Il 6 Novembre 2017 Sea-Watch è stata ostacolata dalla Guardia Costiera Libica durante un’operazione di salvataggio di 130 cittadini migranti da un gommone alla deriva, partito dalle coste libiche. Almeno venti dei migranti sono morti, tra cui due minori.
L’intervento è stato coordinato a distanza dal Centro di Coordinamento Marittimo (MRCC) della Guardia Costiera italiana e la motovedetta libica coinvolta era stata donata dal governo italiano alcuni mesi prima. La Guardia Costiera libica ha poi riportato in Libia quarantasette dei sopravvissuti, che sono stati rinchiusi in condizioni disumane, subendo percosse, estorsioni, fame e stupri. Due di loro sono stati successivamente “venduti” e torturati con elettrochoc.
Il 6 Novembre 2017 l’ONG Sea-Watch è stata ostacolata dalla Guardia Costiera Libica durante un’operazione di salvataggio di 130 cittadini migranti da un gommone alla deriva, partito dalle coste libiche. 2/ https://t.co/WNAkL4digh
— ASGI (@asgi_it) 7 maggio 2018
Nella conferenza tenutasi a Roma martedì 8 maggio 2018 è stato illustrato il ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani presentato dal Global Legal Action Network in collaborazione con l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, l’università statunitense di Yale e l’Arci, reso possibile grazie alle testimonianze dei sopravvissuti al naufragio di un barcone avvenuto il 6 novembre 2017, nel quale affogarono 20 migranti.
Loredana Leo, avvocata dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), ha spiegato ad Internazionale che l’Italia avrebbe una responsabilità nell’evento che ha prodotto una serie di violazioni dei diritti umani fondamentali: “In particolare sarebbe stato violato il diritto alla vita, perché tutti i ricorrenti erano in una situazione di potenziale o effettiva perdita della propria vita. C’è una violazione anche dell’articolo 3 della Convenzione dei diritti umani: quello che vieta i trattamenti inumani”. Per quelli che sono stati riportati in Libia la violazione dell’articolo 3 “è evidente”, inoltre sarebbe stato violato il divieto al respingimento collettivo. “Non c’è stata nessuna valutazione della situazione individuale delle persone che sono state respinte, inoltre coloro che sono stati riportati in Libia hanno corso il rischio di essere ridotti in schiavitù perché sono stati venduti come schiavi nel carcere libico”.
Un rapporto audio-visivo prodotto da Forensic Oceanography/Forensic Architecture, presentato durante la conferenza stampa, ricostruisce questo ed altri casi di respingimento.