L’apparente preclusione all’iscrizione anagrafica del richiedente protezione internazionale, derivante dalle modifiche introdotte dal dl 113/2018, può essere superata attraverso l’interpretazione sistematica delle norme ancora in vigore. In mancanza, sarà necessario il rinvio alla Corte costituzionale per violazione dell’art. 3 della Costituzione. Dalla Rubrica “Diritti senza confini”.
di Daniela Consoli, avvocata del Foro di Firenze e Nazzarena Zorzella, avvocata del Foro di Bologna
1. L’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo: preclusa o consentita?
Il dl n. 113/2018 [1] ha apportato significative modificazioni alla condizione giuridica del richiedente il riconoscimento della protezione internazionale, tra le quali l’apparente preclusione all’iscrizione anagrafica. All’art. 4 del d.lgs 142/2015 è stato, infatti, aggiunto il comma 1-bis secondo cui il permesso di soggiorno per richiesta asilo «non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
La norma è stata subito interpretata come preclusione all’iscrizione anagrafica per il (solo) richiedente asilo, suscitando immediate critiche di sospetta illegittimità costituzionale poiché esclude dal diritto fondamentale alla residenza anagrafica una specifica categoria di persone, in difetto di ragionevole motivazione che giustifichi il differente trattamento, con violazione dell’art. 3 Cost. [2].
Nel contempo, la disposizione introdotta ha sollevato proteste anche da parte di alcuni sindaci, alcuni dei quali ne hanno preannunciato la disapplicazione [3].
In realtà, la norma, a prescindere dalle intenzioni del legislatore “storico”, non pone alcun esplicito divieto, ma si limita ad escludere che la particolare tipologia di permesso di soggiorno motivata dalla richiesta asilo possa essere documento utile per formalizzare la domanda di residenza, con ciò modificando il previgente sistema. È noto, però, che non sarebbe concepibile nel nostro ordinamento un divieto normativo implicito di un diritto soggettivo, come nel caso in esame quello all’iscrizione anagrafica.
Nella specie si tratterebbe di un divieto implicito ed in palese contrasto non solo con una serie di norme gerarchicamente superiori [4] ma con gli stessi principi generali in materia di immigrazione che trattano di iscrizioni anagrafiche e che non sono stati modificati dal cd. decreto sicurezza. In particolare, si veda l’art. 6, comma 7, d.lgs 286/1998, secondo il quale le «iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani».
La norma, come detto, non pone un divieto e tuttavia nell’escludere che il permesso per richiesta asilo non rientri tra la documentazione utile per l’iscrizione anagrafica non ne individua un altro e dunque è compito dell’interprete procedere, colmando la lacuna e risalendo alla funzione che nell’ambito del diritto/dovere alla residenza anagrafica svolge l’esibizione del permesso di soggiorno.
La residenza, secondo la definizione del codice civile, è, semplicemente il «luogo in cui la persona ha la dimora abituale» (art. 43, comma 2, cc). Ora se il cittadino italiano dovrà dimostrare unicamente la stabile permanenza in un luogo e la volontà di rimanervi (cfr. a titolo d’esempio, Cass., sez. II, 14 marzo 1986, n.1738; Cass. 5 febbraio 1985, n. 791; Cass. Sez. I, 21 giugno 1955, n. 1925; Cass. Sez I, 17 ottobre 1955 n. 3226; Cass. Sez. II, 17 gennaio 1972 n. 126) [5], il cittadino straniero dovrà dimostrare anche di essere regolarmente soggiornante in Italia, come espressamente richiede la legge 1228/1954, cd. “legge anagrafica” e il dPR n. 223/1989, cd. “regolamento anagrafico” (art. 6, comma 7, d.lgs 286/1998) [6].
Come precisato nelle Linee guida 2014 elaborate in collaborazione con il Ministero dell’interno [7] «Devono ritenersi illegittime quelle prassi volte a richiedere agli stranieri, in aggiunta alla dimora abituale e alla regolarità del soggiorno, ulteriori condizioni per l’iscrizione anagrafica» (cfr. Circ. Min. Interno, n. 8 del 1995; n. 2 del 1997).
Posto quindi che l’esibizione del permesso di soggiorno, ai fini della iscrizione anagrafica, assolve al compito di dimostrare la regolare presenza del cittadino non comunitario sul territorio italiano, gli interpreti e gli ufficiali di Governo dovranno chiedersi, nel silenzio del legislatore, quale documento possa, invece del permesso di soggiorno, assolvere alla funzione voluta dalla legge.
Ed invero, per i richiedenti la protezione internazionale la regolarità del soggiorno, più che dal permesso di soggiorno che teoricamente potrebbero anche non ritirare o ottenere in ritardo come spesso accade, è comprovata dall’avvio del procedimento volto al riconoscimento della fondatezza della pretesa di protezione e quindi (tralasciando in questo contesto la semplice dichiarazione di volontà) dalla compilazione del cd. “modello C3”, e/o dalla identificazione effettuata dalla questura nell’occasione. L’uno o entrambi i documenti certificano la regolarità del soggiorno in Italia, assolvendo perfettamente alle condizioni previste dalla legge per l’iscrizione anagrafica.
Il tutto in linea, e comunque non in contraddizione, con la modifica legislativa di cui si discute.
Ecco, pertanto, che le nuove disposizioni di cui al dl 113/2018 in materia di iscrizione anagrafica del (solo) richiedente asilo possono essere interpretate con effetto di non impedire detta iscrizione.
Se non interpretata in questo senso, la modifica introdotta dal decreto sicurezza non potrà non essere rinviata alla Corte costituzionale, a fronte di espresso diniego di iscrizione anagrafica da parte dell’ufficiale di stato civile del comune.
2. L’accesso ai servizi in difetto di iscrizione anagrafica
Un ulteriore aspetto da chiarire, visto il travisamento che traspare dagli organi di stampa, riguarda le conseguenze della mancata iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, nel caso prevalga l’interpretazione preclusiva dianzi indicata. Va, infatti, precisato che l’art. 5 del d.lgs 142/2015, novellato dal dl 113, garantisce espressamente ai richiedenti asilo l’accesso a tutti i servizi previsti dal d.lgs stesso ed anche a quelli «comunque erogati sul territorio» sulla base del domicilio dichiarato al momento della formalizzazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale [8].
Questo significa che il/la richiedente asilo ha diritto a tutte le prestazioni erogate sul territorio comunale, evidenziando che la disposizione non parla solo di servizi erogati dalla pubblica amministrazione e pertanto vanno compresi anche quelli di pertinenza di soggetti privati, quali le banche, le assicurazioni, le agenzie immobiliari, etc.
A titolo esemplificativo, dunque, si possono ricomprendere i servizi afferenti all’istruzione (scuola, nidi d’infanzia) e alla formazione, anche professionale, ai tirocini formativi, alle misure di welfare locale (comunale e regionale), all’iscrizione ai Centri per l’impiego, all’apertura di conti correnti presso le banche o le Poste italiane, etc.
Per quanto riguarda l’accesso ai corsi di formazione, è utile precisare che l’abrogazione disposta dal dl 113/2018 dell’art. 22, comma 3, d.lgs. 142/2015 (che stabiliva che «I richiedenti, che usufruiscono delle misure di accoglienza erogate ai sensi dell’articolo 14, possono frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente previsti dal programma dell’ente locale dedicato all’accoglienza del richiedente») riguarda i corsi predisposti nell’ambito del programma di accoglienza (Sprar o Cas) ma non certamente quelli offerti sul territorio comunale indistintamente a tutti. Certo, si porrà il problema del costo per garantire la partecipazione a detti corsi, tenuto conto che i nuovi capitolati d’appalto per la gestione delle strutture di accoglienza non prevedono obbligatoriamente l’erogazione di servizi di tal genere e in tal senso avranno un ruolo decisivo quegli enti locali che introdurranno nel bilancio comunale o regionale voci di spesa destinate anche ai richiedenti asilo, per rendere effettiva l’accoglienza e gestire razionalmente il fenomeno.
Nello specifico, invece, dell’iscrizione ai centri per l’impiego, la disposizione di cui all’art. 5, comma 3, d.lgs. 142/2015 va coordinata con quanto previsto dall’art. 22 del medesimo d.lgs, secondo cui, trascorsi 60 giorni dalla presentazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, il/la richiedente asilo ha diritto di svolgere l’attività lavorativa [9]. Diritto che comprende necessariamente anche l’iscrizione al centro per l’impiego, propedeutico alla ricerca di opportunità lavorative.
Del resto, l’art. 11, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 150/2015, nel riorganizzare il Servizio regionale per il lavoro (che comprende anche i centri per l’impiego), stabilisce il principio della «c) disponibilità di servizi e misure di politica attiva del lavoro a tutti i residenti sul territorio italiano, a prescindere dalla regione o provincia autonoma di residenza». Se si prescinde dalla regione o provincia autonoma di residenza, è evidente che con la locuzione «a tutti i residenti sul territorio italiano» debba intendersi non la residenza anagrafica ma quella civilistica (art. 43 cc).
In questi termini si è espressa anche la circolare Anpal del 23 maggio 2018, pur precedente l’entrata in vigore del dl 113/2018 [10].
Pertanto, l’iscrizione ai centri per l’impiego dovrà essere consentita anche in assenza di iscrizione anagrafica.
Per quanto riguarda l’accesso ai servizi erogati da soggetti privati (banche, poste, assicurazioni, agenzie immobiliari, etc.), va precisato che nessuna norma prevede che venga esibito il certificato di residenza, ma solo un documento di riconoscimento, che nel caso dei richiedenti asilo è il permesso di soggiorno per richiesta asilo. L’art. 4, comma 1, d.lgs. 142/2015, infatti, stabilisce che «»[…] Il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445» [11].
Peraltro, l’art. 126-noviesdecies d.lgs 385/93 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) stabilisce espressamente che, per l’apertura di un conto corrente (conto di base):
«Tutti i consumatori soggiornanti legalmente nell’Unione europea, senza discriminazioni e a prescindere dal luogo di residenza, hanno diritto all’apertura di un conto di base nei casi e secondo le modalità previste dalla presente sezione.
3. Ai fini della presente sezione, per consumatore soggiornante legalmente nell’Unione europea si intende chiunque abbia il diritto di soggiornare in uno Stato membro dell’Unione europea in virtù del diritto dell’Unione o del diritto italiano, compresi i consumatori senza fissa dimora e i richiedenti asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status dei rifugiati, del relativo protocollo del 31 gennaio 1967 nonché ai sensi degli altri trattati internazionali in materia».
È, pertanto, chiaro che anche per l’apertura di un conto corrente non è necessario avere la residenza o la carta di identità ma è sufficiente il permesso di soggiorno, anche per richiesta asilo.
Diritto che va rigorosamente fatto rispettare, tenuto anche conto che dal 1° luglio 2018 il pagamento degli stipendi non può essere fatto in contanti, rendendo necessaria l’attivazione di un conto corrente (art. 1, comma 910, legge 205/2017).
Un’ultima precisazione va fatta con riguardo all’iscrizione al Servizio sanitario nazionale, tenuto conto che qualche organo di stampa riporta preoccupazioni di amministratori pubblici che temono l’impedimento per i richiedenti asilo in difetto di residenza anagrafica.
Va, infatti, evidenziato che l’iscrizione al Ssn è espressamente prevista anche per i richiedenti asilo dall’art. 34 TU immigrazione d.lgs 286/98, il cui comma 1 stabilisce che:
«Hanno l’obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale e hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all’obbligo contributivo, all’assistenza erogata in Italia dal servizio sanitario nazionale e alla sua validità temporale:
a) gli stranieri regolarmente soggiornanti che abbiano in corso regolari attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo o siano iscritti nelle liste di collocamento;
b) gli stranieri regolarmente soggiornanti o che abbiano chiesto il rinnovo del titolo di soggiorno, per lavoro subordinato, per lavoro autonomo, per motivi familiari, per asilo, per protezione sussidiaria, per casi speciali, per protezione speciale, per cure mediche ai sensi dell’articolo 19, comma 2, lettera d-bis), per richiesta di asilo, per attesa adozione, per affidamento, per acquisto della cittadinanza; (361)
b-bis) i minori stranieri non accompagnati, anche nelle more del rilascio del permesso di soggiorno, a seguito delle segnalazioni di legge dopo il loro ritrovamento nel territorio nazionale».
Pertanto, l’accesso al Ssn dovrà essere garantito anche ai richiedenti asilo, pur in difetto di residenza anagrafica ma sulla base del solo domicilio eletto in sede di presentazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale.
***
Queste considerazioni consentono agli amministratori locali di richiedere il rispetto rigoroso della legge, sia per quanto riguarda l’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo (richiedendo un documento di riconoscimento diverso dal permesso di soggiorno, ovverosia il Modello C3 di identificazione del richiedente stesso da parte dell’autorità di pubblica sicurezza), sia garantendo che, anche se privi di iscrizione anagrafica, ai richiedenti asilo sia riconosciuto il diritto di accesso ai servizi erogati sul territorio, in applicazione rigorosa della legge vigente.
[1] Entrato in vigore il 5 ottobre 2018 e convertito con modificazioni in legge n. 132/2018.
[2] Cfr. il documento Asgi, Manifeste illegittimità costituzionali delle nuove norme concernenti permessi di soggiorno per esigenze umanitarie, protezione internazionale, immigrazione e cittadinanza previste dal decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/10/ASGI_DL_113_15102018_manifestioni_illegittimita_costituzione.pdf
[3] Direttiva del sindaco di Palermo del 21 dicembre 2018, prot. n. 1807620, https://bit.ly/2FduNqe.
[4] Così ad esempio, e senza pretesa di esaustività, contrasterebbe con l’art. 2 del Protocollo n. 4 allegato alla Cedu, ratificato e reso esecutivo in Italia con dPR 14 aprile 1982, n. 217 sulla Libertà di circolazione, che sancisce: «Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza», e con l’art. 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici: «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla libertà di movimento e alla libertà di scelta della residenza in quel territorio», adottato dall’Assemblea generale il 16 dicembre 1966, e reso esecutivo in Italia con legge. n. 881 del 25 ottobre 1977.
[5] Quindi, alla presenza fisica in un determinato luogo (elemento importante ma mai risolutivo per stabilire la dimora abituale di un soggetto in un determinato luogo, posto che la verifica dell’elemento oggettivo attraverso il riscontro della sua presenza fisica è un’operazione qualitativa ancor prima che quantitativa), deve affiancarsi un elemento soggettivo dato dall’intenzionalità di risiedere in quel luogo, ove porre il proprio centro delle relazioni familiari e sociali.
[6] Ciò anche in forza di quanto previsto dal comma 2 dello stesso art. 6, che richiede allo straniero l’esibizione del permesso di soggiorno in sede di «rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati».
[7] Servizio centrale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, Ministero dell’Interno, UNHCR, A.N.U.S.C.A., ASGI, Linee guida sul diritto alla residenza dei richiedenti e beneficiari di protezione internazionale, dicembre 2014, https//www.asgi.it/notizie/linee-guida-sul-diritto-alla-residenza-dei-richiedenti-e-beneficiari-di-protezione-internazionale/
[8] Art. 5, comma 3, d.lgs. 142/2015: «L’accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2».
[9] Art. 22, comma 1, d.lgs. 142/2015: «Il permesso di soggiorno per richiesta asilo di cui all’articolo 4 consente di svolgere attività lavorativa, trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda, se il procedimento di esame della domanda non è concluso ed il ritardo non può essere attribuito al richiedente».
[10] Anpal, circolare del 23 maggio 2018 n. 6202, https://bit.ly/2FaC5ed.
[11] Art. 1 dPR 445/2000:
«Ai fini del presente testo unico si intende per:
[…] c) DOCUMENTO DI RICONOSCIMENTO ogni documento munito di fotografia del titolare e rilasciato, su supporto cartaceo, magnetico o informatico, da una pubblica amministrazione italiana o di altri Stati, che consenta l’identificazione personale del titolare; […]».
L’articolo è pubblicato nella Rubrica “Diritti senza confini”, nata dalla collaborazione fra le Riviste Questione Giustizia e Diritto Immigrazione e Cittadinanza per rispondere all’esigenza di promuovere, con tempestività e in modo incisivo il dibattito giuridico sulle principali questioni inerenti al diritto degli stranieri. Vai alla Rubrica