Un breve resoconto sull’operato di Malta nella gestione delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, dei centri di detenzione durante la pandemia e sul nuovo patto europeo su migrazione e asilo.
In tema di ricerca e soccorso in mare si delineano dinamiche sempre più evidenti
Nel corso delle prime due settimane di novembre abbiamo assistito ad una serie di incidenti con conseguenze tragiche nel mediterraneo. In questo contesto, la presenza in mare della ONG Proactiva Open Arms ha avuto un ruolo fondamentale nelle operazioni di soccorso, essendo l’unico assetto navale a rispondere alle richieste di intervento. Recenti notizie hanno dato risalto al prossimo ritorno in mare della ONG MOAS che collaborerà con Sea Eye in operazioni di ricerca e soccorso.
Il 10 novembre una prima operazione di salvataggio è stata condotta nei confronti di un gommone che trasportava 88 persone. La pronta risposta della ONG spagnola ha consentito l’operazione di search and rescue quando il natante era già sgonfio. Nella stessa giornata Alarm Phone ha inviato una richiesta di intervento per una nave che trasportava 110 persone a largo della costa libica. Stante l’inerzia delle guardie costiere, la nave di Proactiva si è diretta sul luogo indicato ma non è riuscita a localizzare l’imbarcazione in distress. Solo il giorno successivo, grazie anche ad una segnalazione degli assetti di Frontex, la nave ha raggiunto il luogo del naufragio e ha potuto salvare la maggior parte delle persone coinvolte. Risultavano mancanti 5 persone oltre al neonato Yusuf, recuperato in un primo tempo ma tragicamente deceduto nelle ore successive. Il video dello straziante grido di dolore della madre rimane un monito tragicamente significativo della “inazione” degli enti coinvolti.
Nelle concitate ore di questi due ulteriori eventi SAR, venivano segnalati da Alarm Phone e diffusi agli organi competenti altre situazioni di natanti in distress: tre imbarcazioni con a bordo rispettivamente 20, 23 e 120 migranti, situate a poca distanza dalla coste libiche. La strage che ne è conseguita è stata documentata da diverse testate e solo l’intervento di pescherecci privati ha evitato che i numeri fossero ancora più elevati.
E’ del 26 dicembre un’ultima richiesta di soccorso giunta ad Alarm Phone per un’imbarcazione con 13 persone a bordo partita dalle coste libiche. Ad oggi nessuna notizia circa le sorti dell’imbarcazione, ma è apparso significativo che Frontex abbia risposto alla richiesta di AP effettuando nella giornata del 26 due voli di ricognizione che non hanno prodotto esiti positivi.
Il quadro descritto evidenzia alcune tendenze sempre più chiare: il ruolo operativo delle navi delle ONG è determinante non solo ai fini di intervento ma anche per evidenziare l’inattività degli enti statali coinvolti nell’attività SAR; i ritardi nelle azioni di soccorso sono spesso fatali, la cosiddetta guardia costiera libica sembrerebbe non intervenire quando i naufragi avvengono a poca distanza dalla proprie coste ma solo se interpellata quando le imbarcazioni si avvicinano alle aree SAR europee e, da ultimo, è sempre più evidente la presenza e il ruolo ricoperto da Frontex.
Trattenimento e precarizzazione dei titolari di protezione umanitaria
Prosegue la politica di automatica detenzione dei migranti appena sbarcati sull’isola, al fine di sopperire alla carenza di posti nei centri di accoglienza.
Con una nuova pronuncia, un Tribunale maltese ha ordinato il rilascio di quattro migranti, detenuti per 166 giorni all’interno dei centri di Safi e Lyster Barracks, ove erano stati condotti subito dopo il loro salvataggio avvenuto a giugno. Lo stesso Giudice ha evidenziato che tali detenzioni sono frutto di un illegittimo automatismo, che conduce migranti reduci di esperienze traumatiche direttamente all’interno dei centri di detenzione.
Il ministro degli affari interni, accogliendo questa ed altre pronunce analoghe, ha voluto precisare che l’unica soluzione adeguata per far fronte al problema sarebbe quella di impedire gli ingressi nel Paese.
Il clima politico ostile che si respira nel paese è stato ulteriormente confermato da una recente misura amministrativa che ha reso più difficile accedere ad una sorta di protezione umanitaria (definita Specific Residence Authorisation), attraverso l’introduzione di requisiti più stringenti e termini brevi per farne richiesta. Immediata la reazione delle ONG locali che hanno sottolineato gli evidenti rischi connessi per la popolazione straniera.
Patto Europeo e meccanismi di solidarietà
Nel corso di quest’anno Malta ha beneficiato di diverse operazioni di ricollocamento attraverso il coordinamento di OIM. Nonostante le restrizioni dettate dall’emergenza pandemica, 270 migranti sono stati trasferiti in Francia, Finlandia, Romania e Germania. L’ultimo trasferimento ha avuto luogo nel mese di novembre.
Fortemente convinta della bontà dei meccanismi di ricollocazione, Malta sta giocando la sua partita politica in ambito europeo accodandosi agli altri paesi mediterranei nella richiesta di obblighi precisi in tema di condivisioni delle responsabilità alla luce del nuovo patto europeo sulle migrazioni e l’asilo. La stampa locale ha dato un certo risalto alla risoluzione adottata dalla Commissione LIBE del Parlamento Europeo, nella quale viene contestato il criterio di ripartizione delle domande di asilo previsto dal Regolamento Dublino che non verrebbe sostanzialmente scalfito dal nuovo patto, ribadendo la necessità di meccanismi obbligatori di solidarietà.
Il piano politico del governo è sempre più chiaro: “esternalizzare” il più possibile le procedure di protezione internazionale ad altri paesi UE e limitare l’accesso di richiedenti asilo attraverso politiche di accordi bilaterali con paesi di transito (come accaduto in occasione della sottoscrizione del Memorandum of Understanding con la Libia) rivendicate con orgoglio alla luce dei risultati conseguiti.
Aggiornamento precedente: ottobre 2020