Il Tribunale di Roma accoglie il ricorso contro il fermo di Sea-Watch 5 a Civitavecchia

Ribadito il principio secondo cui l’onere della prova circa la condotta contestata incombe sull’amministrazione che emette la sanzione.

All’inizio di settembre 2024, la nave Sea-Watch 5 dell’ONG tedesca Sea-Watch è stata fermata dalle autorità di Civitavecchia sulla base del d.l. 1/2023 (il cd decreto Piantedosi) per aver effettuato dei soccorsi in zona SAR libica senza essere stata previamente “autorizzata” dalle autorità libiche. Le operazioni erano state comunicate a tutte le autorità statali, ma dalla Libia avevano risposto a MRCC Roma di non aver intenzione di inviare alcuna nave a prestare soccorso, mentre nessun tipo di indicazione era stato fornito alla nave soccorritrice. Si tratta di una prassi comune, tanto dei libici (che non coordinano) tanto delle autorità italiane che, sovvertendo i principi di diritto internazionale, tentano di affermare la necessità di essere “autorizzati” al soccorso, laddove questo per giurisprudenza costante deve essere ritenuto un obbligo assoluto in capo al comandante di ogni nave, soprattutto in alto mare.

Spesso, inoltre, le autorità italiane fondano le sanzioni in questione su scarne informazioni fornite dalle autorità libiche tramite mail, senza curarsi di provare in altro modo le condotte contestate.

Il Tribunale di Roma, con la sentenza del 7 febbraio 2025, n. 1512, ha accolto il ricorso ribadendo un principio affermato anche da altri tribunali, in primis quello di Reggio Calabria in un caso della ong Sea-Eye, secondo cui l’onere della prova circa la condotta contestata incombe sull’amministrazione che emette la sanzione e affermando che: 

“in virtù del principio di legalità sancito, per le sanzioni amministrative, all’art. 1, legge n. 689/1981, la contestazione dell’illecito amministrativo deve essere sufficientemente specifica e, pertanto, deve lasciare comprendere quale sia la condotta alternativa lecita che, in concreto, avrebbe dovuto essere tenuta e che invece non sia stata osservata: nella fattispecie, lo stesso verbale di “accertamento e constatazione”, si fonda esclusivamente sulla narrativa sequenziale delle comunicazioni pervenute (o inviate) dalla (o alla) Sea Watch-5, nonché di quelle pervenute (o inviate) dalla (ovvero alla) MRCC Roma, tra il 30 agosto e la data dello sbarco; la stessa narrativa è sostanzialmente riprodotta e trascritta sia nel ricorso in opposizione, sia nella memoria di costituzione delle Amministrazioni convenute; non risulta con ciò possibile comprendere quale condotta avrebbe dovuto tenere, in concreto, il natante della Sea Watch e.V.”

La sentenza ribadisce anche la piena sussistenza dell’interesse ad agire avverso questo tipo di provvedimenti anche laddove questi abbiano perso effetto per il decorrere della durata del fermo.

Il ricorso è stato seguito dalle avvocate Lucia Gennari, Cristina Cecchini, Anna Pellegrino e Ginevra Maccarrone.

Foto da Twitter/X – Seawatch