L’INPS ha rigettato, in numerosi casi, le domande di disoccupazione agricola per gli operai agricoli a tempo determinato cittadini extra Ue, sul presupposto dell’assenza di valido titolo di soggiorno a copertura del biennio assicurativo di riferimento per accedere alla prestazione.
Il Tribunale di Foggia – Sezione Lavoro ha affrontato la questione con alcune prime pronunce, offrendo ottimi spunti interpretativi volti a censurare la condotta dell’Ente Previdenziale.
Dalle sentenze in calce si evince che l’Inps non accoglie le domande di disoccupazione agricola presentate dai braccianti a tempo determinato che siano richiedenti protezione internazionale sostenendo che il relativo permesso di soggiorno sia equivalente ad un permesso di soggiorno per motivo di lavoro stagionale.
Tale assunto è stato tuttavia smentito dal Tribunale di Foggia che ha censurato l’erronea sovrapposizione operata dall’Inps tra permesso per lavoro stagionale e “permessi di durata inferiore ai nove mesi” (tra cui i permessi di soggiorno per richiesta asilo, considerati anch’essi “permessi brevi”). Si chiarisce che, al di là della durata e della supposta “brevità” dei titoli di soggiorno, solo i permessi di soggiorno per lavoro stagionale non sono coperti dalla disoccupazione e dai trattamenti di famiglia (ex art. 25, comma 1 e 2, d.lgs. 286/1998) e, pertanto, i permessi di soggiorno per richiesta asilo (previsti invece dal d.lgs. 142/2015) consentono l’accesso a tali forme di sostegno al reddito.
Altro profilo di interesse attiene all’onere della prova incombente sulle parti: il Giudice del Lavoro statuisce il principio in virtù del quale, anche qualora il permesso di soggiorno in possesso del richiedente abbia una validità limitata solo ad un periodo del biennio di competenza della prestazione, è comunque onere dell’Ente Previdenziale eccepire e documentare in giudizio che le giornate lavorative effettuate si collocano al di fuori dell’arco di tempo in cui il cittadino straniero poteva legittimamente svolgere attività lavorativa.
E’ opportuno, quindi, ricordare che:
– il richiedente asilo è tale in quanto ha manifestato la volontà di chiedere la protezione internazionale in qualsiasi forma e sino a quando non sia stata assunta dalla competente commissione territoriale o dal Tribunale una decisione definitiva su tale domanda (art. 2, d.lgs. 142/15);
– il suo regolare soggiorno è attestato anche solo dalla formalizzazione della richiesta di protezione (art. 4, co. 3, d.lgs. 142/15);
– decorsi 60 giorni dalla manifestazione di volontà di chiedere protezione il richiedente asilo può legittimamente svolgere attività lavorativa in Italia, indipendentemente dalla circostanza che le autorità competenti abbiano tempestivamente proceduto al rilascio del titolo di soggiorno o meno (art. 22, co. 1, d.lgs. 142/15);
– tale diritto si conserva anche nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno da parte delle autorità competenti, posto che il soggiorno regolare deriva direttamente dalla manifestazione di volontà di chiedere asilo e che comunque il ritardo della P.A. non intacca in alcun modo i diritti del richiedente asilo.
Le due pronunce, pur nella loro sinteticità argomentativa, rappresentano un primo argine nei confronti di condotte palesemente discriminatorie poste in essere dall’Inps e (anche soltanto indirettamente) causa di una spirale perversa che coinvolge uno dei settori (quello agricolo ) in cui è maggiormente elevato il rischio di sfruttamento lavorativo: sfruttamento che, tra l’altro, ha tra le sue cause la condizione di debolezza sul mercato del lavoro dei braccianti agricoli immigrati che le misure di welfare state dovrebbero, invece, essere capaci di limitare, così aumentando il potere di contrattazione salariale dei lavoratori.
Si ringraziano gli avv.ti Stefano Campese e Dario Belluccio per la segnalazione
Sentenza del Tribunale di Foggia del 23 febbraio 2022
Sentenza del Tribunale di Foggia dell’8 settembre 2021
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