Il Tribunale di Milano rinvia alla Consulta il requisito di 5 anni di residenza per l’accesso agli alloggi ERP

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Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 22 gennaio scorso, ha rinviato alla Corte Costituzionale la legge regionale della Lombardia n. 16/2016 nella parte in cui prevede, per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, il requisito della residenza anagrafica o dello svolgimento di attività lavorativa nella Regione per almeno cinque anni.

A proporre l’azione giudiziaria sono state le Associazioni ASGI, NAGA e la CGIL Lombardia insieme ad un ricorrente tunisino, residente in Lombardia dal 2015. Il ricorrente ha presentato domanda di alloggio ERP nel 2017 ma il Comune di Milano l’ha rigettata per l’assenza del requisito della residenza o del lavoro nel quinquennio antecedente, requisito che è appunto previsto dalla legge regionale.

La Corte Costituzionale si era già pronunciata in proposito con ordinanza dell’11 febbraio 2008 proprio sulla legge della Regione Lombardia, riconoscendo, con sintetica motivazione, la legittimità del requisito. Ma da allora, come giustamente ricorda il Tribunale, molta acqua è passata sotto i ponti: in particolare già nel 2014 la Corte aveva dichiarato incostituzionale un requisito solo di poco superiore a quello qui in esame (8 anni previsti da una legge regionale della Val d’Aosta – sentenza 168/14); successivamente le tre sentenze intervenute nel 2018 (numero 106, 107 e 166) hanno rimarcato l’irragionevolezza del requisito della residenza protratta per un predeterminato e significativo periodo di tempo per l’assenza di ragionevole correlazione tra la durata prolungata della residenza e le situazioni di bisogno riferibili alla persona in quanto tale alle quali il servizio abitativo pubblico dovrebbe puntare a rispondere.

La particolarità della vicenda lombarda poi, è che il requisito quinquennale è richiesto anche per i nuclei familiari in condizioni di indigenza cioè con ISEE inferiore a euro 3000 e attestazione dei servizi sociali circa l’impossibilità del nucleo di “soddisfare autonomamente i propri bisogni primari” (art. 23 , comma 3 della legge e art. 13 del regolamento): situazioni quindi di assoluta emergenza per le quali la richiesta di un requisito di residenza o lavoro quinquennale appare del tutto sproporzionata rispetto alla condizione di bisogno.

Il Tribunale, inoltre, ha ritenuto che il requisito costituisca anche una discriminazione indiretta nei confronti degli stranieri che, in forza di specifiche direttive, godono della parità di trattamento nell’accesso all’alloggio e dunque nei confronti dei titolari di protezione internazionale di cui alla direttiva 2011/95 e dei titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo di cui alla direttiva 2203/109. Facendo riferimento alle direttive come “parametri interposti” di costituzionalità, il Tribunale ha quindi sollevato questione di costituzionalità anche ai sensi dell’art. 117, 1^ comma Cost., oltre che ai sensi degli artt. 3 e 10.

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