Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza del 12 dicembre 2019 nella causa C-380/18

L’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una prassi nazionale in forza della quale le autorità competenti possono adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo non soggetto all’obbligo di visto, presente nel territorio degli Stati membri per un soggiorno di breve durata, per il fatto che è considerato una minaccia per l’ordine pubblico, in quanto è sospettato di aver commesso un reato, purché tale prassi venga applicata soltanto se, da un lato, il reato in questione presenti una gravità sufficiente, alla luce della sua natura e della pena prevista, da giustificare la cessazione immediata del soggiorno del medesimo cittadino nel territorio degli Stati membri e, dall’altro, le suddette autorità dispongano di elementi concordanti, obiettivi e precisi per corroborare i loro sospetti, circostanza che è compito del giudice del rinvio verificare.


La sentenza


 

SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

12 dicembre 2019 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Regolamento (UE) 2016/399 – Codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) – Articolo 6 – Condizioni di ingresso per i cittadini di paesi terzi – Nozione di “minaccia per l’ordine pubblico” – Decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare»

Nella causa C‑380/18,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi), con decisione del 6 giugno 2018, pervenuta in cancelleria l’11 giugno 2018, nel procedimento

Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid

contro

E.P.

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da J.‑C. Bonichot, presidente di sezione, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente della Corte, M. Safjan, L. Bay Larsen (relatore) e C. Toader, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: C. Strömholm, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 maggio 2019,

considerate le osservazioni presentate:

–        per E.P., da Š. Petković, advocaat;

–        per il governo dei Paesi Bassi, da J.M. Hoogveld, M.A.M. de Ree, M.L. Noort e M.K. Bulterman, in qualità di agenti;

–        per il governo belga, da C. Van Lul, C. Pochet e P. Cottin, in qualità di agenti, assistiti da C. Decordier, avocate, e da T. Bricout, advocaat;

–        per il governo tedesco, inizialmente da T. Henze e R. Kanitz, e successivamente da R. Kanitz, in qualità di agenti;

–        per il governo svizzero, da S. Lauper, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da G. Wils, J. Tomkin e C. Cattabriga, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 luglio 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2016, L 77, pag. 1; in prosieguo: il «codice frontiere Schengen»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra lo Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza, Paesi Bassi; in prosieguo: il «Segretario di Stato») ed E.P., in merito alla legittimità di una decisione con cui si ingiunge a quest’ultimo di lasciare il territorio dell’Unione europea.

 Contesto normativo

 Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen

3        L’articolo 5, paragrafo 1, della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, fra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990 (GU 2000, L 239, pag. 19; in prosieguo: la «convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen»), prevedeva quanto segue:

«Per un soggiorno non superiore a tre mesi, l’ingresso nel territorio delle Parti contraenti può essere concesso allo straniero che soddisfi le condizioni seguenti:

a)      essere in possesso di un documento o di documenti validi che consentano di attraversare la frontiera, quali determinati dal comitato esecutivo;

(…)

c)      esibire, se necessario, i documenti che giustificano lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti [….] ovvero essere in grado di ottenere legalmente detti mezzi;

d)      non essere segnalato ai fini della non ammissione;

e)      non essere considerato pericoloso per l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale o le relazioni internazionali di una delle Parti contraenti».

4        L’articolo 20, paragrafo 1, della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, come modificata dal regolamento (UE) n. 610/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 (GU 2013, L 182, pag. 1), così dispone:

«Gli stranieri non soggetti all’obbligo del visto possono circolare liberamente nei territori delle Parti contraenti per una durata massima di 90 giorni su un periodo di 180 giorni, sempreché soddisfino le condizioni di ingresso di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e)».

 Direttiva 2004/38/CE

5        L’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifica in GU 2004, L 229, pag. 35), stabilisce quanto segue:

«I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione».

 Regolamento (CE) n. 1987/2006

6        L’articolo 24, paragrafi 1 e 2, del regolamento (CE) n. 1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) (GU 2006, L 381, pag. 4), precisa quanto segue:

«1.      I dati relativi ai cittadini di paesi terzi per i quali è stata effettuata una segnalazione al fine di rifiutare l’ingresso o il soggiorno sono inseriti sulla base di una segnalazione nazionale risultante da una decisione presa dalle autorità amministrative o giudiziarie competenti conformemente alle norme procedurali stabilite dalla legislazione nazionale, decisione adottata solo sulla base di una valutazione individuale. I ricorsi avverso tali decisioni sono presentati conformemente alla legislazione nazionale.

2.      Una segnalazione è inserita quando la decisione di cui al paragrafo 1 è fondata su una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale che la presenza del cittadino di un paese terzo in questione può costituire nel territorio di uno Stato membro. Tale situazione si verifica in particolare nei seguenti casi:

a)      se il cittadino di un paese terzo è stato riconosciuto colpevole in uno Stato membro di un reato che comporta una pena detentiva di almeno un anno;

b)      se nei confronti del cittadino di un paese terzo esistono fondati motivi per ritenere che abbia commesso un reato grave o se esistono indizi concreti sull’intenzione di commettere un tale reato nel territorio di uno Stato membro».

 Direttiva 2008/115/CE

7        L’articolo 3 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98), è del seguente tenore letterale:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

2)      “soggiorno irregolare” la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del [regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2006, L 105, pag. 1)], o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;

(…)».

8        L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva succitata prevede quanto segue:

«Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5».

 Codice dei visti

9        L’articolo 21, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 810/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, che istituisce un codice comunitario dei visti (codice dei visti) (GU 2009, L 243, pag. 1; in prosieguo: il «codice dei visti»), così recita:

«Nell’esaminare una domanda di visto uniforme viene accertato se il richiedente soddisfi le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), c), d) ed e), del [regolamento n. 562/2006] ed è accordata particolare attenzione alla valutazione se il richiedente presenti un rischio di immigrazione illegale o un rischio per la sicurezza degli Stati membri e se il richiedente intenda lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto».

 Codice frontiere Schengen

10      I considerando 6 e 27 del codice frontiere Schengen sono così formulati:

«(6)      Il controllo di frontiera è nell’interesse non solo dello Stato membro alle cui frontiere esterne viene effettuato, ma di tutti gli Stati membri che hanno abolito il controllo di frontiera interno. Il controllo di frontiera dovrebbe contribuire alla lotta contro l’immigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani nonché alla prevenzione di qualunque minaccia per la sicurezza interna, l’ordine pubblico, la salute pubblica e le relazioni internazionali degli Stati membri.

(…)

(27)      Conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone deve essere interpretata in modo restrittivo e il concetto di ordine pubblico presuppone l’esistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di interessi fondamentali della società».

11      L’articolo 2 del codice succitato prevede quanto segue:

«Ai fini del presente regolamento, si intende per:

(…)

5)      “beneficiari del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto unionale”:

a)      i cittadini dell’Unione ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, TFUE, nonché i cittadini di paesi terzi familiari di un cittadino dell’Unione che esercita il suo diritto alla libera circolazione sul territorio dell’Unione europea, ai quali si applica la direttiva [2004/38];

b)      i cittadini di paesi terzi e i loro familiari, qualunque sia la loro nazionalità, che, in virtù di accordi conclusi tra l’Unione e i suoi Stati membri, da un lato, e tali paesi terzi, dall’altro, beneficiano di diritti in materia di libera circolazione equivalenti a quelli dei cittadini dell’Unione;

(…)».

12      L’articolo 6, paragrafo 1, del suddetto codice così dispone:

«Per soggiorni previsti nel territorio degli Stati membri, la cui durata non sia superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni, il che comporta di prendere in considerazione il periodo di 180 giorni che precede ogni giorno di soggiorno, le condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi sono le seguenti:

(…)

d)      non essere segnalato nel [sistema d’informazione Schengen (SIS)] ai fini della non ammissione;

e)      non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri, in particolare non essere oggetto di segnalazione ai fini della non ammissione nelle banche dati nazionali degli Stati membri per gli stessi motivi».

13      L’articolo 8, paragrafo 2, terzo comma, del medesimo codice prevede quanto segue:

«Tuttavia quando effettuano, in modo non sistematico, verifiche minime sui beneficiari del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto unionale, le guardie di frontiera possono consultare banche dati nazionali ed europee per accertarsi che una persona non rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per la sicurezza interna, l’ordine pubblico o le relazioni internazionali degli Stati membri oppure una minaccia per la salute pubblica».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

14      Mentre si trovava nei Paesi Bassi per un soggiorno di breve durata per il quale beneficiava di un’esenzione dall’obbligo di visto, E.P., cittadino di un paese terzo, è stato sospettato di aver commesso una violazione della legislazione penale dei Paesi Bassi sugli stupefacenti.

15      Con decisione del 19 maggio 2016, il Segretario di Stato ha ingiunto a E.P. di lasciare il territorio dell’Unione, con la motivazione che egli non soddisfaceva più la condizione di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen, in quanto rappresentava una minaccia per l’ordine pubblico.

16      E.P. ha proposto ricorso avverso la suddetta decisione dinanzi al rechtbank Den Haag, zittingsplaats Amsterdam (Tribunale dell’Aia, sede di Amsterdam, Paesi Bassi).

17      Con sentenza del 13 settembre 2016, il giudice summenzionato ha accolto il ricorso e ha annullato la decisione del Segretario di Stato.

18      Il Segretario di Stato ha impugnato detta sentenza.

19      Tenuto conto in particolare della natura della decisione adottata nei confronti di E.P., della complessità delle valutazioni che il Segretario di Stato era chiamato a effettuare per adottare una decisione del genere e della circostanza che E.P. si trovava nel territorio di uno Stato membro il giorno in cui essa è stata adottata, il giudice del rinvio si chiede se la constatazione di una minaccia per l’ordine pubblico, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen, presupponesse di dimostrare che il comportamento personale di E.P. rappresentava una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società.

20      Esso ritiene che, allo stato attuale, la giurisprudenza della Corte, scaturente dalle sentenze del 19 dicembre 2013, Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:862); dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, UE:C:2015:377); del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13, UE:C:2015:413); del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, UE:C:2016:84), e del 4 aprile 2017, Fahimian (C‑544/15, UE:C:2017:255), non consenta di fornire una risposta univoca alla questione suesposta.

21      Il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) ha pertanto deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del [codice frontiere Schengen] debba essere interpretato nel senso che, nell’accertare che il soggiorno regolare non superiore a 90 giorni su un periodo di 180 giorni è terminato, in quanto uno straniero viene considerato una minaccia per l’ordine pubblico, occorre come motivazione che il comportamento personale dello straniero di cui trattasi costituisce una minaccia attuale, reale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società.

2)      In caso di risposta negativa alla prima questione, quali requisiti di motivazione siano richiesti dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del [codice frontiere Schengen] per motivare che uno straniero costituisce una minaccia per l’ordine pubblico.

Se l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del [codice frontiere Schengen] debba essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi nazionale in conformità della quale uno straniero viene considerato una minaccia per l’ordine pubblico per il solo fatto che egli risulta sospettato di aver commesso un reato».

 Sulle questioni pregiudiziali

22      Con le questioni poste, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen debba essere interpretato nel senso che esso osta a una prassi nazionale in forza della quale le autorità competenti possono adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo non soggetto all’obbligo di visto, presente nel territorio degli Stati membri per un soggiorno di breve durata, per il fatto che il medesimo è considerato una minaccia per l’ordine pubblico, in quanto sospettato di aver commesso un reato.

23      Dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen risulta che le condizioni d’ingresso per un soggiorno di breve durata nel territorio degli Stati membri includono quella di non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri.

24      Sebbene la succitata disposizione definisca tale condizione come condizione d’ingresso nel territorio degli Stati membri, occorre tuttavia constatare che, in seguito all’ingresso in tale territorio, la regolarità del soggiorno nel medesimo territorio resta del pari subordinata al rispetto della stessa condizione.

25      Da un lato, infatti, l’articolo 20, paragrafo 1, della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen prevede che i cittadini di paesi terzi non soggetti all’obbligo del visto possono circolare liberamente nei territori degli Stati membri per il periodo definito dalla medesima disposizione, sempreché tali cittadini di paesi terzi soddisfino le condizioni di ingresso di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e da c) a e), di detta convenzione.

26      A tale riguardo, va ricordato che l’articolo 6, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen ha sostituito l’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 562/2006, il quale aveva a sua volta sostituito l’articolo 5, paragrafo 1, della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen. Pertanto, l’articolo 20, paragrafo 1, della convenzione in parola deve essere inteso nel senso che esso oramai rinvia all’articolo 6, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen.

27      Dall’altro lato, dall’articolo 3, punto 2, della direttiva 2008/115 risulta che un cittadino di un paese terzo che è presente nel territorio di uno Stato membro senza soddisfare le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del regolamento n. 562/2006, ora sostituito dall’articolo 6 del codice frontiere Schengen, o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza, versa, perciò, in una situazione di soggiorno irregolare in tale territorio (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2016, Affum, C‑47/15, EU:C:2016:408, punto 59).

28      Pertanto, poiché l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva succitata prevede che gli Stati membri adottino, in linea di principio, una decisione di rimpatrio nei confronti di qualsiasi cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, si deve ritenere che uno Stato membro possa adottare una decisione del genere nei confronti di un cittadino di un paese terzo non soggetto all’obbligo di visto, presente nel territorio degli Stati membri per un soggiorno di breve durata, qualora costituisca una minaccia per l’ordine pubblico, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen.

29      Ciò posto, al fine di determinare la portata della nozione di «minaccia per l’ordine pubblico» di cui a quest’ultima disposizione, occorre ricordare che, per costante giurisprudenza della Corte, un cittadino dell’Unione che abbia esercitato il proprio diritto alla libera circolazione e taluni suoi familiari possono essere considerati una minaccia per l’ordine pubblico solo se il loro comportamento individuale rappresenta una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società dello Stato membro interessato (v., in tal senso, sentenze del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri, C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punti 66 e 67, e del 10 luglio 2008, Jipa, C‑33/07, EU:C:2008:396, punti 23 e 24).

30      La nozione di «minaccia per l’ordine pubblico» è stata in seguito interpretata allo stesso modo nell’ambito di varie direttive che disciplinano la situazione di cittadini di paesi terzi che non sono familiari di un cittadino dell’Unione (v. sentenze dell’11 giugno 2015, Zh. e O., C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 60; del 24 giugno 2015, T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 79, e del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 67).

31      Ciononostante, non ogni riferimento, da parte del legislatore dell’Unione, alla nozione di «minaccia per l’ordine pubblico» deve necessariamente essere inteso nel senso che esso rinvia esclusivamente a un comportamento individuale che rappresenta una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società dello Stato membro interessato.

32      In tal senso, per quanto riguarda la nozione affine di «minaccia per la sicurezza pubblica», la Corte ha dichiarato che, nell’ambito della direttiva 2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato (GU 2004, L 375, pag. 12), tale nozione deve essere interpretata in modo più ampio di quanto non lo sia nella giurisprudenza relativa ai beneficiari del diritto alla libera circolazione e che la medesima nozione può in particolare comprendere potenziali minacce alla sicurezza pubblica (v., in tal senso, sentenza del 4 aprile 2017, Fahimian, C‑544/15, EU:C:2017:255, punto 40).

33      Risulta quindi necessario, al fine di precisare la portata della nozione di «minaccia per l’ordine pubblico», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen, tener conto dei termini di tale disposizione, del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in tal senso, sentenze del 24 giugno 2015, T., C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 58, e del 4 aprile 2017, Fahimian, C‑544/15, EU:C:2017:255, punto 30).

34      Per quanto riguarda, in primo luogo, il tenore letterale dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del succitato codice, occorre rimarcare che, a differenza, in particolare, dell’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, esso non richiede espressamente che il comportamento della persona interessata rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società affinché tale persona possa essere considerata una minaccia per l’ordine pubblico.

35      La valutazione suesposta è confortata, in secondo luogo, dal contesto nel quale si colloca l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen.

36      A tale proposito, è necessario rilevare, anzitutto, che tale disposizione presenta altresì uno stretto legame con il codice dei visti, giacché il rispetto della condizione di ingresso da essa prevista deve, in forza dell’articolo 21, paragrafo 1, di detto codice, essere verificato prima del rilascio di un visto uniforme.

37      Pertanto, l’ampio margine di discrezionalità riconosciuto dalla Corte alle autorità competenti degli Stati membri nella verifica del rispetto delle condizioni cui è subordinato il rilascio di un visto uniforme deve logicamente, tenuto conto della complessità di un tale esame (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2013, Koushkaki, C‑84/12, EU:C:2013:862, punti da 56 a 60), essere riconosciuto alle suddette autorità anche quando esse stabiliscono se un cittadino di un paese terzo costituisca una minaccia per l’ordine pubblico, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen.

38      Inoltre, se è vero che il considerando 27 e l’articolo 8, paragrafo 2, terzo comma, del codice in parola si riferiscono espressamente alla situazione nella quale una persona rappresenta «una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave» per l’ordine pubblico, tali riferimenti riguardano soltanto la situazione di beneficiari del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto dell’Unione, conformemente all’articolo 2, punto 5, del medesimo codice.

39      Ciò posto, se avesse inteso subordinare anche l’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen all’esistenza di una situazione del genere, il legislatore dell’Unione avrebbe logicamente formulato la disposizione in questione allo stesso modo dell’articolo 8, paragrafo 2, terzo comma, di tale codice.

40      Infine, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera d), del codice frontiere Schengen prevede che anche la condizione di non essere segnalato nel SIS ai fini della non ammissione costituisce una condizione d’ingresso per un soggiorno di breve durata nel territorio degli Stati membri.

41      Orbene, dall’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento n. 1987/2006 risulta che un cittadino di un paese terzo che è stato riconosciuto colpevole di un reato che comporta una pena detentiva di almeno un anno o nei confronti del quale esistono fondati motivi per ritenere che abbia commesso un reato grave può essere segnalato ai fini del rifiuto di ingresso nel SIS in quanto costituisce una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica.

42      Ne consegue che la nozione di «minaccia per l’ordine pubblico [o] la sicurezza pubblica», ai sensi della succitata disposizione, differisce quindi sensibilmente da quella esposta al punto 27 della presente sentenza (v., per analogia, sentenza del 31 gennaio 2006, Commissione/Spagna, C‑503/03, EU:C:2006:74, punto 48).

43      In tale contesto ritenere che la nozione di «minaccia per l’ordine pubblico», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen, sia più ristretta di quella da cui dipende l’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera d), dello stesso introdurrebbe un’incoerenza in detto codice.

44      Per quanto concerne, in terzo luogo, gli obiettivi del codice frontiere Schengen, dal considerando 6 del medesimo emerge che il controllo di frontiera dovrebbe contribuire alla prevenzione di «qualunque minaccia» per l’ordine pubblico.

45      Pertanto, risulta, da un lato, che il mantenimento dell’ordine pubblico costituisce, in quanto tale, uno degli obiettivi perseguiti dal codice in parola e, dall’altro, che il legislatore dell’Unione ha inteso contrastare tutte le minacce per l’ordine pubblico.

46      Alla luce di tutte le considerazioni suesposte, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen non può essere interpretato nel senso che osta, per principio, a una prassi nazionale in forza della quale viene adottata una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo non soggetto all’obbligo di visto, presente nel territorio degli Stati membri per un soggiorno di breve durata, poiché questi è sospettato di aver commesso un reato, senza aver dimostrato che il comportamento del medesimo rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società dello Stato membro interessato.

47      Una prassi nazionale di questo tipo deve nondimeno essere conforme al principio di proporzionalità, il quale costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, e non deve quindi andare oltre quanto è necessario per tutelare l’ordine pubblico (v., in tal senso, sentenze del 2 maggio 2019, Lavorgna, C‑309/18, EU:C:2019:350, punto 24; del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 68, e del 9 luglio 2015, K e A, C‑153/14, EU:C:2015:453, punto 51).

48      Ne consegue, da un lato, che il reato che il cittadino di un paese terzo in questione è sospettato di aver commesso deve essere di gravità sufficiente, alla luce della sua natura e della pena prevista, da giustificare la cessazione immediata del soggiorno di tale cittadino nel territorio degli Stati membri.

49      Dall’altro, in assenza di una condanna, le autorità competenti possono dedurre una minaccia per l’ordine pubblico soltanto in presenza di elementi concordanti, obiettivi e precisi, che consentano di sospettare il suddetto cittadino di aver commesso un reato del genere.

50      È compito del giudice del rinvio verificare se la prassi nazionale di cui al procedimento principale soddisfi le suddette condizioni.

51      Da tutto quanto precede risulta che occorre rispondere alle questioni poste dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una prassi nazionale in forza della quale le autorità competenti possono adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo non soggetto all’obbligo di visto, presente nel territorio degli Stati membri per un soggiorno di breve durata, per il fatto che è considerato una minaccia per l’ordine pubblico, in quanto è sospettato di aver commesso un reato, purché tale prassi venga applicata soltanto se, da un lato, il reato in questione presenti una gravità sufficiente, alla luce della sua natura e della pena prevista, da giustificare la cessazione immediata del soggiorno del medesimo cittadino nel territorio degli Stati membri e, dall’altro, le suddette autorità dispongano di elementi concordanti, obiettivi e precisi per corroborare i loro sospetti, circostanza che è compito del giudice del rinvio verificare.

 Sulle spese

52      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

L’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen), deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una prassi nazionale in forza della quale le autorità competenti possono adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo non soggetto all’obbligo di visto, presente nel territorio degli Stati membri per un soggiorno di breve durata, per il fatto che è considerato una minaccia per l’ordine pubblico, in quanto è sospettato di aver commesso un reato, purché tale prassi venga applicata soltanto se, da un lato, il reato in questione presenti una gravità sufficiente, alla luce della sua natura e della pena prevista, da giustificare la cessazione immediata del soggiorno del medesimo cittadino nel territorio degli Stati membri e, dall’altro, le suddette autorità dispongano di elementi concordanti, obiettivi e precisi per corroborare i loro sospetti, circostanza che è compito del giudice del rinvio verificare.

Firme