il diniego ovvero quando la questura, arbitrariamente, riporta nella notifica l’applicazione dell’art. 28 bis d. lgs. n. 25/2008, il che costituisce una grave lesione del diritto di difesa. Molto spesso nella prassi una procedura è dichiarata accelerata ma non vengono rispettati i correlativi termini.

Tali lacune manifestano una discrezionalità amministrativa che contrasta con la riserva di legge in materia di diritto di asilo prevista dall’art. 10, comma 3 Cost. ed elude l’obbligo di adottare una decisione in termini ragionevoli e il diritto ad un ricorso effettivo previsti rispettivamente negli articoli 31, parr. 8 e 9, e 46 della direttiva 2013/32/UE.

Perciò occorre una norma legislativa integrativa che preveda che il Presidente della Commissione deve dichiarare esplicitamente nell’atto di convocazione del richiedente per il colloquio personale che la procedura seguita è stata quella accelerata e deve indicarlo anche nella decisione. Inoltre, è necessario prevedere espressamente che soltanto nelle ipotesi di rispetto dei termini di svolgimento per la procedura accelerata previsti dalla legge, si potrà riportare nella decisione di diniego che si è dato corso a una procedura accelerata e si potranno dunque produrre gli effetti tipici di questa (relativi ad effetto sospensivo e riduzione del termine per l’impugnazione).

29. Decisione

In primo luogo al fine di rendere completa l’attuazione dell’art. 46 della direttiva circa il diritto al ricorso effettivo del richiedente si rende necessario prevedere una norma legislativa che stabilisca che la Commissione motivi in modo dettagliato tutte le sue decisioni sia di accoglimento (il richiedente potrebbe volere impugnare anche la decisione che gli riconosca soltanto la protezione internazionale invece dello status di rifugiato), sia di rigetto.

In secondo logo in relazione alla dichiarazione di manifesta infondatezza, è necessario che vengano circoscritti con attenzione i limiti entro cui è possibile emanare tale tipologia di decisione. In particolare, per effetto della riserva di legge in materia di diritto di asilo prevista dall’art. 10, comma 3 Cost. si rende indispensabile che con norma di rango legislativo si preveda che la decisione sia presa all’unanimità da tutti i componenti del Collegio (così come prevede una circolare della Commissione nazionale per il diritto di asilo del 30 luglio 2015), che siano escluse da tali fattispecie le istanze di persone portatrici di esigenze particolari ai sensi dell’art. 17 e che siano parimenti esclusi i casi per i quali si renda necessario un controllo sulla credibilità del richiedente (in modo che sia pienamente coerente la dichiarazione di credibilità con quanto lamentato dal richiedente in sede di audizione).

In terzo luogo in conformità delle riserve di legge in materia di stranieri e di diritto di asilo previste nell’art. 10, commi 2 e 3 Cost. occorre prevedere in norma di rango legislativo la durata biennale del permesso di soggiorno per motivi umanitari, oggi prevista soltanto da una norma regolamentare (art. 6, comma 2 d.p.r. 12 gennaio 2015, n. 21).

In quarto luogo la norma introdotta nel comma 3-bis dell’art. 32 D. Lgs. n. 25/2008 dall’art. 10, comma 3 d. Lgs. n. 24/2014 ha creato nella prassi problemi interpretativi, che devono essere risolti, perché si deve ritenere che la norma miri a prevedere che la Commissione territoriale, ove non ritenga di riconoscere la protezione internazionale a richiedenti asilo che siano vittime di tratta o riduzione o mantenimento in schiavitù abbia la facoltà di trasmettere gli atti al Questore per consentirgli il rilascio di un permesso per motivi umanitari ai sensi dell’art. 18 D. Lgs. n. 286/1998. Tale ratio è desumibile da un’interpretazione sistematica rispetto a ciò che prevede il comma 3 dello stesso art. 3 e in conformità con la ratio dell’art. 10 d. lgs. n. 24/2014 che mira a coordinare i sistemi di protezione e tutela delle vittime della tratta e delle persone bisognose di protezione internazionale. In ogni caso, la trasmissione degli atti deve considerarsi subordinata alla volontà del richiedente asilo, che in quanto tale ha diritto alla segretezza degli atti.

In quinto luogo in conformità delle riserve di legge in materia di stranieri e di diritto di asilo previste nell’art. 10, commi 2 e 3 Cost. occorre prevedere in norma di rango legislativo la procedura di rilascio dei permessi di soggiorno e dei titoli di viaggio a seguito delle decisioni della Commissione, anche per consentire espressamente il rilascio del permesso di protezione sussidiaria anche nel caso in cui (come accade molto frequentemente nella prassi) sia di fatto impossibile o ritardato il rilascio del titolo di viaggio per stranieri o il passaporto.

30. Procedure di verifica della permanenza della protezione sussidiaria e di rinnovo o revoca del permesso di soggiorno per motivi umanitari

Le procedure di esame delle domande di riconoscimento della protezione internazionale, con i relativi diritti e doveri dello straniero e della Commissione stessa, devono ritenersi estese alle operazioni di rinnovo ogni cinque anni della protezione sussidiaria, come prevede il d. lgs. n. 251/2007 in attuazione della direttiva sulle qualifiche di protezione internazionale, e alle operazioni di rinnovo o revoca del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La necessità di un’apposita norma integrativa che disciplini queste procedure deriva anche dalla sentenza della Corte suprema di Cassazione, prima sezione 23472-17 che ha affermato la competenza delle Commissioni territoriali e non di quella nazionale per la revoca della protezione umanitaria.

31. Impugnazione

Al fine di recepire in modo completo il diritto al ricorso effettivo previsto dall’art. 46, parr. 1 e 3 della direttiva 2013/32/UE occorre modificare l’art. 35-bis d.lgs. n. 25/2008, introdotto dal d.l. n. 13/2017 nella parte che prevede la non reclamabilità della sentenza del tribunale.

La previsione di un unico grado di merito caratterizzato da una cognizione di regola cartolare, nel quale l’udienza è solo un’eventualità e ha forma camerale, viola il principio del contraddittorio e della pubblicità del processo, garantiti dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 Conv. eur. dir. uomo, come ribadito nella giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, e da ultimo riaffermato dalla Cassazione con sentenza n. 395/2017. La Corte costituzionale, infatti, ha già affermato chiaramente e plurime volte il seguente principio: “in particolare, come già in passato osservato, «la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che la previsione del rito camerale per la composizione di conflitti di interesse mediante provvedimenti decisori non è di per sé suscettiva di frustrare il diritto di difesa, in quanto l’esercizio di quest’ultimo può essere modulato dalla legge in relazione alle peculiari esigenze dei vari procedimenti […] purché ne vangano assicurati lo scopo e la funzione» (sentenza n. 103 del 1985, ordinanze n. 121 del 1994 e n. 141 del 1998); che, più nello specifico, può escludersi sia l’irragionevolezza della scelta legislativa sia la violazione del diritto di difesa sia, infine, la violazione della regola del giusto processo garantita dall’art. 111, primo comma, Cost., ove il modello processuale previsto dal legislatore, nell’esercizio del potere discrezionale di cui egli è titolare in materia (da ultimo sentenza n. 221 del 2008), sia tale da assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, lo svolgimento di un’adeguata attività probatoria, la possibilità di avvalersi della difesa tecnica, la facoltà della impugnazione – sia per motivi di merito che per ragioni di legittimità – della decisione assunta, la attitudine del provvedimento conclusivo del giudizio ad acquisire stabilità, quanto meno “allo stato degli atti”” (così Corte Costituzionale, 29.05.2009, n. 170. In senso conforme Corte Cost., ord. n. 19 del 2010).

Infatti la non reclamabilità del decreto del Tribunale che decide sul ricorso, ovvero l’eliminazione del doppio grado di merito nell’ordinamenti italiano appare unica quanto alla tutela accordata nel processo italiano ai diritti soggettivi coperti da garanzie costituzionali.

La Corte costituzionale ha ritenuto legittimo il modello processuale della volontaria giurisdizione a condizione, tra le altre, della “ facoltà della impugnazione – sia per motivi di merito che per ragioni di legittimità” (170/2009). Perciò l’eliminazione del doppio grado di giudizio insieme alla non reclamabilità della sentenza del tribunale appare in palese contrasto con i principi costituzionali, senza considerare che la protezione internazionale è l’unica materia, pur afferente a diritti costituzionali rientranti tra i principi fondamentali della Repubblica (art. 10, co. 3 Cost.) e regolati anche da norme dell’UE e da norme internazionali, in cui è soppresso l’appello, così determinando un diritto speciale per i soli richiedenti asilo, con violazione dell’art. 3 della Costituzione.

L’eliminazione dell’appello insieme alla non reclamabilità della sentenza del tribunale appare irrazionale nell’ordinamento italiano in cui la garanzia del doppio grado di merito è prevista anche per controversie civili di ben minor valore rispetto all’accertamento se sussista o meno in capo allo straniero un fondato rischio di persecuzione o di esposizione a torture, trattamenti disumani e degradanti o eventi bellici in caso di rientro nel proprio Paese, e l’inevitabile trasferimento nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione delle criticità e delle disfunzioni che si dichiara di voler eliminare.

L’eliminazione dell’appello insieme alla non reclamabilità della sentenza del tribunale inolre sopprime per la sola materia della protezione internazionale un essenziale momento di uniformazione degli orientamenti giurisprudenziali e finisce per gravare pesantemente sui carichi della Cassazione (tenuta a decidere entro sei mesi dalla presentazione del ricorso), che finora si era occupata in misura ridotta della materia proprio a causa dell’efficacia del filtro dell’appello.

In ogni caso l’eliminazione del doppio grado di merito produce inevitabilmente un notevole aumento dei ricorsi davanti alla Corte di cassazione, pur con tutti i limiti intrinseci a tale giudizio, che esclude una rivisitazione dei fatti.

L’illegittimità costituzionale delle scelte operate nel D.L. n. 13/2017 deriva insomma dall’avere previsto contestualmente il rito camerale per la trattazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, il rito camerale ove l’esistenza dell’udienza di discussione è solo eventuale ed eventuale è anche la partecipazione della parte al processo e la sua audizione, il tutto nell’ambito di un processo che vede, quale principale fonte di prova, le dichiarazioni della parte, le quali devono essere valutate ex nunc dal giudice per espressa previsione normativa europea (art. 46 della Direttiva 2013/32/UE), nonché la eliminazione del doppio grado di giudizio di merito insieme alla non reclamabilità della sentenza del tribunale nell’ambito del sistema processuale attuale che prevede, nello stesso processo per cassazione derivante dalla recente approvazione della L. 197/2016, lo sviluppo di un modello camerale in assenza di dialogo con gli avvocati ed in assenza di udienza.

Da ciò, invero, deriva la lesione del principio di eguaglianza, sotto il profilo della ragionevolezza, della riserva di legge in materia di stranieri, del diritto alla difesa (che in materia di protezione internazionale deve essere effettiva secondo la direttiva UE sulle procedure di esame delle domande) e del contraddittorio nel processo (artt. 3, 10, 24, 111 e 117 Cost.)

Per rimediare a tali profili di dubbia costituzionalità occorre prevedere

1) la garanzia del contraddittorio con l’udienza convocata dal giudice anche su richiesta del ricorrente, che deve essere esclusa soltanto se il giudice ritenga di disporre già di elementi sufficienti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

32. Controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale

Al fine di recepire in modo completo il diritto al ricorso effettivo previsto dall’art. 46, parr. 1 e 3 della direttiva 2013/32/UE occorre modificare l’art. 35-bis d.lgs. n. 25/2008, introdotto dal d.l. n. 13/2017 nella parte che prevede la non reclamabilità della sentenza del tribunale.

La previsione di un unico grado di merito caratterizzato da una cognizione di regola cartolare, nel quale l’udienza è solo un’eventualità e ha forma camerale, viola il principio del contraddittorio e della pubblicità del processo, garantiti dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 Conv. eur. dir. uomo, come ribadito nella giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, e da ultimo riaffermato dalla Cassazione con sentenza n. 395/2017. La Corte costituzionale, infatti, ha già affermato chiaramente e plurime volte il seguente principio: “in particolare, come già in passato osservato, «la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che la previsione del rito camerale per la composizione di conflitti di interesse mediante provvedimenti decisori non è di per sé suscettiva di frustrare il diritto di difesa, in quanto l’esercizio di quest’ultimo può essere modulato dalla legge in relazione alle peculiari esigenze dei vari procedimenti […] purché ne vangano assicurati lo scopo e la funzione» (sentenza n. 103 del 1985, ordinanze n. 121 del 1994 e n. 141 del 1998); che, più nello specifico, può escludersi sia l’irragionevolezza della scelta legislativa sia la violazione del diritto di difesa sia, infine, la violazione della regola del giusto processo garantita dall’art. 111, primo comma, Cost., ove il modello processuale previsto dal legislatore, nell’esercizio del potere discrezionale di cui egli è titolare in materia (da ultimo sentenza n. 221 del 2008), sia tale da assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, lo svolgimento di un’adeguata attività probatoria, la possibilità di avvalersi della difesa tecnica, la facoltà della impugnazione – sia per motivi di merito che per ragioni di legittimità – della decisione assunta, la attitudine del provvedimento conclusivo del giudizio ad acquisire stabilità, quanto meno

“allo stato degli atti”” (così Corte Costituzionale, 29.05.2009, n. 170. In senso conforme Corte Cost., ord. n. 19 del 2010).

Infatti la non reclamabilità del decreto del Tribunale che decide sul ricorso, ovvero l’eliminazione del doppio grado di merito nell’ordinamenti italiano appare unica quanto alla tutela accordata nel processo italiano ai diritti soggettivi coperti da garanzie costituzionali.

La Corte costituzionale ha ritenuto legittimo il modello processuale della volontaria giurisdizione a condizione, tra le altre, della “ facoltà della impugnazione – sia per motivi di merito che per ragioni di legittimità” (170/2009). Perciò l’eliminazione del doppio grado di giudizio insieme alla non reclamabilità della sentenza del tribunale appare in palese contrasto con i principi costituzionali, senza considerare che la protezione internazionale è l’unica materia, pur afferente a diritti costituzionali rientranti tra i principi fondamentali della Repubblica (art. 10, co. 3 Cost.) e regolati anche da norme dell’UE e da norme internazionali, in cui è soppresso l’appello, così determinando un diritto speciale per i soli richiedenti asilo, con violazione dell’art. 3 della Costituzione.

L’eliminazione dell’appello insieme alla non reclamabilità della sentenza del tribunale appare irrazionale nell’ordinamento italiano in cui la garanzia del doppio grado di merito è prevista anche per controversie civili di ben minor valore rispetto all’accertamento se sussista o meno in capo allo straniero un fondato rischio di persecuzione o di esposizione a torture, trattamenti disumani e degradanti o eventi bellici in caso di rientro nel proprio Paese, e l’inevitabile trasferimento nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione delle criticità e delle disfunzioni che si dichiara di voler eliminare.

L’eliminazione dell’appello insieme alla non reclamabilità della sentenza del tribunale inolre sopprime per la sola materia della protezione internazionale un essenziale momento di uniformazione degli orientamenti giurisprudenziali e finisce per gravare pesantemente sui carichi della Cassazione (tenuta a decidere entro sei mesi dalla presentazione del ricorso), che finora si era occupata in misura ridotta della materia proprio a causa dell’efficacia del filtro dell’appello.

In ogni caso l’eliminazione del doppio grado di merito produce inevitabilmente un notevole aumento dei ricorsi davanti alla Corte di cassazione, pur con tutti i limiti intrinseci a tale giudizio, che esclude una rivisitazione dei fatti.

L’illegittimità costituzionale delle scelte operate nel D.L. n. 13/2017 deriva insomma dall’avere previsto contestualmente il rito camerale per la trattazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, il rito camerale ove l’esistenza dell’udienza di discussione è solo eventuale ed eventuale è anche la partecipazione della parte al processo e la sua audizione, il tutto nell’ambito di un processo che vede, quale principale fonte di prova, le dichiarazioni della parte, le quali devono essere valutate ex nunc dal giudice per espressa previsione normativa europea (art. 46 della Direttiva 2013/32/UE), nonché la eliminazione del doppio grado di giudizio di merito insieme alla non reclamabilità della sentenza del tribunale nell’ambito del sistema processuale attuale che prevede, nello stesso processo per cassazione derivante dalla recente approvazione della L. 197/2016, lo sviluppo di un modello camerale in assenza di dialogo con gli avvocati ed in assenza di udienza.

Da ciò, invero, deriva la lesione del principio di eguaglianza, sotto il profilo della ragionevolezza, della riserva di legge in materia di stranieri, del diritto alla difesa (che in materia di protezione internazionale deve essere effettiva secondo la direttiva UE sulle procedure di esame delle domande) e del contraddittorio nel processo (artt. 3, 10, 24, 111 e 117 Cost.)

Per rimediare a tali profili di dubbia costituzionalità occorre prevedere:

1) la garanzia del contraddittorio con l’udienza convocata dal giudice anche su richiesta del ricorrente, che deve essere esclusa soltanto se il giudice ritenga di disporre già di elementi sufficienti per il riconoscimento dello status di rifugiato;

2) il controllo di merito sulla decisione del Tribunale, con lo strumento agile e deformalizzato del reclamo al collegio della sezione specializzata, senza la partecipazione del giudice che aveva disposto il decreto reclamato;

3) la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato di fronte al rigetto del reclamo impugnato in cassazione è affidato al presidente della sezione specializzata (e non più allo stesso giudice che aveva disposto il provvedimento impugnato, il che viola la terzietà del giudice prevista dall’art. 111 Cost.) in caso di pericolo per la vita o l’incolumità della persona.

33. Condizioni materiali di accoglienza

In primo luogo al fine di affinare le procedure di affidamento e di gestione dei centri di accoglienza e di prevenire ogni forma di illecito nella gestione è necessario prevedere nell’art. 12 d. lgs. n. 142/2015 misure aggiuntive collegate alle gare di appalto e ai controlli, nonché una serie di standard gestionali e strutturali dei centri simili a quelli già oggi elaborati nell’ambito della “Carta della buona accoglienza” firmata da ANCI e Ministero dell’Interno, da inserire nel decreto ministeriale e nello schema di capitolato per tutti i tipi di servizi di accoglienza.

In secondo luogo per prevenire disordini nei centri o incomprensioni o inefficienze nell’effettiva erogazione dei servizi garantiti occorre prevedere forme di contatto tra ospiti delle strutture e uffici amministrativi per consentire agli ospiti delle strutture di manifestare eventuali loro doglianze per le criticità e/o le carenze delle strutture in cui sono accolti, anche sotto il profilo della qualità e/o dell’erogazione concreta di determinati servizi all’interno delle strutture.

34. Rappresentatività

Al fine di favorire l’efficacia e di dare migliore rappresentatività alla composizione dei Tavoli nazionali e regionali per il coordinamento dell’accoglienza dei richiedenti asilo si modificano le norme sulla loro composizione prevedendo l’obbligatoria presenza di rappresentanti degli organi regionali e locali.

35. Diritto al lavoro

1) Al fine di favorire l’effettivo inserimento lavorativo dei richiedenti asilo e di incrementarne l’autosufficienza economica occorre prevedere che i richiedenti asilo abbiano accesso ai rapporti di apprendistato o forme di borse lavoro anche in deroga ai limiti massimi di età e che siano incluse tra i destinatari delle politiche attive del lavoro predisposte dai centri per l’impiego e dall’ANPAL (Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro) e tra le categorie più deboli che possono fruire dell’accesso al lavoro da parte delle cooperative sociali e delle imprese sociali.

2) Al fine di evitare di interrompere eventuali rapporti di lavoro non stagionale ormai consolidatisi dei richiedenti asilo durante il periodo di esame della domanda di asilo, incluso il ricorso giurisdizionale, occorre prevedere, come stabiliscono le leggi di altri Stati dell’UE (come la Svezia), che nei casi in cui sia definitiva e non più impugnabile la decisione di diniego della domanda senza che sia stato rilasciato neppure un permesso di soggiorno per motivi umanitari, lo straniero che abbia in corso un regolare rapporto di lavoro subordinato non stagionale possa ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

36. Obblighi dei richiedenti asilo

La nuova disciplina delle notificazioni delle decisioni delle Commissioni in capo ai responsabili dei centri di accoglienza introdotta nell’art. 11 d. lgs. n. 25/2008 dal d.l. n. 13/2017 ha creato vari disguidi già prima della sua applicazione.

La circolare del 13 agosto 2017 della Commissione nazionale per il diritto d’asilo ha informato che le disposizioni previste dalla legge n. 46/2017, riguardanti le procedure di notifica degli atti e dei provvedimenti da parte delle Commissioni Territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato, da attuarsi a partire dal 17 agosto 2017, non saranno effettivamente applicate sino a successivo avviso. Il repentino cambio di orientamento deriva da un preciso nuovo indirizzo politico-amministrativo impartito dallo stesso Ministro dell’interno con propria direttiva, richiamata nella circolare, mediante la quale si dispongono due misure operative importanti.

In primo luogo si afferma che “l’esigenza di effettuare ulteriori approfondimenti, anche di carattere tecnico-organizzativo, ha indotto il sig. Ministro a disporre la sospensione – sino a nuovo avviso – delle cennate nuove procedure“.

In secondo luogo si impartisce alle Commissioni nazionale e territoriali il compito di attuare la direttiva ministeriale affermando che essa dispone che “nelle more, gli atti ed i provvedimenti adottati dalle Commissioni territoriali e da codesta Commissione nazionale continueranno ad essere notificati secondo le previgenti disposizioni”.

La sospensione dell’effettiva applicazione della nuova disciplina legislativa delle notifiche potrebbe essere motivata anche dall’incapacità dell’amministrazione di giungere ad una soluzione ragionevole ed efficiente per risolvere alcune importanti incertezze applicative.

La prima riguarda l’individuazione del responsabile del centro allorché non sia già individuato mediante altra una norma vigente, soprattutto per i Comuni in cui vi siano più strutture SPRAR facenti parte del medesimo progetto comunale o più centri di accoglienza collettiva e diffusa.

La seconda è collegata all’esigenza di evitare di attribuire funzioni pubbliche a ministri di culto legali rappresentanti di taluni enti ecclesiastici (come il Parroco di una Parrocchia), allorché abbiano messo a disposizione parti di immobili di tali enti per allestirvi strutture di acco-glienza collettiva o diffusa di migranti, il che aveva già indotto alcuni di costoro a preannunciare la dismissione dell’accoglienza alla scadenza, effetto controproducente, ma sentito indispensabile da ritiene doveroso evitare di essere obbligato ad esercitare funzioni pubbliche, anche molto spiacevoli per il migrante accolto, ritenute dissonanti rispetto ai dettami religiosi dell’accoglienza dello straniero e alle funzioni canoniche ed ecclesiali esercitate.

In ogni caso è evidente che la decisione operativa adottata con l’ultima circolare comporta conseguenze molto gravi, soprattutto per le materie della condizione giuridica dello straniero e del diritto di asilo che sono coperte da riserva di legge in base all’art. 10, commi 2 e 3 Cost.

In primo luogo contrasta con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico ispirato al principio di legalità nell’amministrazione qualsiasi tipo di libera decisione da parte dell’amministrazione pubblica di disporre con una mera circolare amministrativa (che non è una fonte del diritto) la non applicazione una norma legislativa vigente qualsiasi e la sostanziale reviviscenza di norme legislative ormai abrogate dalle nuove norme legislative che avrebbero dovuto essere applicate.

In secondo luogo una simile situazione potrebbe comportare il paradosso di rendere nulle le notificazioni delle decisioni nel frattempo avvenute con modalità diverse rispetto a quelle previste dalle nuove norme legislative applicabili dal 17 agosto 2017.

Così talune importanti disposizioni di un decreto-legge – che in quanto tale era stato adottato dal Governo proprio perché si affermava l’esistenza del presupposto costituzionale della sua adozione, cioè presunte e indimostrate “circostanze straordinarie di necessità e urgenza” prescritte dall’art. 77 Cost. – finiscono per essere in parte non applicate di fatto dallo stesso Governo ancor prima del termine in cui diventano effettivamente applicabili di diritto, il che rafforza i dubbi sulla insussistenza dei presupposti costituzionali previsti dall’art. 77 Cost. per l’emanazione di quel decreto-legge.

Occorre in ogni caso adottare disposizioni legislative correttive per rimediare ai più importanti limiti delle nuove disposizioni, che possono prestarsi a disfunzioni ed abusi nelle situazioni di irreperibilità o di revoca delle condizioni di accoglienza, il che potrebbe rendere ineffettivo il diritto alla difesa, poiché dalla notificazione della decisione della Commissione decorrono i termini per l’impugnazione della stessa decisione.

Perciò occorre prevedere che in caso di irreperibilità o di revoca dell’accoglienza lo straniero abbia comunque un termine di 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento alla Questura per chiederne la consegna direttamente presso la Questura o presso la segreteria della Commissione e individuare un solo responsabile delle notificazioni per tutte le strutture di accoglienza nell’ambito dello SPRAR afferenti al medesimo territorio comunale e nei centri CAS e un termine ragionevole (10 giorni) per consentirgli di provvedere ad ogni notificazione.

 

 

 

 

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