Reddito di cittadinanza e 10 anni di residenza: i giudici confermano che è sufficiente provare la residenza effettiva

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Con nota n. 3803 del 14 aprile 2020, il Ministero del Lavoro aveva chiarito che, al fine di dimostrare la titolarità del requisito di residenza decennale, previsto per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, non fosse necessario essere iscritti ai registri anagrafici (se non al momento della domanda) ma fosse sufficiente provare che il richiedente avesse nei fatti risieduto in Italia per almeno dieci anni (di cui gli ultimi due in maniera continuativa).

Ora due pronunce, del Tribunale di Torino e dal Tribunale di Roma, confermano quanto stabilito nella nota, riconoscendo il diritto al reddito di cittadinanza per coloro che riescono a dimostrare la propria residenza effettiva attraverso riscontri obiettivi e univoci.

Sentenza del Tribunale di Torino, sezione lavoro

La causa promossa da avvocati dell’ASGI di fronte al Tribunale di Torino riguardava un cittadino egiziano lungo-soggiornante a cui era stata richiesta la restituzione delle mensilità del reddito di cittadinanza percepite tra novembre 2019 e dicembre 2020. La revoca del beneficio, notificata dall’INPS a marzo 2021, era motivata dalla supposta mancata titolarità del requisito di residenza decennale. Il ricorrente aveva infatti presentato domanda per il RdC il 25 ottobre 2019, e, pur essendo presente sul territorio italiano già dal 2005, risultava iscritto all’Anagrafe soltanto da fine 2011.

Nella sentenza di luglio 2022, la Giudice ha in primis ritenuto infondata l’eccezione di legittimazione passiva sollevata dall’INPS, il quale sosteneva che la competenza delle verifiche anagrafiche fosse in capo ai Comuni e non all’Istituto. Nella sentenza viene osservato che, al contrario, l’INPS è per legge l’ente responsabile dell’erogazione del reddito di cittadinanza e ha dunque legittimazione passiva.

Entrando nel merito, la Giudice ha poi riconosciuto che, sebbene il ricorrente fosse iscritto all’Anagrafe solo dal 2011, la registrazione nei registri anagrafici costituisce una << mera presunzione del luogo di residenza del destinatario superabile con altri “oggettivi ed univoci elementi di riscontro“ […] che attestano la regolare presenza sul territorio quali un contratto di lavoro, l’estratto conto contributivo dell’INPS, documenti medici, scolastici o contratto di affitto o ancora vecchi permessi di soggiorno, ecc..>>. Nello specifico, la sentenza valuta come comprovanti la residenza decennale a partire dall’aprile 2009 l’estratto conto previdenziale presentato dal ricorrente e i certificati riguardanti il primo permesso di soggiorno rilasciati dalla questura.

Il Tribunale ha pertanto accertato che nulla è dovuto all’INPS da parte del ricorrente, affermando, al contrario, il diritto di quest’ultimo a percepire la misura, incluse le mensilità successive alla revoca.

Ordinanza del Tribunale di Roma, sezione lavoro

Il Tribunale di Roma si è invece espresso in un ricorso promosso, sempre da avvocate dell’ASGI, a seguito della revoca e richiesta di rimborso di RdC ricevuto da una cittadina comunitaria e motivato, ancora una volta, dalla mancanza di requisito di residenza decennale. La donna aveva presentato domanda per il reddito nell’aprile 2020, avendo vissuto in Italia già dal 2008. Le sue vicende anagrafiche tuttavia risultavano frammentarie, con una prima iscrizione all’Anagrafe nel 2013 e varie lacune per trasferimenti negli anni successivi.

Il Giudice ha, anche in questo caso, respinto l’eccezione di legittimazione passiva dell’INPS, considerando che sebbene la verifica dei requisiti anagrafici spetti alle amministrazioni comunali, queste ultime operano “per conto dell’Inps”, a cui compete la concessione e la sospensione del beneficio, nonché di verificare preventivamente i dati anagrafici del richiedente e richiedere eventuali accertamenti ai Comuni.

L’INPS viene quindi qualificato come unico soggetto con legittimazione passiva.

Rispetto alla questione della residenza effettiva, il Tribunale ha avallato il contenuto della nota del Ministero del Lavoro n. 3803, confermando la necessità di valutare documenti riguardanti i periodi non riscontrabili nei registri anagrafici dei Comuni. Ha dunque preso in esame la documentazione prodotta dalla ricorrente – lista dei domicili fiscali dell’Agenzia delle Entrate, esami medici, estratto conto previdenziale, certificato di nascita e delle prime vaccinazioni del figlio della ricorrente, iscrizione al centro dell’impiego, contratto di lavoro – ritenendola sufficiente a provare la residenza continuativa almeno decennale e a sanare pertanto le incongruenze risultanti dai registri dell’Anagrafe. Ha quindi ordinato all’INPS il ripristino del reddito di cittadinanza.

Le pronunce dei Tribunali di Torino e Roma evidenziano come nei casi di revoche di RdC motivate dal difetto del requisito di residenza, ove sia possibile provare la residenza effettiva, sia fondamentale attivare un confronto con le autorità competenti, sia dialogando con i Comuni o eventualmente in sede giudiziale.
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