Il supporto finanziario, tecnico e logistico da parte delle autorità italiane alla polizia di frontiera tunisina comporta un aumento delle violazioni dei diritti fondamentali delle persone migranti, ostacola la libertà di movimento e rende sempre più difficile scappare dal paese per ottenere adeguata protezione. È necessario interrogarsi sui concetti giuridici in discussione, tra cui luogo di sbarco sicuro e paese di origine sicuro, sul processo di legittimazione delle politiche di esternalizzazione e sulle strategie per evitare che la Tunisia diventi, attraverso il contributo italiano ed europeo, una nuova Libia: un luogo di abusi sistemici e strutturali, e di sfruttamento delle persone migranti dove relegare e delegare le politiche di controllo della mobilità.
Con ordinanza del 4 luglio 2024, il Consiglio di Stato ha rigettato l’istanza cautelare con cui le organizzazioni della società civile chiedevano la sospensione del trasferimento delle motovedette alla Garde Nationale tunisina, rinviando – per la decisione definitiva sul merito – al 21 novembre.
Come già avvenuto con la Libia, il supporto finanziario, tecnico e logistico da parte delle autorità italiane alla polizia di frontiera tunisina comporta un aumento delle violazioni dei diritti fondamentali delle persone migranti, ostacola la libertà di movimento e rende sempre più difficile scappare dal paese per ottenere adeguata protezione.
Come associazioni ricorrenti riteniamo necessario aprire un confronto pubblico sui temi toccati da questa vicenda processuale. Può essere un’occasione per confrontarsi sui concetti giuridici in discussione – luogo di sbarco sicuro e di paese di origine sicuro -, sulle dinamiche attraverso cui gli atti alla base delle politiche di esternalizzazione sono legittimate, anche da una prospettiva giuridica, e sulle strategie per evitare che la Tunisia diventi, grazie al contributo italiano ed europeo, una nuova Libia: un luogo di abusi sistemici e strutturali, e di sfruttamento delle persone migranti dove relegare e delegare le politiche di controllo della mobilità.
Il contenzioso contro il trasferimento delle motovedette alla Garde Nationale Tunisina
A dicembre dello scorso anno, il governo italiano ha disposto il trasferimento di sei imbarcazioni per il pattugliamento delle coste alla Garde Nationale (G.N.) tunisina. Una cordata di associazioni, lo scorso marzo, ha presentato ricorso davanti al tribunale amministrativo, chiedendo al giudice di valutare la legittimità degli atti con cui il Ministero dell’Interno ha disposto la cessione di nuove motovedette alla Tunisia, fronte delle gravissime violazioni dei diritti umani commessi dalle autorità tunisine contro le persone migranti1.
Con l’Ordinanza n. 4848/2024 del 4 luglio 2024, il Consiglio di Stato ha deciso di non accogliere la richiesta di emissioni di misure cautelari formulata dalle associazioni che chiedevano la sospensione del trasferimento delle imbarcazioni fino alla decisione del giudice amministrativo in relazione agli atti contestati, in modo da sospenderne gli effetti dannosi fino a un vaglio approfondito sulla legittimità.
Nel dettaglio, il Consiglio di Stato, che il 18 giugno aveva sospeso in via cautelare l’invio delle prime tre motovedette, ha in seguito accolto le deduzioni dell’avvocatura, ritenendo che il trasferimento delle motovedette e le relative iniziative di formazione del personale della Garde Nationale tunisina possano contribuire “all’innalzamento dei livelli di tutela e salvaguardia dei migranti in mare, tanto più necessari dopo l’istituzione della zona SAR della Tunisia, tenuto conto dell’alto livello di professionalità di cui dispone la Guardia di Finanza nello svolgimento delle attività in questione”.
Nell’ordinanza, inoltre, è condivisa la tesi della difesa quando afferma che le criticità relative alle violazioni dei diritti umani da parte della Tunisia, e quindi il contributo causale alla commissione di tali violazioni che deriva dall’equipaggiamento delle autorità del paese, “hanno prodotto, al momento, solo l’attivazione, da parte di organismi internazionali, richieste di chiarimenti e di garanzie circa il rispetto dei diritti umani”. La sicurezza del paese è dedotta dalla conferma della Tunisia nella lista dei “paesi di origine sicuri” approvata con decreto del Ministero degli Affari esteri del 7 maggio 2024.
L’ordinanza termina sottolineando che “nondimeno, in caso di mutamento del quadro internazionale per effetto di decisioni da parte di organismi internazionali, potranno essere adottati dall’amministrazione i provvedimenti conseguenti”.
Come associazioni ricorrenti, a fronte dell’ordinanza in questione,di quelle che l’hanno preceduta2 e della decisione futura decisione nel merito dal giudice amministrativo, che ha fissato l’udienza al 21 novembre 2024, riteniamo necessario aprire il dibattito pubblico su alcune delle questioni poste sotto tensione dal presente contenzioso.
Le nozioni giuridiche di “paese di origine sicuro” e “luogo di sbarco sicuro” (POS)
In primo luogo, riteniamo fondamentale mettere brevemente a fuoco la differenza tra i concetti di paese di origine sicuro e di luogo di sbarco sicuro. Il primo, introdotto nell’ordinamento italiano dal d.l. 133 del 2018, fa riferimento alla sicurezza di un paese per il/la richiedente asilo che sia cittadino/a di tale paese o che vi avesse stabilito la sua abituale residenza nel caso in cui non abbia invocato “gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova”.
Differentemente, si parla di luogo di sbarco sicuro (Place of safety, POS), in relazione al posto in cui si può ritenere che un’operazione di soccorso possa adeguatamente e legittimamente concludersi, come sancito dalle convenzioni internazionali3 e ribadito dalla giurisprudenza4. Affinché un luogo sia definito “di sbarco sicuro” per le persone soccorse in mare occorre che queste non siano illegalmente respinte, che non rischino di subire gravi danni o tortura e trattamenti inumani e degradanti, e possano accedere a forme di protezione sufficiente.
Il fatto che la Tunisia abbia recentemente dichiarato una propria zona di competenza per le operazioni di ricerca e soccorso (zona SAR) comporta ulteriori preoccupazioni: come già avvenuto per la Libia5, il rafforzamento delle autorità di frontiera attraverso la loro formazione, finanziamento ed equipaggiamento ad opera dell’UE e dell’Italia non comporta garanzia alcuna rispetto alle modalità di intervento e al rispetto dei diritti umani. Il caso libico insegna come l’espansione delle responsabilità di tali autorità possa portare, al contrario, a una maggiore compromissione dei diritti delle persone intercettate o soccorse in mare.
Se da un lato l’inserimento della Tunisia nella lista dei paesi di origine sicuri solleva diverse perplessità anche a livello giurisprudenziale6, dall’altro occorre osservare che nella stessa scheda relativa alla Tunisia redatta dall’Ufficio del Ministero degli affari esteri è riportato che “Nel luglio 2023 esperti ONU hanno lamentato presunti trattamenti discriminatori nei confronti di migranti sub-sahariani, comprese asserite espulsioni di gruppo. In occasione della 54° sessione del Consiglio Diritti Umani, l’Alto Commissario ONU per i diritti umani ha attirato l’attenzione su casi di decessi di migranti verificatisi alla frontiera libico-tunisina. Tali decessi sarebbero avvenuti dopo che le Autorità tunisine avrebbero lasciato in questa zona circa 2.000 migranti, senza fornire loro acqua, cibo e protezione.” Le stesse autorità italiane preposte all’analisi della situazione del paese per il suo inserimento nella lista riportano quindi le preoccupazioni sollevate dagli organismi internazionali circa il trattamento delle persone migranti in Tunisia.
Le pronunce degli organismi internazionali
Per quanto riguarda le preoccupazioni sollevate dagli organismi internazionali e la loro considerazione ai fini della valutazione della legittimità dell’operato dell’amministrazione italiana, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, insieme ad alcuni Relatori speciali, Gruppi di lavoro e Comitati, si è ampiamente espresso condannando quanto sta avvenendo in Tunisia ai danni delle persone migranti: in un posizionamento dell’agosto del 2023, quando la pratica delle deportazioni di massa era iniziata solo da pochi mesi, le autorità citate hanno formulato la seguente considerazione:
Temiamo che il rafforzamento di attività e progetti che aumenterebbero l’intercettazione dei migranti in mare e il loro rimpatrio illegale in Tunisia e in Paesi terzi pericolosi, dove rischiano persecuzioni e violazioni del diritto alla vita, torture e altri maltrattamenti, traffico di esseri umani e sparizioni forzate, costituisca una violazione del principio di non respingimento. Queste pratiche violerebbero gli obblighi legali internazionali, compreso il principio di non respingimento, applicabile in base al diritto dei trattati e al diritto internazionale consuetudinario, e che costituisce una norma di jus cogens.
Il fatto che le autorità tunisine siano responsabili di abusi e violenze generalizzate a causa delle quali i migranti subsahariani sono sottoposti a un elevato rischio di detenzione arbitraria, deportazione arbitraria e di massa verso Libia e Algeria è ritenuto certo e ben documentato dagli organismi internazionali, che hanno in diverse occasioni richiesto informazioni e chiarimenti al governo tunisino, che tuttavia ad oggi non ha mai fornito le risposte richieste.
Ormai un anno fa, un gruppo di esperti delle Nazioni unite ha chiesto “alle autorità di fermare immediatamente ogni ulteriore deportazione e di continuare e ampliare l’accesso umanitario a un’area pericolosa al confine tra Tunisia e Libia, dove molti, tra cui donne incinte e bambini, sono già stati espulsi“.
Inoltre, nell’ultimo anno, il Comitato per i diritti umani e il Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite, aditi da alcuni gruppi di migranti sottoposti a deportazioni e trasferimenti forzati, hanno ordinato al governo tunisino di adottare misure cautelari per la protezione di tali persone.
Le violazioni dei diritti delle persone migranti in Tunisia
La situazione di pericolo in cui vivono le persone migranti in Tunisia è evidente nei numeri degli arrivi via mare: nel 2023, il 62% degli arrivi in Italia attraverso la rotta del Mediterraneo centrale proveniva dalla Tunisia. Si tratta di 97667 persone, solo parzialmente di origine tunisina: quasi 18mila persone erano infatti di origine Guineana, seguite da 17486 persone di origine tunisina e da 15584 provenienti dalla Costa d’Avorio.
Da un lato la situazione di persecuzione e violenza che vivono le persone migranti in Tunisia le spinge a tentare di lasciare il paese dall’altro le autorità di frontiera, potenziate dagli equipaggiamenti e finanziamenti italiani ed europei, conducono un numero crescente di intercettazioni, riconducendo le persone a terra. Come ampiamente documentato da testimonianze e rapporti7, la G.N. tunisina agisce in collusione con le reti del traffico di esseri umani e adotta metodi violenti di intervento in mare, quali l’uso di pistole e bastoni per minacciare i migranti, il furto dei motori delle imbarcazioni e altre pratiche pericolose che causano naufragi e morti. Una volta tornate a terra, le persone migranti sono in via sistematica deportate verso la Libia e l’Algeria8, dove rischiano deportazioni a catena – ad esempio verso il Niger9 – o di essere illegalmente detenute, sfruttate e torturate nelle carceri libiche, o rischiano la vita nelle zone di frontiera, senza alcun accesso ai beni e alle cure di prima necessità10.
Non è rinviabile una discussione che affronti, da una prospettiva giuridica ma anche sociale e politica, in dialogo con la società civile tunisina, il tema della responsabilità italiana per gli abusi e le violenze che stanno subendo le persone migranti in Tunisia, dove, così come già avvenuto in Libia, si stanno strutturando meccanismi di violenza e sfruttamento sistemico sostenuti e incoraggiati dalle politiche europee di blocco della mobilità.
- Per maggiori informazioni si vedano i seguenti articoli e report: https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/48-milioni-di-euro-per-fermare-i-migranti-dalla-tunisia-la-societa-civile-italiana-presenta-ricorso-al-tar/; https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/motovedette-alla-tunisia-il-consiglio-di-stato-accoglie-listanza-cautelare-della-societa-civile/; https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2024/07/Articolo-Tunisia.docx.pdf ↩︎
- Si vedano: https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/motovedette-alla-tunisia-il-consiglio-di-stato-accoglie-listanza-cautelare-della-societa-civile/; https://www.unita.it/2024/06/22/dare-motovedette-alla-tunisia-vuol-dire-violare-la-legge/ ↩︎
- Si veda la definizione di luogo di sbarco sicuro (“place of safety”), di cui al paragrafo 1.3.2. della Convenzione SAR di Amburgo del 1979, contenuta nelle “Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare”, adottate dal Comitato per la Sicurezza marittima dell’IMO nel maggio 2004: https://wwwcdn.imo.org/localresources/en/OurWork/Facilitation/Documents/MSC.167%20(78).pdf; per la giurisprudenza sul punto si veda la nota successiva. ↩︎
- Si vedano, sul punto, le seguenti pronunce giurisprudenziali: Tribunale di Crotone, I sez. civ., 26 giugno 2024; Tribunale di Roma, XVIII sez. civ., 26 giugno 2024; Corte di Cassazione, V sez. pen., 1 febbraio 2024, n. 4557. ↩︎
- Su cui la giurisprudenza si è ampiamente pronunciata: si veda la nota precedente. ↩︎
- Si veda l’ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione del Tribunale di Roma (n. 2685/2024) sulla possibile disapplicazione da parte del giudice ordinario del decreto ministeriale che stabilisce la lista dei paesi di origine sicuri, con riferimento alla Tunisia. ↩︎
- Per maggiori informazioni si vedano: https://www.hrw.org/news/2023/10/10/tunisia-african-migrants-intercepted-sea-expelled; https://www.infomigrants.net/fr/post/48419/tunisie–les-gardecotes-accuses-de-voler-les-moteurs-des-migrants-et-de-faire-chavirer-les-embarcations. Da ultimo, si veda il rapporto “Mare Interrotto”, pubblicato nel Giugno 2024 da Watch the Med Alarm Phone, in collaborazione con attori della società civile tunisina: https://alarmphone.org/wp-content/uploads/2024/06/Mare-interrotto-IT.pdf ↩︎
- Come ampiamente documentato da organismi delle Nazioni Unite (si veda sopra), organizzazioni non governative quali Human Rights Watch e l’Organizzazione Mondiale Contro la Tortura – OMCT (https://omct-tunisie.org/2023/12/18/les-routes-de-la-torture/) e inchieste giornalistiche. (https://www.lighthousereports.com/investigation/desert-dumps/) ↩︎
- https://alarmephonesahara.info/en/blog/posts/assamaka-september-and-october-2023-frequent-mass-deportations-from-algeria-to-niger-continue-deportees-trapped-in-miserable-conditions; ↩︎
- Sull’intensificarsi della repressione, ai danni delle persone migranti e delle organizzazioni della società civile, a partire dal maggio 2024 si vedano: https://www.amnesty.it/tunisia-aumenta-la-repressione-di-organizzazioni-della-societa-civile-e-migranti/#:~:text=17%20Maggio%202024&text=Amnesty%20International%20ha%20dichiarato%20che,e%20anche%20contro%20i%20giornalisti; https://www.meltingpot.org/2024/05/lescalation-della-deriva-autoritaria-del-regime-tunisino-di-kais-saied/; ↩︎
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