Migranti e cambiamento climatico

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Perché questa sezione

Sebbene il confronto sulle connessioni esistenti tra mutamento ambientale e  migrazioni sia in corso già da tempo e le istituzioni nazionali, europee e sovranazionali abbiano riconosciuto i cambiamenti climatici come un fattore di spinta delle migrazioni i risultati raggiunti sul piano politico e giuridico risultano ancora insufficienti.

Molti dei Paesi più esposti ai cambiamenti climatici e al degrado ambientale, come il Bangladesh e i Paesi dell’area del Sahel, sono anche Paesi d’origine dei migranti che, giunti nel territorio dell’Unione Europea, vengono considerati “semplici” migranti economici.

Le politiche europee in materia di immigrazione e asilo ed in particolare da quelle che mirano ad esternalizzare e accelerare le procedure di asilo e ad introdurre procedure di screening alle frontiere esterne rischiano di compromettere i risultati raggiunti a livello nazionale ed internazionale come il riconoscimento del diritto alla protezione per le persone costrette ad abbandonare il Paese d’origine in ragione del degrado ambientale o di eventi naturali catastrofici.

Vista la difficoltà di riconoscere il carattere forzato della migrazione, di quantificare  in modo preciso il numero delle persone coinvolte, di tenere in considerazione le differenti tipologie di movimento migratorio che il cambiamento ambientale può determinare, l’incapacità di individuare il nesso causale tra mutamento ambientale e migrazione e, conseguentemente, offrire una adeguata tutela, riteniamo utile raccogliere in questa sezione la principale giurisprudenza in tema di migranti ambientali assieme agli ultimi approfondimenti e rapporti al fine di favorire una maggiore consapevolezza su queste tematiche e la diffusione di strumenti di tutela e di azione .







Il Comitato ONU per i diritti umani, con la decisione del 7 gennaio 2020 resa in Teitiota c. Nuova Zelanda, ha riconosciuto che gli effetti dei cambiamenti climatici possano comportare una violazione del diritto alla vita e del divieto di trattamenti inumani o degradanti e che il rischio di subire tali effetti nel Paese di origine genera il divieto di respingimento da parte di Stati terzi.
A livello nazionale, la giurisprudenza di merito e di legittimità ha riconosciuto la protezione sussidiaria o quella umanitaria a

Sono inoltre ormai numerosi gli studi, i documenti di analisi e i pareri non vincolanti sul tema  delle migrazioni ambientali promossi dalle istituzioni europee e dalle agenzie internazionali.