Inaccettabili le dichiarazioni di Draghi sulla Libia. ASGI: nessuna collaborazione con chi viola i diritti umani

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respingimento in Libia

Le politiche di blocco e la conseguente creazione di canali di mobilità forzata, nei fatti escludono i migranti – compresi i possibili richiedenti asilo e le persone con particolari vulnerabilità – dall’accesso alla protezione in Italia esponendoli ai rischi connessi con il ritorno nei paesi di origine e a lunghe attese, spesso in condizioni deplorevoli, nei paesi di transito”. 

ASGI esprime profonda preoccupazione per le dichiarazioni degli esponenti del governo italiano e di rappresentanti delle istituzioni UE in relazione alla rinnovata collaborazione con le autorità libiche per il controllo delle migrazioni.

Mario Draghi, nel corso dell’incontro del 31 maggio a Roma con il primo ministro libico ad interim Abdelhamid Dabaiba, ha esplicitamente affermato che “L’Italia intende continuare a finanziare i rimpatri volontari assistiti e le evacuazioni umanitarie dalla Libia” e che si vogliono “riattivare tutti i memorandum di intesa, tutti gli accordi”.

La base giuridica di questi intendimenti è ancora il “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria libica” firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 dal governo Berlusconi e dall’allora dittatore libico Gheddafi. Questo trattato fa esplicito riferimento ai due protocolli di “cooperazione in materia di lotta all’immigrazione clandestina e tratta degli esseri umani” firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007 (dal governo Prodi II). Il protocollo tecnico-operativo ha permesso ai governi che si sono succeduti, senza alcuna soluzione di continuità, di finanziare le attività addestrative della cosiddetta “Guardia costiera libica”, e di cedere a titolo gratuito unità militari italiane ai libici. Il tutto fu trasfuso nel cosiddetto “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo del contrasto all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani” concluso in forma semplificata il 2 febbraio 2017, rinnovato nel 2020 e mai sottoposto all’approvazione con legge.

La strategia italiana di esternalizzazione in Libia si struttura in due azioni principali: il rafforzamento degli apparati di controllo della mobilità attraverso il finanziamento e l’addestramento delle autorità libiche e il conseguente blocco delle partenze; la creazione di canali di mobilità forzata verso paesi terzi e verso i paesi di origine dei migranti.

Mentre sono chiare le ricadute in termini di violazioni dei diritti umani delle politiche di blocco, spesso passano sotto traccia le violazioni derivanti dalle politiche di evacuazione e di rimpatrio cosiddetto volontario. Tuttavia, in assenza di un quadro generale di garanzie di tutela dei diritti fondamentali dei migranti, tali programmi divengono parte integrante della strategia italiana ed europea di esternalizzazione dei controlli di frontiera e dell’asilo. Creano infatti canali di mobilità forzata che riportano le persone nei paesi di origine o in paesi di ricollocamento dove attendono lungamente la definizione del proprio status in totale assenza di una protezione effettiva.

I numerosi rapporti del Segretario generale dell’ONU confermano da molto tempo a tutti  che la Libia viola gli impegni internazionali in materia di diritti umani. Nel paese non è prevista alcuna tutela legale dei richiedenti asilo; la legge stabilisce la detenzione amministrativa in assenza di controllo giurisdizionale e di forme di tutela legale degli stranieri irregolarmente presenti. Tale detenzione avviene in condizioni disumane e degradanti ed è noto l’uso sistematico della tortura per finalità di estorsione o di sfruttamento lavorativo o sessuale.

Con riguardo ai progetti di rimpatrio volontario, si ritiene che nelle condizioni descritte, l’adesione a tali programmi non possa considerarsi in alcun modo frutto della libera volontà dei migranti, essendo di fatto l’unica prospettiva per lasciare il paese e sottrarsi a detenzione arbitraria, abusi e violenze. Come è noto infatti, quanti tentano di attraversare il Mediterraneo sono spesso catturati in mare dalle autorità libiche e ricondotti nei centri di detenzione o sottoposti ad altre forme di abuso e sfruttamento all’interno del paese. I rimpatri volontari assumono quindi un ruolo centrale nelle politiche di esternalizzazione, potendosi configurare come espulsioni forzate mascherate (disguised expulsion).

Le politiche di blocco e la conseguente creazione di canali di mobilità forzata, nei fatti escludono i migranti – compresi i possibili richiedenti asilo e le persone con particolari vulnerabilità – dall’accesso alla protezione in Italia esponendoli ai rischi connessi con il ritorno nei paesi di origine e a lunghe attese, spesso in condizioni deplorevoli, nei paesi di transito. 

A fronte di tale situazione, le affermazioni del presidente Draghi,  secondo le quali è compito della Libia rispettare i diritti umani nei confronti dei migranti, non possono considerarsi sufficienti e riteniamo che:

  • Occorra modificare le inefficaci e disumane politiche che da 13 anni l’Italia intraprende in Libia, che non sono state capaci di impedire i maltrattamenti in Libia contro i migranti, ma li  hanno di fatto perpetuati, spingendo gli stranieri a fuggire in ogni modo dalla Libia anche a costo di perdere la vita in mare, senza che sia stato ancora evitato il naufragio di decine di migliaia di morti annegati nel Mediterraneo.
  • nessun nuovo accordo debba essere stipulato in forma semplificata e in violazione dell’art. 80 Cost. che prescrive che ogni trattato che abbia natura politica o comporti spese sia sottoposto a preventiva legge di autorizzazione alla ratifica;
  • Si debba rivedere profondamente gli attuali programmi di reinsediamento: nell’attuale situazione libica, la sola evacuazione accettabile è quella diretta di tutte le persone che ne facciano richiesta  verso Stati dell’UE che garantiscano il rispetto effettivo del diritto internazionale in materia di asilo e garantiscano alle persone accolte una reale prospettiva di integrazione nel nuovo Paese;
  • L’evacuazione immediata di tutti i migranti detenuti in Libia verso i soli Stati UE sia il rimedio decisivo senza il quale i maltrattamenti in Libia contro i migranti stranieri continueranno e così pure i loro tentativi di fuggire in mare verso l’Italia;
  • Sia inaccettabile avallare qualsivoglia procedura di ammissibilità all’evacuazione che sia svolta in Libia, paese in cui non ci sono le condizioni per garantire procedure eque ed effettive;
  • si debba  cessare qualsivoglia programma di rimpatrio dalla Libia poiché non sussistono condizioni tali da permettere ai migranti di fornire liberamente e volontariamente il proprio consenso al rimpatrio.
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