Calcio e minori stranieri: il tesseramento è una corsa a ostacoli

Argomenti:sport
Tipologia del contenuto:Notizie

Dossier dell’Asgi sulle difficoltà che incontrano le famiglie immigrate a far giocare i figli nelle squadre dilettantistiche. La Figc chiede documenti che non pretende dagli italiani: dal certificato di frequenza scolastica all’obbligo di residenza. Così si creano “emarginazione e disagio”

MILANO – Per un ragazzino straniero che vuole giocare a calcio, la partita più difficile è quella contro la burocrazia della Federazione italiana giuoco calcio (Figc). Almeno così sembra leggendo il corposo dossier, preparato dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), che verrà presentato domani a Torino, durante il convegno “Nessuno fuori gioco”. Già, perché una famiglia immigrata che vuole iscrivere il figlio in una squadra di calcio deve portare documenti che non vengono chiesti agli italiani. Per esempio, il permesso di soggiorno della durata di almeno sei mesi, il certificato di residenza e quello di frequenza della scuola. Il tutto si traduce, denuncia l’Asgi, in una trafila che a volte lascia fuori campo, per periodi più o meno lunghi, i bambini stranieri. Inoltre quello che viene accettato dalla sede della Figc di una città, non va bene in un’altra. Come nel caso del bambino cinese di Prato, in affidamento a un genitore italiano, al quale è stato concesso il tesseramento, anche se dopo una lunga insistenza del tutore e dell’Asgi. “Ma abbiamo altre situazioni del genere che non si riesce a sbloccare”, racconta Alberto Guariso, avvocato dell’Asgi.

Per questo motivo, l’Asgi propone una semplificazione delle norme e di equiparare i minori stranieri a quelli italiani. Pertanto ogni bambino straniero deve essere tesserato sempre, anche se i genitori sono irregolari o non hanno una residenza stabile (come nel caso dei rom). Nessun controllo sulla frequenza scolastica. Infine, permettere ai ragazzini stranieri di giocare anche se risultano tesserati nel Paese d’origine, perché a volte è molto complicato ottenere liberatorie da squadrette di calcio di paesi africani o latinoamericani.

Alcune norme della Figc sembrano dettate nell’interesse del minore, ma finiscono per ottenere l’effetto contrario. Come nel caso del certificato di frequenza scolastica. “Anche il minore straniero è soggetto all’obbligo scolastico -scrive l’Asgi nel rapporto-, ma appare criticabile che la Figc si faccia controllore del rispetto di tale obbligo, negando il diritto al tesseramento in caso di inadempimento. Inoltre la norma, così strutturata, può dar luogo a difficoltà: ad esempio perché la scuola tarda nel rilasciare il certificato, o perché il minore è arrivato in corso d’anno e ha avuto difficoltà nell’inserimento scolastico (situazione relativamente frequente) con conseguente ritardo nella certificazione dell’iscrizione a scuola”.

Secondo l’Asgi il tesseramento non deve essere una corsa ad ostacoli, ma va favorito. “Le limitazioni al tesseramento causano emarginazione e disagio ai giovani stranieri che, pur partecipando al gioco e alle attività sportive, si vedono poi esclusi dalla possibilità di competere negli eventi agonistici.

La competizione e la gara sono momenti importanti nella vita della persona: costituiscono un naturale sviluppo e una componente chiave dello sport, utili a consolidare il rapporto con i compagni, la capacità di mettersi alla prova, l’identità personale, la fiducia in se stessi, la gestione della vittoria e della sconfitta”. Il dossier viene presentato domani venerdì 20 marzo alle ore 11, a Torino, nella sede della Uisp (Unione italiana sport per tutti) in via Nizza 102. (Articolo pubblicato su Redattore sociale – dp)

 

 

Argomenti:sport
Tipologia del contenuto:Notizie

2 commenti su “Calcio e minori stranieri: il tesseramento è una corsa a ostacoli”

  1. Giusto, e c’è di più:
    a) sotto il profilo “politico” è assurdo che l’UEFA e la FIGC si riempiano la bocca con politiche contro il “razzismo” perché quattro analfabeti di tifosi fischiano un miliardario di colore (che dovrebbe fregarsene) e poi la FGIC metta in atto comportamenti discriminatori che costituisco nei fatti il fondamento del RAZZISMO. (Non ci vuole uno psicologo per capire che nella testa di un bambino attecchisca facilmente l’idea che il suo compagno di squadra sia “diverso” se gli chiedono documenti che a lui non chiedono!);

    b) sotto il profilo “giuridico” andrebbe verificato se la disparità di trattamento (quanto meno tra italiani e comunitari residenti) non violi le norme UE sulla parità di trattamento e nei confronti di tutti le norme in materia di discriminazione razziale o di cittadinanza.

    E’ evidente che nel momento in cui quelli della FGIC si permettono di chiedere allo straniero di dimostrare che suo figlio va a scuola, mentre non lo chiedono all’italiano, implicitamente affermano che gli stranieri NON mandano i figli a scuola.

I commenti sono chiusi.