Reddito di cittadinanza: stranieri ancora fermi al 6%

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I dati aggiornati pubblicati sull’Osservatorio statistico confermano che a usufruire di questa misura di sostegno al reddito sono quasi esclusivamente i cittadini italiani.

Si poteva sperare che quel modesto 6% di cittadini extra UE che avevano avuto accesso al reddito di cittadinanza fino all’ottobre 2019 fosse solo una conseguenza del “blocco” disposto dall’INPS con circolare n. 100 del 5 luglio 2019 e che una volta rimosso il blocco con l’emanazione del decreto ministeriale del 21 ottobre 2019 la misura potesse acquisire una connotazione un po’ più egualitaria.

Ma così non è stato: i dati pubblicati dall’INPS nell’ Osservatorio reddito di cittadinanza”, aggiornati al 7 gennaio 2020, riportano una situazione che su questo fronte è assolutamente immutata. Su 1,6 milioni di nuclei familiari che hanno presentato una domanda di Reddito/Pensione di Cittadinanza, 1,1 milione (67%) sono state accolte, 88 mila (5%) sono in lavorazione e 457 mila (28%) sono state respinte o cancellate:  ebbene delle prestazioni erogate il 90% è andato a cittadini italiani, il  6% a cittadini extra-comunitari, il 3% a cittadini europei ed infine l’1% a familiari dei casi precedenti. E’ lo stesso INPS a sottolineare che “tale composizione percentuale non è variata rispetto a quella delle domande presentate fino al mese di settembre, pur in seguito allo sblocco dei pagamenti di 40.000 domande di cittadini extracomunitari avvenuto nel mese di dicembre.”

Dunque, i cittadini extra UE partecipano alla prestazione in misura addirittura inferiore alla percentuale di stranieri presenti sul territorio nazionale (8,5%). Eppure secondo l’ISTAT la quota di famiglie straniere povere sul totale di famiglie povere varia (da nord a sud) dal 27,7% al 42,6% (1,6 milioni su un totale di 5 milioni e mezzo) e dunque, se la misura avesse in effetti una funzione universalistica e egualitaria, la quota di famiglie straniere dovrebbe essere almeno uguale a tale percentuale.

Ancora una volta si conferma dunque che i due requisiti introdotti dalla legge e che ASGI ha da sempre contestato (permesso di lungo periodo per gli stranieri e per tutti 10 anni di residenza in Italia, di cui gli ultimi due continuativi) stanno producendo effetti gravemente discriminatori e limitano fortemente l’efficacia dell’intervento come misura di contrasto alla povertà. 

Ma l’urgenza di modificare i due requisiti rimane totalmente assente dal dibattito politico. Nel frattempo, ASGI unitamente alla CGIL Bergamo ha depositato un primo ricorso avanti il Tribunale di Bergamo chiedendo di rimettere alla Corte Costituzionale la questione del requisito del permesso di lungo periodo, come già accaduto per il REI .

Ancora una volta le politiche sociali rischiano di essere affidate soltanto ai giudici.

I dati dell’Osservatorio Statistico

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