La scheda nasce con l’obiettivo di offrire agli operatori uno strumento di approfondimento delle diverse tutele che il nostro ordinamento prevede in presenza di peculiari condizioni rilevanti sotto il profilo sanitario dei cittadini migranti e in particolare dei permessi di soggiorno previsti sia nel caso in cui un cittadino straniero si trovi già sul territorio italiano sia nel caso in cui debba fare ingresso in Italia per ricevere cure mediche specifiche. La scheda inoltre approfondisce i casi in cui , con richiami anche a sentenze delle Corti europee, in presenza di determinate condizioni psicofisiche, il richiedente asilo possa ottenere il riconoscimento della Protezione Internazionale o in subordine della protezione speciale. All’interno della scheda, vengono preliminarmente analizzati i permessi di soggiorno per cure mediche previsti dal nostro ordinamento, come il permesso per gravidanza e per assistenza minori , per poi passare all’esame del permesso di soggiorno per cure mediche introdotto nel nostro ordinamento dal D.L 113/2018, convertito con Legge 132/2018, analizzando in particolare i presupposti per il suo rilascio, anche alla luce delle modifiche introdotte dal D.L 130/2020, e la tutela giurisdizionale prevista in caso di diniego da parte della Questura, Tribunale competente e termini per il ricorso.
La tutela del diritto alla salute e i permessi di soggiorno per cure mediche previsti dall’ordinamento prima del d.l. 113/2018 conv l. 132/2018
1 Il diritto alla salute del cittadino straniero non regolarmente soggiornante e il divieto di espulsione in caso di pregiudizio al diritto alla salute (cenni)
L’art. 32 della Costituzione italiana considera la salute come un diritto fondamentale dell’individuo, oltre che un interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Secondo la Corte Costituzionale, la salute è un diritto che la Repubblica italiana “riconosce” all’individuo in quanto tale e non “concede” in relazione a condizioni determinate e tale diritto deve essere riconosciuto anche allo straniero, qualunque sia la sua posizione rispetto alla normativa sull’ingresso e soggiorno1.
La Corte Costituzione ha altresì riconosciuto come la tutela del diritto alla salute, almeno per quanto riguarda il suo nucleo irriducibile 2, può impedire l’espulsione del cittadino straniero qualora lo stesso potrebbe subire, per via dell’immediata esecuzione del provvedimento, un irreparabile pregiudizio di tale diritto.
In particolare, la Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 252 del 2001, ha affermato che “il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la tutela della salute è costituzionalmente condizionato dalle esigenze di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, salva, comunque, la garanzia di un nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto. Questo nucleo irriducibile di tutela della salute quale diritto fondamentale della persona deve perciò essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso e il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso”.
A ciò si aggiunga che, secondo la Suprema Corte di Cassazione, l’essenzialità delle cure può far riferimento anche alle «semplici somministrazioni di farmaci quando si tratti di terapie necessarie a eliminare rischi per la vita o il verificarsi di maggiori danni alla salute, in relazione all’indisponibilità dei farmaci nel Paese verso il quale lo straniero dovrebbe essere espulso»3 e l’irreparabile pregiudizio a cui potrebbe essere sottoposto lo straniero in caso di espulsione può dipendere anche dalla necessità di «assicurare le prestazioni terapeutiche o diagnostiche relative ad una patologia» o «anche le semplici somministrazioni di farmaci quando si tratti di terapie necessarie che, anche se non pericolosa nell’immediato, potrebbe determinare nel tempo un maggior danno per la salute o rischi per la vita4 in relazione all’indisponibilità dei farmaci nel Paese verso il quale lo straniero dovrebbe essere espulso»5.
Secondo l’art. 35 co. 3 del Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. 286/1998), agli stranieri, non in regola con le norme sull’ingresso e soggiorno, vengano assicurate, nei presidi pubblici e accreditati, le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio e siano estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva6, incluse la tutela della maternità, le vaccinazioni e la profilassi delle malattie infettive; il successivo co. 5 del medesimo articolo stabilisce che l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano.
La prescrizione e la registrazione delle prestazioni nei confronti degli stranieri privi di permesso di soggiorno vengono effettuate utilizzando un codice regionale a sigla STP (Straniero Temporaneamente Presente) che identifica l’assistito per tutte le prestazioni e che deve essere riconosciuto su tutto il territorio nazionale (art. 43 co. 3 Dpr 394/99).
L’art. 32 della Costituzione italiana considera la salute come un diritto fondamentale dell’individuo, oltre che un interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Secondo la Corte Costituzionale, la salute è un diritto che la Repubblica italiana “riconosce” all’individuo in quanto tale e non “concede” in relazione a condizioni determinate e tale diritto deve essere riconosciuto anche allo straniero, qualunque sia la sua posizione rispetto alla normativa sull’ingresso e soggiorno[1].
La Corte Costituzione ha altresì riconosciuto come la tutela del diritto alla salute, almeno per quanto riguarda il suo nucleo irriducibile[2], può impedire l’espulsione del cittadino straniero qualora lo stesso potrebbe subire, per via dell’immediata esecuzione del provvedimento, un irreparabile pregiudizio di tale diritto.
In particolare, la Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 252 del 2001, ha affermato che “il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la tutela della salute è costituzionalmente condizionato dalle esigenze di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, salva, comunque, la garanzia di un nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto. Questo nucleo irriducibile di tutela della salute quale diritto fondamentale della persona deve perciò essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso e il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso”.
A ciò si aggiunga che, secondo la Suprema Corte di Cassazione, l’essenzialità delle cure può far riferimento anche alle «semplici somministrazioni di farmaci quando si tratti di terapie necessarie a eliminare rischi per la vita o il verificarsi di maggiori danni alla salute, in relazione all’indisponibilità dei farmaci nel Paese verso il quale lo straniero dovrebbe essere espulso»[3] e l’irreparabile pregiudizio a cui potrebbe essere sottoposto lo straniero in caso di espulsione può dipendere anche dalla necessità di «assicurare le prestazioni terapeutiche o diagnostiche relative ad una patologia» o «anche le semplici somministrazioni di farmaci quando si tratti di terapie necessarie che, anche se non pericolosa nell’immediato, potrebbe determinare nel tempo un maggior danno per la salute o rischi per la vita[4] in relazione all’indisponibilità dei farmaci nel Paese verso il quale lo straniero dovrebbe essere espulso»[5].
Secondo l’art. 35 co. 3 del Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. 286/1998), agli stranieri, non in regola con le norme sull’ingresso e soggiorno, vengano assicurate, nei presidi pubblici e accreditati, le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio e siano estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva[6], , incluse la tutela della maternità, le vaccinazioni e la profilassi delle malattie infettive; il successivo co. 5 del medesimo articolo stabilisce che l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano.
La prescrizione e la registrazione delle prestazioni nei confronti degli stranieri privi di permesso di soggiorno vengono effettuate utilizzando un codice regionale a sigla STP (Straniero Temporaneamente Presente) che identifica l’assistito per tutte le prestazioni e che deve essere riconosciuto su tutto il territorio nazionale (art. 43 co. 3 Dpr 394/99).
2 L’ingresso e soggiorno per cure mediche
Il cittadino straniero che intende ricevere cure mediche in Italia, nonché l’eventuale accompagnatore, possono rivolgersi alla Rappresentanza consolare italiana nel Paese d’origine per ottenere uno specifico visto di ingresso e, una volta in Italia, richiedere il relativo permesso di soggiorno (art. 36 d.lgs. 286/98)7.
La documentazione necessaria al rilascio del visto di ingresso per cure mediche è specificata dall’art. 44 del Dpr 394/99 e include anche la certificazione sanitaria attestante la patologia del richiedente e la documentazione, rilasciata dalla struttura sanitaria prescelta, pubblica o privata accreditata, con indicazione del tipo di cura e della durata presumibile della stessa e della relativa degenza.
L’art. 44 del regolamento di attuazione del testo unico delle leggi sull’immigrazione, approvato con d.p.r. 394/1999 prevede altresì il deposito di una somma a titolo cauzionale pari al 30 per cento del costo complessivo presumibile delle prestazioni richieste, risultando gli oneri delle stesse a carico dell’interessato.
A seguito dell’ingresso in Italia, al cittadino straniero titolare di visto di ingresso per cure mediche viene rilasciato un permesso di soggiorno di durata pari a quella, presunta, del trattamento terapeutico; il permesso di soggiorno è rinnovabile finché durano le necessità’ terapeutiche documentate (art. 36 d.lgs. 286/98).
Secondo quanto previsto dall’art. 36 co. 3 d.lgs. 286/98, come modificato dal d.l. 130/2020 conv. l. 173/2020, il permesso di soggiorno per cure mediche rilasciato a seguito di corrispondente visto di ingresso consente lo svolgimento di attività lavorativa.
Il cittadino straniero in possesso di tale tipologia di permesso, ai sensi e per gli effetti dell’art 6, comma 7, TU immigrazione può chiedere l’iscrizione anagrafica presso il Comune dove ha fissato la propria residenza.
3 Il permesso di soggiorno per la donna in stato di gravidanza e nei sei mesi di età del minore nonché per il marito convivente e il permesso di soggiorno per assistenza minore
Il Testo Unico sull’immigrazione contiene altre disposizioni finalizzate alla tutela dei cittadini stranieri che si trovano in determinate condizioni, per i quali viene previsto il rilascio di un permesso di soggiorno che riporta la dicitura cure mediche.
In particolare, secondo quanto disposto dall’art. 19 c. 2 lett. d) d.lgs. 286, non è consentita l’espulsione delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono; tale permesso di soggiorno, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale 27 Luglio 2000, n. 376, deve essere riconosciuto anche al marito convivente della donna in stato di gravidanza e per la stessa durata
Nei casi sopraindicati, ai sensi dell’art. 28 c. 1 lett. c) Dpr 394/1999, viene rilasciato un permesso per cure mediche; il permesso di soggiorno viene rilasciato a seguito di esibizione della certificazione attestante lo stato di gravidanza o della documentazione relativa alla nascita del bambino, del passaporto o, in mancanza, della carta di identità consolare.
Il cittadino straniero in possesso di permesso di soggiorno per cure mediche, fino ai sei mesi successivi alla nascita del figlio può iscriversi al SSN ai sensi e per l’effetto dell’Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province autonome”, del 20.12.2012 (pubblicato in G.U. serie gen. n. 32 del 07.02.2013, suppl. ord. n.9).
Il permesso per cure mediche costituisce titolo valido per l’iscrizione del cittadino straniero all’Anagrafe della popolazione residente, come stabilito dall’art 6, comma 7, TU immigrazione. Lo svolgimento di attività lavorativa non è riconosciuto nè vietato espressamente da nessuna norma dell’ordinamento. Il permesso di soggiorno per gravidanza, sussistendone i presupposti, può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di famiglia ai sensi e per gli effetti dell’art 30 TU.
Ai sensi dell’art. 31 co. 3 d.lgs. 286/98, il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato.
Con la sentenza n. 21799 del 6 luglio 2010, la Corte di cassazione, SS. UU., ha chiarito che «la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall’art. 31 del d.lgs. n. 286 del 1998 in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psicofisico, non postula necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto”.
Al cittadino straniero al quale il Tribunale per i minorenni ha autorizzato la temporanea permanenza ex art. 31 d.lgs. 286/98 viene rilasciato un permesso di soggiorno che riporta normalmente la dicitura assistenza minore, della durata indicata dal Tribunale per i minorenni.
Il permesso di soggiorno rilasciato a seguito di autorizzazione alla permanenza ex art 31 d.lgs. 286/98 consente lo svolgimento dell’attività lavorativa e, come previsto dall’art. 6 c. 1 bis d.lgs. 286/98 introdotto dal d.l. 130/2020 conv. l. 173/2020, può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, se ne sussistono le condizioni.
Il permesso di soggiorno ex art 31 d.lgs 286/98 può essere convertito anche in motivi familiari ai sensi e per l’effetto dell’art 30 TU nonché in permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, in presenza dei presupposti richiesti dall’art 9 TU immigrazione, come precisato da numerosi precedenti giurisprudenziali. ( cfr: CDS III^ Sezione n. 1909 del 14.04.2015; Parere CDS Sez I^ n.01707/2016 del 22-07-2016; sentenza Tar Campania Napoli n.766 del 17.02.2020)
Al cittadino straniero in possesso di un permesso ex art 31 d.lgs 286/98 che svolga attività lavorativa è garantita l’iscrizione al SSN ai sensi e per gli effetti dell’art 34, comma 1, lettera a).
Tale tipologia di permesso di soggiorno consente l’iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente.
4 Il permesso di soggiorno per i cittadini stranieri già regolarmente soggiornanti e impossibilitati a reperire altra occupazione in ragione delle condizioni di salute
Le persone regolarmente soggiornanti che si trovano nell’impossibilità oggettiva di reperire nuova occupazione a causa del loro stato di salute, superato il periodo massimo di disoccupazione di cui all’art. 22 co.11 T.U., possono, a prescindere dalla disponibilità di altre risorse reddituali o dalla concreta fruizione di prestazioni previdenziali o assistenziali, ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per attesa occupazione, poiché in tal caso si è in presenza di una causa di forza maggiore che sostanzialmente interrompe il termine annuale per il reperimento di nuova occupazione e legittima il rinnovo del permesso di soggiorno.
Nel caso di riconoscimento di una rendita per invalidità temporanea o permanente di pensione per invalidità civile possono inoltre chiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per “residenza elettiva”. La Conv. OIL n.97 dell’8 giugno 1949 sancisce infatti all’art.8, comma 1, che ”Un lavoratore emigrante che sia stato ammesso a titolo permanente e i membri della sua famiglia che siano stati autorizzati ad accompagnarlo o a raggiungerlo non potranno essere rinviati nel loro territorio di origine o nel territorio da cui essi sono emigrati, quando a causa di malattia o diinfortunio il lavoratore emigrante si trovi nell’impossibilità di esercitare il proprio mestiere, a condizione che la malattia o l’infortunio sia sopravvenuto dopo il i suo arrivo, a meno che la persona interessata lo desideri o che lo stabiliscano degli accordi internazionali che vincolano lo Stato membro interessato”. In tali casi la domanda eventualmente tardiva di rinnovo del permesso di soggiorno -ancorché sia opportuna la tempestiva proposizione- dovrà essere comunque valutata dalla competente questura.
Il permesso di soggiorno per cure mediche introdotto dal d.l. 113/2018
1 Protezione umanitaria, tipizzazione delle forme di protezione e introduzione di una nuova tipologia di permesso per cure mediche
Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione8, il diritto di asilo consacrato dall’art. 10 comma 3 della Costituzione trovava piena attuazione ad opera delle statuizioni normative concernenti i tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione per motivi umanitari, di cui al d.lgs. 251/2007 e di cui all’art. 5, comma 6 d.lgs. 286/98. Di questi tre strumenti, quello della protezione umanitaria trovava la propria disciplina – prima delle modifiche introdotte dal d.l. 113/2018 conv. l. 130/2018 – nell’art. 5 comma 6 d.lgs. 286/98 e rappresentava una clausola di salvaguardia del sistema delle tutele della persona straniera.
Tale forma di protezione, infatti, comportava la deroga da parte dell’ordinamento delle ferree disposizioni sull’ingresso e il soggiorno sul territorio nazionale, laddove non vi fossero gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ma il rilascio di un permesso di soggiorno fosse necessario per fare fronte a “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”.
Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, la persona doveva trovarsi in una condizione di vulnerabilità, connessa all’impossibilità di godere, nel proprio paese di origine, dei diritti fondamentali da considerarsi “presupposto indispensabile di una vita dignitosa”9.
Come si approfondirà successivamente, tra i diritti che potevano trovare tutela attraverso il riconoscimento della protezione umanitaria, posizione preminente era rivestita dal fondamentale diritto alla salute, garantito da un ampio novero di fonti sovranazionali e, a livello costituzionale, dall’art. 32; le persone straniere affette da gravi patologie, dunque, laddove le loro condizioni personali non ne consentissero il rimpatrio, potevano ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari dalla Commissione Territoriale incaricata di vagliare la richiesta di protezione internazionale oppure dal Questore territorialmente competente.
Con il d.l. 4 ottobre 2018 n. 113, convertito con modificazioni dalla l. 1 dicembre 2018 n. 132 il legislatore ha compiuto delle profonde e rilevanti modifiche normative all’impianto complessivo della protezione internazionale. In particolare, il Decreto Legge in esame ha abrogato la previsione normativa generale della protezione per motivi umanitari, di cui all’art. 5 comma 6 D.lgs 286/98, ed ha espunto da ogni testo di legge la locuzione “protezione umanitaria”.
La manovra effettuata dal legislatore è stata la sostituzione di una forma di tutela ampia, aperta e non imbrigliata in precise maglie normative come quella (ex) umanitaria con una serie di ipotesi speciali e tipizzate di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario, tra cui il permesso per cure mediche disciplinato dall’art. 19 comma 2 lett. d-bis d.lgs. 286/9810.
I casi oggetto dell’opera tipizzante del legislatore, però, non ricalcavano tutte le fattispecie che prima erano suscettibili di ricadere nell’ambito di applicazione della protezione umanitaria; ciò ha determinato un arretramento della soglia della tutela dei diritti delle persone straniere e ha rappresentato uno dei motivi, assieme alla precarietà dei titoli di soggiorno rilasciabili, per cui contro la frammentazione operata dal c.d. Decreto Sicurezza sono state mosse numerose censure11.
A meno di due anni dall’entrata in vigore del d.l. 113 del 2018, è stato approvato il d.l. 130 del 202012 il quale è nuovamente intervenuto sulla disciplina del Testo Unico e sulle normative ad esso collegate, ridisegnando, tra le altre cose, i confini della protezione speciale (ex umanitaria), così reinserendo nell’ordinamento una forma di protezione similare a quella che era prima assicurata dal permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Il legislatore ha apportato delle modifiche altresì alla disciplina del permesso di soggiorno per cure mediche ex art. 19 co. 2 lett. d-bis d.lgs. 286/98., provvedendo altresì a chiarire degli aspetti dubbi di cui si darà conto di seguito.
2 I presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche ex art. 19 co. lett. d-bis d.lgs. 286/98
L’art. 1 comma 1 lett. g) del d.l. 113/2018 è intervenuto sul tessuto normativo dell’art. 19 d.lgs. 286/98, il quale enuncia le condizioni di inespellibilità dello straniero dal territorio italiano e fonda il principio c.d. di non refoulement, ossia di non respingimento. In particolare, mediante l’introduzione al comma 2 della lettera d-bis, il legislatore ha concepito il rilascio di un permesso per cure mediche che, in presenza dei presupposti normativamente definiti, comporta la sospensione della potestà espulsiva dello Stato a tutela del diritto alla salute della persona straniera irregolarmente presente sul territorio.
Il legislatore del 2018, con il dichiarato intento di tipizzare le forme di protezione complementare, ha quindi di fatto incorporato nell’ordinamento l’orientamento giurisprudenziale prima citato, in base al quale la tutela del diritto alla salute può impedire, in presenza di determinate condizioni, l’espulsione del cittadino straniero.
La norma in questione, prima della modifica ad opera del d.l. 130/2020, prevedeva: “2. Non è consentita l’espulsione, salvo che nei casi previsti dall’articolo 13, comma 1, nei confronti:
…d-bis) degli stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravità, accertate mediante idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute degli stessi, in caso di rientro nel Paese di origine o di provenienza.
In tali ipotesi, il Questore rilascia un permesso di soggiorno per cure mediche, per il tempo attestato dalla certificazione sanitaria, comunque non superiore ad un anno, rinnovabile finché persistono le condizioni di salute di particolare gravità debitamente certificate, valido solo nel territorio nazionale”.
L’attuale formulazione della norma, successiva alle modifiche da parte del d.l. 130/2020, vede come presupposto per il rilascio del permesso in esame le “gravi condizioni psico-fisiche o derivanti da gravi patologie” in luogo delle “condizioni di salute di particolare gravità”, con un evidente alleggerimento dell’onere dimostrativo da parte del soggetto interessato. La riforma concerne, sostanzialmente, la situazione di cittadini stranieri irregolari che, a causa della loro condizione medica, subirebbero un rilevante pregiudizio in caso di allontanamento dal territorio italiano.
Quanto al primo presupposto richiesto dalla norma, ossia la gravità delle condizioni psicofisiche o delle patologie a carico della persona, prima declinato come “condizioni di salute di particolare gravità”, si sottolinea come l’utilizzo di simili, ampie, locuzioni apre la strada ad orientamenti non particolarmente stringenti e connotati da larga discrezionalità.
Al fine di indirizzare gli interpreti altresì per ciò che riguarda il requisito del “rilevante pregiudizio” in caso di rimpatrio, può senz’altro dirsi che la disposizione ex art. 19 comma 2 lett. d-bis d.lgs. 286/98 debba essere letta congiuntamente a quella di cui all’art. 35 co. 3, TU 286/98, ove è previsto che agli stranieri irregolarmente soggiornanti sono assicurate, nei presidi pubblici, le “cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti, comunque essenziali, ancorché continuative”.
La definizione di tali concetti è contenuta nella circolare del Ministro della Sanità 24/3/2000 n. 5: “per cure urgenti si intendono le cure che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona; per cure essenziali si intendono le prestazioni sanitarie, diagnostiche o terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita ( complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti). E’ stato altresì affermato dalla legge il principio della continuità delle cure urgenti ed essenziali, nel senso di assicurare all’infermo il ciclo terapeutico e riabilitativo completo riguardo alla possibile risoluzione dell’evento morboso”.
Tale definizione è stata poi integralmente confermata dal già citato art. 63 del DPCM 12/01/2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), espressamente riferito alla condizione dei cittadini stranieri non legalmente soggiornanti.
È evidente che ogni interpretazione maggiormente restrittiva delle “gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie” sarebbe in contrasto con la previsione costituzionale di cui all’art. 32 Cost. e con la lettura che di tale disposizione ha fatto la Corte Costituzionale nelle pronunce già richiamate in precedenza. Per quanto concerne, le gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie si ritiene che le stesse possano sussistere, ad esempio, quando ad essere intaccate sono le funzioni essenziali per l’esercizio dei propri diritti fondamentali, come lavorare o manifestare il pensiero.
Per quanto concerne il requisito del rilevante pregiudizio in caso di allontanamento dal territorio italiano, questo deve necessariamente essere individuato in una qualsiasi limitazione o lesione dell’esercizio e del godimento del diritto alla salute dell’individuo nel Paese di origine13.
A rilevare, pertanto, potranno essere non solo l’assenza di un sistema sanitario adeguato ad apprestare le cure per la determinata patologia sofferta (come la carenza dei farmaci antiretrovirali per la terapia dell’HIV), ma anche l’eventuale impossibilità per la persona di accedere alle cure, ancorché praticate nel paese di origine, o alle medicine. Tale limitazione può essere sia di carattere oggettivo sia derivante dalla situazione economica o sociale dell’individuo: può farsi l’esempio delle cure praticabili, ma non effettivamente accessibili perché non erogate gratuitamente, o comunque, estremamente costose (o con onere di partecipazione alla spesa a carico dell’interessato che non sia alla sua portata), oppure delle cure riservate ad una ridotta percentuale di persone in cui la persona non rientra14. Oppure, ancora, ci si può riferire al caso in cui la persona necessiti di cure ospedaliere ma viva in una zona geografica del paese in cui il tempo necessario per raggiungere il nosocomio più vicino comporti un insostenibile aggravamento delle condizioni di salute.
Per rilevante pregiudizio può intendersi, infine, il fatto che il viaggio di rimpatrio stesso verso il proprio paese di origine potrebbe esporre l’individuo ad un pericolo per la sua stessa incolumità o vita, a causa dell’interruzione delle cure per il tempo del trasferimento o delle condizioni particolarmente disagiate del viaggio.
La norma di cui all’art. 19 comma 2 lett. d-bis d.lgs. 286/98, come visto, esige che le gravi condizioni psico-fisiche o derivanti da gravi patologie, suscettibili di esporre la persona a un rilevante pregiudizio in caso di rientro nel paese di provenienza, siano accertate mediante idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale.
La lettera della norma, dunque, pare affidare al personale medico l’arduo e sproporzionato compito non solo di certificare il tipo di patologia a carico del soggetto e la sua gravità, ma anche di riportare quale sia il rilevante pregiudizio cui questi sarebbe esposto in caso di rimpatrio. Quest’ultima operazione richiede che il medico che ha in cura la persona approfondisca, esulando nettamente ciò dalle proprie prerogative professionali, altresì la situazione del sistema sanitario nazionale del suo paese di origine.
Si tratta, però, di un onere estremamente forte da addossare interamente ad un medico, pubblico o convenzionato che sia. Per questa ed altre ragioni, già in epoca anteriore all’adozione della Circolare n. 400/A/2019/12.214.18.2 del 18.01.2019 del Ministero dell’Interno, tesa a fornire indicazioni sul rilascio del titolo di soggiorno per cure mediche, numerose tra le principali organizzazioni medico-umanitarie italiane hanno sottoscritto una missiva, indirizzata ai rappresentanti dei gruppi parlamentari, per sottolineare le criticità in ordine alla tutela del diritto alla salute connesse all’adozione del d.l. 113/201815.
Con particolare riguardo al permesso per cure mediche, nel suddetto documento è stata evidenziata “l’incertezza rispetto a chi abbia titolo per definire l’eccezionale gravità e produrre l’idonea certificazione sanitaria che motivi il rilascio di tale permesso di soggiorno, nonché rispetto a quali siano i requisiti diagnostici, con il rischio di una procedura arbitraria e potenzialmente restrittiva, non inclusiva delle condizioni cronico-degenerative che – in coerenza con il panorama epidemiologico – costituiscono una parte significativa del carico di malattia”.
La citata circolare presenta evidenti profili di ambiguità ed illegittimità, laddove, per quanto riguarda il permesso in questione, precisa quanto segue: “A tal fine, le SS.LL., avranno cura di valutare l’opportunità di verificare, sulla base della documentazione sanitaria prodotta, con le competenti rappresentanze diplomatiche italiane e/o estere, la mancanza della possibilità del richiedente di fruire di tali tipologie di cure mediche nel Paese di origine o di provenienza ovvero, qualora tali cure possano essere fornite, provvederanno di richiedere una certificazione sanitaria attestante il rilevante pregiudizio alla salute che comporterebbe il viaggio di rientro del cittadino straniero nel proprio Paese”. In nota, la stessa circolare afferma inoltre che “La documentazione sanitaria prodotta a corredo di una domanda ricevibile, proveniente da struttura pubblica o medico convenzionato, dovrebbe già contenere i presupposti di legge”.
Da un lato, infatti, come già constatato nella pratica, è già problematico per il personale medico adottare una prassi operativa che vada oltre la tradizionale refertazione sanitaria, nel senso di definire la gravità della patologia (che ora, comunque non deve più essere connotata da eccezionalità), peraltro in termini chiaramente comprensibili per altri operatori della pubblica amministrazione16; dall’altro, la valutazione che si pretende di richiedere circa il pregiudizio alla salute che comporterebbe il viaggio e ancor più sull’indisponibilità delle cure nel paese di origine costituisce condotta oggettivamente inesigibile nei confronti delle strutture pubbliche e/o dei medici convenzionati. Per l’appunto, la “certificazione” di tali circostanze non è riconducibile né alle ordinarie mansioni (rectius: obbligazioni contrattuali) ed alla responsabilità professionale del personale sanitario né, tantomeno, alle conoscenze normalmente acquisite o acquisibili da un medico operante nel territorio nazionale (salvo rarissimi casi di notoria indisponibilità di cure particolari – ad es. per patologie rare – confortata da letteratura scientifica). Invece, detta circolare pretende arbitrariamente di condizionare la ricevibilità delle richieste certificazioni alla indicazione “dei presupposti di legge”, lasciando ambiguamente intendere che le richieste certificazioni dovrebbero contenere l’espresso riferimento a circostanze di fatto estranee alle competenze delle strutture pubbliche e/o dei medici convenzionati.
Non sembra meno preoccupante – e del pari censurabile – che nella stessa circolare si disponga di demandare alle rappresentanze diplomatiche italiane la verifica delle predette circostanze (ciò che comunque non potrebbe ritenersi necessario né legittimo quando vi sia una previa valutazione in tal senso della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale): infatti, anche volendo tralasciare la prevedibile tempistica di risposta, tale attività viene prescritta senza indicare alcun criterio di individuazione dei referenti (amministrativi, ospedalieri, specialistici?) e di valutazione della loro attendibilità, come pure di specificazione delle tipologie e condizioni (logistiche ed economiche) di disponibilità delle cure; senza contare, come si è già constatato nella pratica, che difficilmente le autorità locali – magari i naturali referenti ministeriali delle nostre rappresentanze diplomatiche – ammetteranno l’inefficienza o la sostanziale inaccessibilità delle cure necessarie.
Fermo restando che l’illegittimità delle indicazioni contenute nella citata circolare (come pure l’infondatezza di eventuali valutazioni ostative della Commissione territoriale) potrà essere fatta valere in giudizio, sembra quantomai opportuno suggerire (potendo solo occasionalmente contare sulla presenza di chiare indicazioni in tal senso nelle certificazioni rilasciate in Italia da strutture pubbliche o da medici convenzionati) la previa acquisizione di circostanziate informazioni sulla situazione sanitaria nel paese di origine, che risultino riferibili alla specifica esigenza dell’interessato, da produrre unitamente all’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche. A tal fine, potrebbero essere utilizzate, in via esemplificativa, eventuali informazioni contenute nelle C.O.I. (attualmente molto rarefatte) oppure attestazioni da richiedere sulla specifica e documentata casistica individuale alle ONG operanti in ambito sanitario/assistenziale nei paesi di origine (per la cui individuazione si auspica una progressiva mappatura).
Quanto alla prescritta temporaneità del permesso di soggiorno per cure mediche, in effetti, essa pare confliggere con la natura di alcune patologie, ossia quelle croniche o degenerative, per le quali non è possibile valutare neppure a titolo meramente prognostico una data di fine dei protocolli terapeutici.
Tale problematica, però, sembra essere superabile, vista la previsione normativa della rinnovabilità del permesso di soggiorno fintantoché persistono le ragioni giustificative per il suo rilascio, ossia le esigenze sanitarie come sopra descritte. D’altra parte, la consolidata giurisprudenza ha chiarito già prima delle modifiche normative in commento che la garanzia delle cure agli irregolari, imposta dall’art.32 Cost. e dell’art.35 T.U., deve intendersi riferita non solo alle cure indifferibili ed urgenti “quoad vitam”17ma anche a tutte le cure essenziali, ancorché continuative18.
3 La competenza per il rilascio del permesso di soggiorno e la tutela giurisdizionale attivabile in caso di diniego
La competenza per il rilascio del titolo di soggiorno in esame, fino alle modifiche intervenute con il recentissimo d.l. 130 del 2020, era normativamente attribuita in via esclusiva al Questore competente per il luogo di dimora del cittadino straniero e, pertanto, non era necessario che l’interessato formalizzasse richiesta di protezione internazionale per l’ottenimento del permesso per cure mediche.
Quanto alle modalità di presentazione della relativa domanda, individuate precipuamente dalla fonte normativa, esse possono consistere sia nel deposito dell’istanza personalmente da parte dell’interessato presso la Questura – Ufficio Immigrazione territorialmente competente, che nell’invio tramite posta raccomandata oppure Posta Elettronica Certificata, anche a mezzo di un proprio legale munito di apposita procura19, modalità preferibile quando il diretto interessato è in condizioni di soggiorno irregolare.
Deve anche considerarsi la possibilità che la questura competente per territorio rilasci motu proprio (o, anche, su segnalazione ed istanza dei medici che hanno in cura un paziente) il permesso di soggiorno in commento una volta constatato il pregiudizio che deriverebbe alla persona dal rientro in patria e, dunque, in caso di sua inespelliblità.
Già in vigenza del d.l. 113/2018 si era rilevata, inoltre, una prassi secondo la quale, pur in assenza di esplicito dettato normativo in tal senso, le stesse Commissioni territoriali investite dell’esame della domanda di protezione internazionale, ravvisando la sussistenza di una situazione riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 19 comma 2 lett. d-bis, provvedevano a segnalare alla Questura la necessità di rilascio del titolo di soggiorno, senza tuttavia che ciò costituisse un vincolo in capo al Questore, cui era demandato l’esercizio di un potere discrezionale al riguardo.
Ad oggi, il d.l. 130 del 2020, con l’art. 2 comma 1 lett. e), ha apportato sensibili modifiche al testo dell’art. 32 del d.lgs. 25 del 2008 aggiungendo, per quanto di interesse, il comma 3.1 secondo cui “Nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale, ove ricorrano i requisiti di cui all’articolo 19, comma 2, lettera d-bis), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, la Commissione territoriale trasmette gli atti al Questore per il rilascio del permesso di soggiorno ivi previsto”.
Dunque in base alle norme vigenti anche la Commissione Territoriale, nel corso dell’esame della domanda di asilo, è competente a valutare la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso per cure mediche di cui all’art. 19 comma 2 lett. d-bis d.lgs. 286/98 e allorchè li ritenga sussistenti e non vi siano i presupposti della protezione internazionale, può trasmettere gli atti al Questore per il rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche, senza che sopravviva in capo a quest’ultimo alcun margine di discrezionalità, salva la valutazione di circostanze ostative attinenti motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato.
In ordine a tale ultimo punto, si precisa come la Corte Europea dei diritti dell’uomo e la Corte di Giustizia dell’Ue, abbiamo con diverse pronunce affermato l’obbligo del paese ospitante di non disporre l’allontanamento di un cittadino straniero qualora lo stesso versi in una condizione di salute tale da esporlo, in caso di rientro nel paese d’origine a un trattamento inumano e degradante20.
Per quanto riguarda la tutela giurisdizionale contro il diniego di rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche, il ricorso è giudicato dalle Sezioni Specializzate in materia di immigrazione istituite presso i Tribunali Ordinari che hanno sede nei capoluoghi di Corte d’Appello, secondo quanto previsto dall’art. 3 comma 1 lett. d-bis del d.l. 13 del 2017. La lettura dell’art. 1, co. 5, d.l. 113/18 (che ha introdotto il nuovo art. 19 ter, d.lgs. 150/11) porta a dire che tali controversie, laddove siano nascenti dal diniego del permesso per cure mediche da parte del solo Questore, devono essere introdotte e trattate con il rito sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c. con alcune peculiarità. Il Tribunale giudica in composizione collegiale e per la trattazione della controversia è designato dal Presidente della Sezione Specializzata un componente del Collegio.
Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana. In tal caso l’autenticazione della sottoscrizione e l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e le comunicazioni relative al procedimento sono effettuate presso la medesima rappresentanza. La procura speciale al difensore è rilasciata altresì dinanzi alla autorità consolare, in deroga alla normativa ordinaria attualmente vigente in ordine ai poteri di tale autorità.
Il deposito del ricorso non ha effetti sospensivi del provvedimento impugnato, ciò che può determinarsi solo quando e se è presentata apposita istanza ai sensi dell’art. 5, d.lgs. 150/11. La seguente ordinanza sulla richiesta sospensiva è adottata entro 5 giorni (termine da considerarsi ordinatorio).
Il giudizio è definito con ordinanza la quale, differentemente da quanto ordinariamente avviene per tutte le altre cause introdotte ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. (ma secondo una logica processuale sempre più adottata dal legislatore ai soli giudizi concernenti la tutela giurisdizionale dei diritti delle persone straniere in ITalia), non è impugnabile in Corte di Appello, ma solo innanzi alla Corte di Cassazione ed entro il ristretto termine di trenta giorni che decorre dalla comunicazione del provvedimento decisorio a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita.
Il procedimento è trattato in via d’urgenza ed è esclusa la sospensione dei termini nel periodo feriale. L’avere individuato la forma dell’ordinanza a conclusione del rito di cui all’art. 702 bis c.p.c. comporta la potenziale definitività del provvedimento decisorio, suscettibile di passare in giudicato.
Dopo le recenti modifiche, vista la possibilità normativamente sancita per la Commissione Territoriale di valutare la sussistenza dei requisiti per il permesso di soggiorno per cure mediche con conseguente trasmissione degli atti al competente Questore ai fini del rilascio, dinanzi al mancato riconoscimento di tale diritto da parte della Commissione, il rito azionabile dall’interessato è quello di cui all’art. 35 bis d.lgs. 25 del 2008, che comporta l’automatica sospensione degli effetti del diniego.
Ciò comporta delle sostanziali differenze in ordine alla procedura da seguire a seconda che la persona abbia scelto di presentare domanda di protezione internazionale oppure abbia inoltrato la propria richiesta di permesso di soggiorno per cure mediche in via diretta al Questore territorialmente competente.
4 Caratteristiche del permesso di soggiorno ex art. 19 comma 2 lett. d-bis e diritti connessi
Il permesso di soggiorno ex art. 19 comma 2 lett. d-bis T.U.I .può avere la durata massima di un anno, è rinnovabile finché perdurano le esigenze sanitarie alla base ed è convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
La convertibilità per lavoro di tale titolo di soggiorno é altresì prevista dal comma 1 bis introdotto all’art.6 d.lgs.286/1998 dall’art. 1, comma 1, lett. b), D.L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173. Pur in mancanza di espressa previsione, si deve ritenere che la prevista convertibilità del permesso per cure mediche consenta di già in base al suo possesso lo svolgimento di attività lavorativa ed altresì l’iscrizione nelle liste delle c.d. “categorie protette” (compatibilmente con le condizioni di idoneità fisica). La conversione dovrebbe poter essere ammessa non solo per lavoro subordinato ma anche per lavoro autonomo, e può essere richiesta in qualsiasi momento durante il corso di validità del permesso per cure mediche, a fronte della già avviata attività lavorativa. Il generale regime della convertibilità dettato dall’art.6, comma 1 bis, d.lgs.286/1998 non sembra invece ammettere che conversione possa essere richiesta “per attesa occupazione”.
La titolarità di tale permesso comporta l’iscrizione obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi dell’art. 34 d.lgs. 286/1998, e consente l’iscrizione anagrafica.
Quanto all’accesso dei titolari di permesso di soggiorno alle prestazioni sociali, occorre tenere presente il dato normativo di cui all’art. 41 d.lgs. 286/98, secondo cui “Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti”.
Una recente sentenza del Tribunale di Arezzo21, tuttavia, ha ammesso la possibilità di ottenere una prestazione sociale anche per gli stranieri non in possesso di un titolo di soggiorno di almeno un anno, come invece previsto dalla norma poc’anzi citata. Secondo il Tribunale, infatti, negare le provvidenze economiche sociali legate allo stato di invalidità ai titolari di permesso di soggiorno per cure mediche costituisce una palese violazione del principio sancito dall’art. 14 CEDU “perché, trattandosi di prestazione destinata a far fronte al sostentamento di soggetto invalido grave non potrebbe essere negata a colui che, proprio in conseguenza del grave stato patologico che non consente nemmeno di fare rientro nel Paese di origine, è stato autorizzato, quantomeno per un periodo superiore a tre mesi, alla permanenza sul territorio nazionale.” Il giudice di Arezzo, facendo applicazione dei principi contenuti nelle sentenze della Corte Costituzionale n. 187/2010 e 306/2008, ha perciò affermato la possibilità di erogare una prestazione sociale allo straniero regolarmente soggiornante sul territorio, il cui titolo di soggiorno dimostri il carattere non episodico e sia di durata superiore ai tre mesi.
La titolarità del permesso di soggiorno per cure mediche ex art. 19 comma 2 lett. d-bis T.U.I consente l’accesso alle misure di accoglienza territoriali del Sistema di Accoglienza ed Integrazione (art. 1-sexies, d.l. n. 416/1989, conv. in l. n. 39/1990, come modificata da ultimo dal d.l. n. 130/2020).
Condizioni di salute e protezione internazionale
1 Tutela della salute, trattamenti inumani e degradanti e diritto al soggiorno o alla protezione internazionale: la posizione della Corte EDU e della Corte GUE (cenni)
In ragione delle modifiche introdotte dal d.l. 130/2020 e, in particolare, del passaggio (anche) alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale della valutazione dei requisiti di cui all’art. 19 comma 2 lett. d-bis d.lgs. 286/98, appare importante riflettere sui casi in cui determinate condizioni di salute possono portare non solo al rilascio di un permesso di soggiorno per cure mediche ma anche al riconoscimento di una forma di protezione internazionale e/o complementare o speciale.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sono infatti più volte intervenute per definire in quali situazioni il ritorno nel Paese di origine di un individuo che versa in una particolare condizione di salute può costituire un trattamento inumano o degradante (art. 3 CEDU e art. 4 Carta UE), con conseguente obbligo di non allontanamento e (eventualmente) rilascio di un titolo di soggiorno; allo stesso tempo però la Corte GUE è intervenuta per distinguere i casi in cui può essere ritenuto sussistente un divieto di allontanamento da quelli in cui sorge anche il diritto alla protezione internazionale, ritenendo necessaria la sussistenza di determinate condizioni.
In particolare, la Corte EDU, nel caso Paposhvili v. Belgium22, afferma che al fine di valutare la sussistenza di una violazione dell’art. 3 CEDU connessa all’allontanamento di un cittadino straniero in condizioni di salute di particolare gravità occorre verificare, in primo luogo, se da tale allontanamento possa derivare un rischio reale di esposizione della persona ad un declino serio, rapido e irreversibile dello stato di salute, con conseguente intensa sofferenza o ad una significativa riduzione della speranza di vita, a causa dell’assenza di un trattamento adeguato nel Paese di destinazione, della mancanza di accesso effettivo a tale trattamento. La Corte EDU evidenzia altresì che in questi casi, il rischio di subire un peggioramento dello stato di salute non proverrebbe da atti o omissioni intenzionali da parte delle autorità pubbliche ma da situazioni specifiche (la patologia specifica) verificatisi per cause naturali aggravate dalla mancanza di trattamenti e/o risorse adeguate nel Paese di origine.
Il principio è stato successivamente ribadito dalla stessa Corte nel caso Savran v. Danmark, in relazione alla espulsione in Turchia ad un malato psichiatrico che aveva compiuto un grave delitto ma che necessitava di monitoraggio e follow-up al fine di rendere efficace il suo trattamento e consentirne il reinserimento sociale. Il dubbio che il ricorrente ricevesse effettiva assistenza in Turchia, peraltro in assenza di una rete familiare, e l’assenza di rassicurazioni sufficienti ed individuali da parte della Danimarca sulla possibilità di ottenere e proseguire la cura hanno condotto la Corte a ritenere che il rimpatrio avrebbe determinato la violazione dell’art. 3 della Convenzione.
In modo analogo, la Corte GUE, con la pronuncia resa nel caso C-578/1623 relativo al trasferimento di un richiedente asilo gravemente malato dalla Slovenia alla Croazia, ha affermato che laddove lo stato di salute sia particolarmente grave il trasferimento può, di per sé, comportare un rischio reale di trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, indipendentemente dalla qualità dell’accoglienza e delle cure disponibili nello Stato membro competente per l’esame della sua domanda. Secondo la Corte, in tali casi, il richiedente dovrebbe “essere in grado di dimostrare la gravità particolare del suo stato di salute e le conseguenze significative e irrimediabili che potrebbe comportare un trasferimento nei suoi confronti” e la autorità dovrebbero conseguentemente “eliminare ogni dubbio serio relativo all’impatto del trasferimento sullo stato di salute dell’interessato” non limitandosi “in particolare quando si tratti di un disturbo grave di ordine psichiatrico (…) alle sole conseguenze derivanti dal trasporto fisico della persona interessata da uno Stato membro a un altro” ma tenendo in considerazione “tutte le conseguenze significative e irrimediabili che risulterebbero dal trasferimento”.
In una sentenza di poco successiva resa dalla Grande Sezione nella causa C 353/1624, relativa ad un cittadino dello Sri Lanka di origine tamil che aveva fatto richiesta di asilo nel Regno Unito, la Corte GUE ha invece avuto modo di pronunciarsi sul rischio di danno grave alla salute mentale del richiedente in caso di ritorno nel suo paese di origine e sul riconoscimento della protezione sussidiaria.
Come si approfondirà successivamente, la Corte, dopo essersi soffermata sul collegamento tra divieto di espulsione, disturbi mentali o fisici e trattamento inumano o degradante ha evidenziato come il rischio di deterioramento dello stato di salute di un richiedente asilo, dovuto all’assenza di terapie adeguate nel suo paese di origine non risulta sufficiente ad ottenere il riconoscimento della protezione sussidiaria risultando necessaria un comportamento intenzionale teso a privare intenzionalmente la persona interessata dell’assistenza sanitaria.
2 Tutela della salute e protezione internazionale
La Commissione territoriale, ovvero il Giudice in caso di impugnazione, dovrà valutare in primo luogo se il richiedente ha diritto al riconoscimento della protezione internazionale ovvero dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria.
In alcune ipotesi specifiche la situazione in cui un richiedente asilo potrebbe trovarsi in caso di rientro nel Paese d’origine a causa delle proprie condizioni di salute potrebbe portare al riconoscimento dello status di rifugiato.
In particolare, al richiedente asilo affetto da una determinata patologia o da disabilità mentali o fisiche potrebbe essere riconosciuto tale status nel caso in cui tale patologia o disabilità sia l’effetto delle persecuzioni subite per motivi politici, religiosi o etnici oppure nell’ipotesi in cui lo stesso, in caso di ritorno nel Paese d’origine o di provenienza, lamentasse un timore fondato di non ricevere le cure necessarie per la sue opinioni o idee politiche o la sua religione o per la sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale (p.es. donne o omosessuali) oppure il timore di subire discriminazioni per la sua condizione di salute fisica o mentale o comunque di poter essere vittima di comportamenti stigmatizzanti25 forme di esclusione “tali da incidere fortemente sulle sue concrete condizioni di vita e da impedirgli l’accesso ai servizi sanitari e assistenziali, al lavoro, ad una vita dignitosa nonché all’esercizio dei diritti civili e politici”26.
In tali casi potrebbe infatti essere ipotizzabile un collegamento eziologico con il motivo dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale (individuato in quello delle persone affetta da quella determinata patologia) anche se potrebbero sussistere collegamenti (o sovrapposizioni) anche con altri motivi previsti dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951 (es. appartenenza religiosa o nazionale) qualora il comportamento discriminatorio degli agenti di persecuzione fosse dovuto (anche) all’appartenenza ad un determinata religione o etnia o ad un determinato gruppo sociale (p.es. donne o minori o disabili o persone con un determinato orientamento sessuale).
Riguardo agli autori materiali dei trattamenti discriminatori questi potrebbero individuarsi sia nelle autorità statali, laddove queste pongano in essere comportamenti attivi tesi ad escludere dalle cure mediche, discriminare o isolare socialmente, sia privati (quali i familiari, i membri della comunità di appartenenza e la società maggioritaria, etc.) quando le autorità statali non siano in grado o non vogliano tutelare i propri cittadini affetti da una determinata invalidante patologia27.
Quanto alla protezione sussidiaria, come già accennato, la Corte GUE ha già avuto modo di evidenziare28 che solo l’omissione intenzionale delle cure può portare al riconoscimento della protezione sussidiaria. In particolare, la Corte rileva che per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 15, lettera b), della cd. Direttiva Qualifiche ciò che rileva è che il richiedente sia stato vittima di torture o trattamenti inumani e degradanti da parte delle autorità del suo Paese e continui a subire, a causa di tali condotte, rilevanti conseguenze post-traumatiche che potrebbero aggravarsi in modo significativo od irrimediabile in caso di rientro in patria, risultando altresì necessario valutare l’intenzionalità della privazione di cure mediche adeguate alla luce degli strumenti internazionali relativi ai diritti umani, quale ad esempio la Convenzione contro la tortura.
In ogni caso, appare rilevante evidenziare come, sia ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, sia di forme di protezione complementare e/o della trasmissione degli atti al questore per il rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche ex art. 19 co. 2 lett. d-bis), la Commissione territoriale, ovvero il giudice in caso di impugnazione, dovranno tenere conto di quanto disposto dall’art. 28 co. 1 d.lgs. 25/08 e procedere all’acquisizione, anche d’ufficio, delle informazioni, relative alla situazione del Paese di origine e alla specifica condizione del richiedente, che ritiene necessarie a integrazione del quadro probatorio prospettato dal richiedente.
3 Tutela della salute, protezione umanitaria e protezione speciale
Come già evidenziato, prima dell’entrata in vigore del d.l. 4 ottobre 2018, n. 113 convertito con modificazioni dalla l. 1 dicembre 2018, n. 13, il cittadino straniero colpito da una grave malattia o che versasse in una delicata condizione psicofisica poteva ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari sia documentando al Questore la sussistenza di gravi e oggettive situazioni personali tali da rendere impossibile l’allontanamento dal territorio nazionale sia a seguito del rigetto della propria domanda di protezione internazionale da parte della Commissione territoriale29.
La Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi su casi di richiedenti protezione internazionale affetti da gravi patologie o in condizioni di particolare vulnerabilità psico-fisica, ha affermato che «la vulnerabilità del richiedente può anche essere la conseguenza di un’esposizione seria alla lesione del diritto alla salute adeguatamente allegata e dimostrata» evidenziando altresì come questo primario diritto della persona non possa trovare esclusivamente tutela nell’art. 36 del d.lgs. 286 del 1998 posto che tale permesso si può ottenere esclusivamente mediante specifico visto d’ingresso e pagamento delle spese mediche da parte dell’interessato e che invece la ratio della protezione umanitaria è quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona che ne integrano la dignità30.
In altra pronuncia31, la Suprema Corte ricorda come include tra le condizioni di vulnerabilità che possono portare al riconoscimento della protezione umanitaria quelle derivanti da gravi malattie o da disturbi mentali e (con riferimento ad una patologia mentale) rileva che «si tratta di una situazione di vulnerabilità normativamente tipizzata, rilevante ai fini della protezione di carattere umanitario».
A seguito delle disposizioni introdotte dal d.l.. n. 11/2018 poi convertito con l. n. 132/2018, modificativo dell’art. 5 c. 6 D. Lgs. 286/98, la Commissione nei casi in cui non procede al riconoscimento della protezione internazionale, in presenza dei presupposti di cui all’art. 19 c. 1. e c. 1.1 D. Lgs. n. 286/1998, può disporre il trasferimento degli atti al Questore non più per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ma per il rilascio di un diverso tipo di permesso denominato per “protezione speciale”.
Con d.l. n. 130/2020, entrato in vigore il 21 ottobre 2020, il legislatore è nuovamente intervenuto sull’art. 5 c. 6 e sull’art. 19 D Lgs. 286/98 riformando l’intera disciplina della protezione speciale e ripristinando parzialmente l’originario testo dell’art. 5, co. 6 d.lgs. 286/98, nella parte relativa al dovere di rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato.
In particolare, riguardo all’art. 5, co. 6 TU, la nuova formulazione non comprende più i «seri motivi, in particolare di carattere umanitario» dell’originaria previsione ma esclusivamente gli obblighi costituzionali (tra i quali vi è il diritto alla salute) o gli obblighi internazionali, sussistendo i quali va rilasciato alla persona straniera un permesso di soggiorno.
Per quanto concerne l’art. 19 invece, al primo comma (concernente il divieto di espulsione verso Paesi nei quali lo straniero corra un rischio di persecuzione per motivi di discriminazione) è stato aggiunto il rischio persecutorio a causa dell’orientamento sessuale e di identità di genere.
Il comma successivo, invece, è stato interamente riformulato e dispone quanto segue: “Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all’articolo 5, comma 6. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica, nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”.
Relativamente alla protezione speciale e alla tutela del diritto alla salute, si ritiene che le condizioni di salute del richiedente potranno essere prese in considerazione al fine di effettuare quella comparazione «tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio (Cass. civ., sez. I, n. 7733/2020 cit.) necessaria ai fini del riconoscimento di tale forma di protezione.
Per ulteriori approfondimenti oltre alle opere citate in nota:
Sul diritto alla salute e gli stranieri
-P. Bonetti e M.Pastore, Il diritto alla salute, in Diritto degli straneri, a cura di B. Nascimbene, CEDAM, 2004, pp. 974-1013.
– D. Panizzut e P. Olivani, Il diritto all’assistenza sanitaria per gli stranieri e la sua fruibilità, in Immigrazione, asilo e cittadinanza, a cura di P. Morozzo della Rocca,V^ed., 2021, Maggioli ed.,pp. 425-452
– L. Mezzetti, I sistemi sanitari alla prova dell’immigrazione. L’esperienza italiana, in Rivista AIC, 2018, n. 1, pp. 11 ss.
– L. PIERI – F. SANTOMAURO, Il quadro normativo di riferimento per l’assistenza sanitaria agli immigrati, in S. NUTI – G. MACIOCCO – S. BARSANTI (cur.), Immigrazione e salute. Percorsi di integrazione sociale, il Mulino, Bologna, 2012, 35 ss.
– G. VOSA, “Cure essenziali”. Sul diritto alla salute dello straniero irregolare: dall’autodeterminazione della persona al policentrismo decisionale, in Diritto pubblico, 2016, 721 ss.
– P. MOROZZO DELLA ROCCA, Diritto alle cure mediche e prestazioni di assistenza sociale connesse alla salute dello straniero irregolarmente soggiornante, in Rivista italiana di medicina legale e del diritto in campo sanitario, 2015, 547 ss.
Sulla titolarità del diritto alla salute: stranieri ed accesso alle cure nella giurisprudenza costituzionale
– E. Grosso, Stranieri irregolari e diritto alla salute: l’esperienza giurisprudenziale, in R. Balduzzi (a cura di), Cittadinanza, Corti e Salute, Padova, Cedam, 2007, p. 157
– D.Morana, La salute come diritto costituzionale, III^ ed., Giappichelli ed.,2018, pp. 145-166
– A. Pitino, Gli stranieri nel diritto pubblico italiano. Profili attuali della parità di trattamento con i cittadini tra Stato, autonomie e Unione europea, Torino, Giappichelli, 2018, pp. 68 ss
La Scheda ASGI è stata realizzata grazie al contributo di Marco Paggi, Anna Brambilla e Roberta Aria.
Note
- Corte cost., 17 luglio 2001, n. 252, §2; C. Corsi, Il diritto alla salute alla prova delle migrazioni, in «Istituzioni del Federalismo», 1, 2019, p. 45 e ss.
- Per nucleo irriducibile del diritto alla salute non si fa riferimento solo alle prestazioni di pronto soccorso e di medicina d’urgenza, «ma anche [a] tutte le altre prestazioni essenziali per la vita», Cass., Sez. Un., 10 giugno 2013, n. 14500.
- Cass., Sez. Un., n. 14500/2013.
- Cass. civ., Sez. I, 6 marzo 2019, n. 6532.
- Cass., Sez. Un., n. 14500/2013; C. Corsi, op. cit., p. 63.
- La circolare n. 5/2000 del Ministero della salute chiarisce che per «cure urgenti» si intendono le cure che non possono essere differite senza pericolo per la vita o danno per la salute della persona e per «cure essenziali» quelle prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell’immediato e nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischi per la vita.
- La domanda di rilascio del visto o di rilascio o rinnovo del permesso può’ anche essere presentata da un familiare o da chiunque altro vi abbia interesse.
- Cfr. Corte di Cassazione, ordinanza n. 10686 del 2012, richiamata altresì dalla Corte Costituzionale, sent. n. 194 del 2019.
- La Corte di Cassazione ha fornito, attraverso un serie di pronunce, un’interpretazione estensiva dell’art. 5 comma 6 d.lgs. 286/98 nella formulazione allora vigente, elaborando i criteri ermeneutici da applicare ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria. Cfr. in particolare, Corte di Cassazione, sez. I, sentenza n. 4455 del 23/02/2018 con la quale la Suprema Corte ha delineato i passaggi della necessaria opera di bilanciamento da condurre tra le condizioni di vita della persona in Italia e quelle nel paese di origine.
- La novella del 2018 ha lasciato in vita le ipotesi tipiche del permesso umanitario (artt. 18, 19, 22 d.lgs. 286/98), aggiungendo altri tre permessi speciali, due dei quali sono pur sempre collegati a esigenze umanitarie (quello «per cure mediche» e quello «per calamità»), mentre il terzo («per atti di particolare valore civile») ha natura premiale.
- Cfr. “Manifeste illegittimità costituzionali delle nuove norme concernenti permessi di soggiorno per esigenze umanitarie, protezione internazionale, immigrazione e cittadinanza previste dal decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113”, 15.10.2018, su www.asgi.it
- Decreto Legge del 21.10.2020 n. 130 recante “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare,modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-tere 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici edai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina delGarante nazionale dei diritti delle persone priva-te della libertà personale”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21.10.2020.
- cfr. Biondi Dal Monte-Rossi, a cura di, Diritti Oltre frontiera, 2020, Pisa University Press.
- Al riguardo va pure considerata, al di là della formale garanzia di cure prevista dall’ordinamento del paese di provenienza, l’eventuale situazione di diffusa corruttela in ambito sanitario (quando notoria o documentabile), che di fatto condizioni il ricovero o la prestazione di cure al pagamento di rilevanti “tangenti” al personale sanitario.
- cfr. https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/10/ProtezioneUmanitaria_Letteratavolosanitario_25102018.pdf
- Al fine della valutazione sulla gravità della patologia dovrebbero avere principale -ma non esclusivo- rilievo le patologie definite come invalidanti negli Allegati n. 8 e n. 8bis al DPCM 12.01.2017, che appunto elencano le malattie croniche e invalidanti cui l’art. 53 dello stesso DPCM riconduce espressamente il diritto all’esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie essenziali indicate dal medesimo Allegato n. 8. Va poi considerato l’elenco ufficiale dell’Agenzia Italiana del Farmaco dei medicinali cosiddetti “salvavita” di fascia A.
- La nozione di prognosi quoad vitam (sia immediata che lontana) non può certo essere contrapposta –né in termini sanitari o scientifici né, tantomeno, sotto il profilo giuridico- quale ambito delle cure garantite rispetto alla prestazione delle cure volte invece ad assicurare od aumentare la spes vitae. Il fatto che le cure possano auspicabilmente aumentare la spes vitae o ritardare l’evento infausto (peraltro mantenendo una discreta qualità di vita in condizioni di autosufficienza ed evitando altresì ulteriori e costosi ricoveri ospedalieri), non solo non fa venir meno il carattere essenziale delle cure ma anzi lo conferma.
- La Cassazione a Sezioni Unite n. 14500 del 10 giugno 2013 è giunta a chiarire definitivamente che “costituiscono cure essenziali, garantite dall’art. 35, comma terzo, d.lgs. 286 del 1998 (T.U. Immigrazione) anche le semplici somministrazioni di farmaci qualora si verta in ipotesi di terapie necessarie ad eliminare rischi per la vita o il verificarsi di maggiori danni alla salute”. Nella parte motiva si precisa che “è stato, altresì, affermato dalla legge il principio della continuità delle cure urgenti ed essenziali, nel senso di assicurare all’infermo il ciclo terapeutico e riabilitativo completo riguardo alla possibile risoluzione dell’evento morboso”. Nello stesso senso si vedano: Cass. 27.6.2016 n.13252, con riferimento alla fruizione del protocollo c.d. “follow up” postoperatorio; Cass. 18.11.2016 n.23750, con riferimento alla fruizione di esami clinici periodici; Cass. 8.3.2017 n. 6000, relativa alla fruizione delle terapie antiretrovirali; Cass. 6.3.2019 n.6532,relativa al ciclo terapeutico completo postoperatorio; Cass. 9.01.2020 n. 272, relativa a cure psichiatriche.
- Peraltro, l’art.10 del regolamento di attuazione del T.U. di cui al D.P.R. 31.8.1999 n.394 prevede al comma 4 che “Per i soggiorni da trascorrersi presso convivenze civili o religiose, presso ospedali o altri luoghi di cura, la richiesta del permesso di soggiorno può essere presentata in questura dall’esercente della struttura ricettiva o da chi presiede le case, gli ospedali, gli istituti o le comunità in cui lo straniero è ospitato, il quale provvede anche al ritiro e alla consegna all’interessato della ricevuta di cui al comma 1 e del permesso di soggiorno”.
- Per approfondimenti Diritto alla salute, divieto di respingimento e forme di protezione di Anna Brambilla, Michela Castiglione in Diritti oltre frontiera. Migrazioni, politiche di accoglienza e integrazione, a cura di Francesca Biondi Dal Monte – Emanuele Rossi, https://www.iris.sssup.it/retrieve/handle/11382/534093/54655/Diritti%20oltre%20frontiera.pdf
- Sentenza del Tribunale di Arezzo n. 122 del 23.06.2020.
- Corte Edu, sentenza del 13 dicembre 2016, Paposhvili c. Belgium, ric. n. 41738/10, § 183.
- CGUE, sentenza del 16 febbraio, PPU, 2017, EU:C:2017:127.
- CGUE, sentenza del 24 aprile 2018, MP, C-353/16, EU:C:2018:276.
- Tribunale di Milano, decreto del 26 agosto 2019, Corte di Appello di Bari, sentenza n. 1245 del 2 luglio 2020.
- Tribunale di Milano, decreto del 19 settembre 2020, nello stesso senso anche la già segnalata Corte di Appello di Bari, sentenza n. 1245 del 2 luglio 2020.
- Tribunale di Milano, ordinanza del 23 agosto 2019
- CGUE, sentenza del 24 aprile 2018, MP, C-353/16, cit. e CGUE, sentenza del 18 dicembre 2014, Mohamed M’Bodj, EU:C:2014:2452.
- Art. 5 co. 6 d.lgs. 286/98 e art. 11 DPR 394/99.
- Cass. civ., I Sez., 4 febbraio 2020, n. 2558.
- Cass. civ., I Sez., 10 luglio 2019, n. 18541.