1. Cenni sul permesso di soggiorno umanitario, prima e dopo il dl 113/2018
Il 5 ottobre 2018 è entrato in vigore il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata). Nel preambolo esso attesta «la necessità e urgenza di prevedere misure volte a individuare i casi in cui sono rilasciati speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario», e l’art. 1 di esso detta «Disposizioni in materia di permesso di soggiorno per motivi umanitari e disciplina di casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario».
Prima del dl 113/2008, l’art. 5, comma 6, T.U. immigrazione (d.lgs 286/1998) così disponeva:
«6. Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal questore secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione».
Il permesso di soggiorno umanitario [1] si affiancava al permesso di soggiorno rilasciato ai titolari dello status di rifugiato e ai titolari dello status di protezione sussidiaria (vds. l’art. 23 d.lgs 251/2007). Lo status di rifugiato e di protezione sussidiaria compongono la protezione internazionale [vds. art. 2, comma 1, lett. a) d.lgs 251/2007 e art. 2, comma 1, lett. b) d.lgs 25/2008] [2]. In base all’art. 32, comma 3, d.lgs 25/2008 (vigente prima del dl 113/2008), «[n]ei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» [3].
Il T.U. immigrazione prevedeva (prima del dl 113/2018), oltre al generale permesso di soggiorno umanitario, casi speciali di rilascio del permesso di soggiorno: «per motivi di protezione sociale» (art. 18), «per le vittime di violenza domestica» (art. 18-bis) e per «ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo» (art. 22, comma 12-quater). Si trattava di casi tipici del permesso di soggiorno umanitario [4], che si aggiungevano alla previsione generale dell’art. 5, comma 6,T.U..
I sopra citati art. 5, comma 6, T.U. e art. 32, comma 3, d.lgs 25/2008 sono stati modificati dal dl 113/2018: nell’art. 5, comma 6, è venuta meno la generale previsione del permesso di soggiorno per «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano» [5], e corrispondentemente l’art. 32, comma 3, non rinvia più al “generico” permesso di soggiorno umanitario di cui all’art. 5, comma 6, T.U. ma ai casi di cui all’art. 19, comma 1 e 1.1, T.U. [6], che ricalcano le condizioni dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria [7].
Inoltre, il dl 113/2018 ha eliminato i riferimenti all’art. 5, comma 6, T.U. nelle disposizioni relative ai permessi «per le vittime di violenza domestica» (art. 18-bis T.U.) e per «ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo» (art. 22, comma 12-quater, T.U.) e ha aggiunto nel testo unico altri tre casi di speciali permessi di soggiorno: quello «per cure mediche» [art. 19, comma 2, lett. d-bis)], quello «per calamità» (art. 20-bis) e quello «per atti di particolare valore civile» (art. 42-bis).
Infine, l’art. 1, comma 1, dl 113/2018 ha eliminato i riferimenti al permesso di soggiorno per motivi umanitari in diverse disposizioni del testo unico. In alcuni casi i rinvii al permesso umanitario sono stati sostituiti con un rinvio ai sopra citati casi speciali di permesso di soggiorno e a quello rilasciato ai sensi del novellato art. 32, comma 3, d.lgs 25/2008. L’art. 1, comma 6, dl 113/2018 ha tolto i riferimenti al permesso di soggiorno umanitario anche nel regolamento attuativo del testo unico (dPR 394/1999).
In sostanza, dopo il dl 113/2018 il testo unico menziona le esigenze umanitarie solo nella rubrica del titolo III del capo II [8] e nell’art. 20, che prevede «misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga a disposizioni del presente testo unico, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea».
Mi pare che l’effetto prodotto dal dl 113/2018 non sia quello dell’abolizione del permesso di soggiorno umanitario, ma quello dell’abolizione del “generico” permesso umanitario: il dl 113/2018 ha lasciato in vita le ipotesi tipiche del permesso umanitario, aggiungendo altri tre permessi speciali, due dei quali sono pur sempre collegati a esigenze umanitarie (quello «per cure mediche» e quello «per calamità»), mentre il terzo («per atti di particolare valore civile») ha natura premiale. Si vedrà nel paragrafo 3 in che misura le novità introdotte dal dl 113/2018 siano compatibili con la Costituzione e, in particolare, con l’art. 10, terzo comma, Cost. («Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge»).
2. La posizione soggettiva sottostante al permesso umanitario e la questione della retroattività del dl 113/2018
A partire dall’ordinanza delle sezioni unite civili n. 11535 del 2009, la Cassazione ha affermato che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in relazione al diniego del questore di concedere il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie di cui all’art. 5, comma 6, T.U. (vigente prima del dl 113/2018). La Cassazione motivò la propria svolta (prima era affermata la giurisdizione del giudice amministrativo: ord. Cass., Sez. unite, n. 7933 del 2008) osservando che il potere decisorio sul permesso umanitario era stato assegnato alle commissioni territoriali, organi tecnici, con conseguente eliminazione di ogni discrezionalità amministrativa nella decisione della commissione e in quella successiva del questore [9]: ciò, secondo la Cassazione, conduceva a ritenere che il richiedente il permesso umanitario invocasse un diritto soggettivo [10].
Con la di poco successiva ordinanza n. 19393 del 2009 delle Sezioni unite civili, la Cassazione precisò che questo diritto soggettivo ha la stessa natura del diritto di asilo, è un diritto umano fondamentale e trova copertura costituzionale nell’art. 2 Cost.: «La situazione giuridica dello straniero che richieda il rilascio di permesso per ragioni umanitarie ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali con la conseguenza che la garanzia apprestata dall’art. 2 Cost. esclude che dette situazioni possano essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidata solo l’accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato al legislatore». Questo orientamento è stato successivamente tenuto fermo, anche dal Consiglio di Stato: v., ad es., la sent. Cass. civile, sez. I, n. 4455/2018; l’ord. Cass., sez. unite civili, 28.2.2017, n. 5059; l’ord. Cass., sez. VI, n. 16362/2016; la sent. C. Stato, sez. III, 9.5.2013, n. 2524; la sent. C. Stato, sez. III, 5.9.2012, n. 4714; l’ord. Cass., sez. VI, n. 26481/2011; l’ord. Cass., sez. unite civili, 16.9.2010, n. 19577».
Dunque, la Pubblica amministrazione ha una funzione di accertamento del diritto al permesso di soggiorno umanitario; in mancanza, se ne può chiedere il riconoscimento al giudice ordinario.
Premesso ciò, occorre affrontare due quesiti:
a) il dl 113/2018 va inteso nel senso di escludere il rilascio del permesso umanitario a chi abbia già maturato il diritto prima del 5 ottobre 2018?;
b) se fosse così, sarebbe accettabile dal punto di vista costituzionale?
Naturalmente, la prima verifica da compiere attiene all’eventuale presenza, nel dl 113/2018, di norme transitorie. Esse ci sono e sono contenute nell’art. 1, commi 8 e 9: il comma 8 regola i casi di permesso umanitario già riconosciuto ai sensi del previgente art. 32, comma 3, d.lgs 25/2008 [11], mentre il comma 9 disciplina i casi in cui il permesso umanitario non sia stato rilasciato ma la Commissione territoriale abbia già «ritenuto sussistenti gravi motivi di carattere umanitario». In queste ultime ipotesi, il comma 9 prevede il rilascio di un permesso di soggiorno «recante la dicitura “casi speciali”» [12].
Il comma 9 significa che, se la commissione non ha già riconosciuto esistenti i presupposti del permesso umanitario, ne è precluso l’accertamento dopo il 5 ottobre 2018, a danno di chi avesse già maturato il diritto?
Prescindendo dall’intento soggettivo dei redattori del decreto-legge, occorre utilizzare i consueti criteri ermeneutici, letterale e logico-sistematico. La lettera del decreto-legge tace sul caso in cui la commissione non si è ancora pronunciata o si è pronunciata negativamente. Quanto all’intenzione oggettiva del decreto, mi pare che al primo quesito sopra posto si debba rispondere nel senso che il dl 113/2018 non intende escludere il rilascio del permesso umanitario a chi abbia già maturato il diritto prima del 5 ottobre 2018. Tale conclusione è sostenuta dall’interpretazione sistematica: a tal fine viene in rilievo, in primo luogo, il dovere di interpretazione “adeguatrice”, conforme a Costituzione. Infatti, qualora il dl 113/2018 impedisse di rilasciare il permesso umanitario a chi abbia già maturato il diritto, ci troveremmo di fronte a una norma estintiva in toto, in modo imprevedibile, di un diritto soggettivo, con conseguente violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e certezza del diritto e compromissione della tutela dell’affidamento (e così rispondo al secondo quesito) [13]. Dunque, a prescindere dal rango costituzionale del diritto al permesso umanitario (su ciò vds. il paragrafo 3), se il dl 113/2018 avesse questo significato, si potrebbe dubitare della sua conformità all’art. 3 Cost. (oltre che all’art. 117, primo comma, Cost., dato che il principio di certezza è anche un principio generale del diritto europeo e ci muoviamo in un ambito di applicazione del diritto europeo) [14]. In particolare, è da sottolineare che il dl 113/2018 non si limita a circoscrivere in qualche misura il permesso umanitario “generico” (ad esempio, nella durata) ma lo sopprime integralmente, lasciando in vita solo le ipotesi tipiche (vds. il paragrafo 1). Pare difficile, dunque, ritenere che rispetti il principio di proporzionalità e sia conforme all’art. 3 Cost. una norma estintiva di un diritto già sorto, anche considerando il tipo di affidamento sacrificato e l’importanza degli interessi che vengono in gioco.
Se ciò pare sostenibile a prescindere dalla “copertura” costituzionale del permesso umanitario, è da aggiungere che, qualora esso attui norme costituzionali (vds. paragrafo 3), l’abolizione retroattiva del permesso umanitario “generico” troverebbe un ulteriore ostacolo nel superare indenne il sindacato di ragionevolezza: se l’eliminazione del permesso umanitario “generico” lascia scoperti interessi costituzionali, viene meno la possibilità di giustificare la retroattività con una «causa normativa adeguata» (per usare le parole della Corte costituzionale) o con «motivi imperativi di interesse generale» (per usare le parole della Corte Edu) [15].
Inoltre, se l’art. 1, comma 9, fosse inteso nel senso di differenziare i migranti a seconda che la Commissione abbia già riconosciuto o meno le condizioni del permesso umanitario, si potrebbe ipotizzare anche una violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto si determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento fra soggetti ugualmente titolari del diritto, disparità che potrebbe dipendere dai ritardi o dalle errate valutazioni della Commissione.
L’interpretazione sistematica qui auspicata si regge, oltre che sull’influsso delle norme costituzionali, sul principio di irretroattività di cui all’art. 11 disp. prel. cc: premesso che l’applicazione di quel principio è circondata da svariate e complesse questioni [16], mi pare possibile ritenere che, nell’assenza di una norma transitoria sul punto, quel principio conduca ad escludere che l’atto legislativo voglia eliminare un diritto quesito. Qualora un soggetto sia giunto in Italia e «il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale» (per usare le parole della citata sent. Cass. n. 4455/2018), il diritto al permesso di soggiorno umanitario è entrato nel suo “patrimonio giuridico” e va riconosciuto, a meno che una legge non incida retroattivamente sui diritti quesiti, nei limiti costituzionali in cui ciò è possibile.
Inoltre, l’art. 11 delle preleggi concorre ad escludere l’applicazione retroattiva del dl 113/2018, perché essa priverebbe di effetto giuridico un fatto generatore passato. Il dl 113/2018, infatti, non si limita a disciplinare diversamente il diritto di soggiorno, modificando gli effetti giuridici del fatto generatore, ma esclude qualsiasi rilievo ai seri motivi umanitari, salve le ipotesi tipicamente previste; per questo motivo l’applicazione retroattiva priverebbe del tutto di effetti giuridici un evento passato.
3. Il dl 113/2018 e il futuro: rapporti tra permesso di soggiorno umanitario e diritto di asilo
Sia in dottrina che in giurisprudenza è stato riconosciuto rango costituzionale al diritto al permesso di soggiorno umanitario: esso è stato considerato, in primo luogo, manifestazione del diritto di asilo di cui all’art. 10, terzo comma, Cost. [17].
In effetti, le situazioni che impediscono – nel Paese di provenienza dello straniero − «l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana» non sono solo quelle che precludono l’esercizio dei diritti che più direttamente attengono alla democrazia (libertà di espressione, di associazione etc.) ma tutte quelle che incidono sui diritti fondamentali e sulle condizioni minime di una vita sicura e dignitosa. Come noto, infatti, i diritti alla vita, alla salute, all’istruzione etc. sono il presupposto per l’esercizio delle libertà (più strettamente) «democratiche». L’art. 10, terzo comma, Cost. va dunque letto in collegamento con l’art. 3, secondo comma, Cost. [18] e con l’art. 2, comma 1, del testo unico [19].
Poiché i presupposti della protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria) sono ben definiti (vds. il paragrafo 1), tutte le altre situazioni in cui lo straniero era privato, nel proprio Paese, di uno o più diritti fondamentali, non esistendo le condizioni minime di una vita sicura e dignitosa, trovavano tutela tramite il permesso umanitario.
In tale veste attuativa del diritto di asilo, il permesso umanitario si ricollegava in particolare alla seconda parte dell’art. 5, comma 6, T.U., cioè a quella che menzionava gli obblighi costituzionali («seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»). Il dl 113/2018, modificando l’art. 5, comma 6, T.U., ha eliminato interamente la previsione del permesso umanitario “generico”, compreso quello fondato sugli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato italiano.
Quali sono le conseguenze della modifica introdotta dal dl 113/2018? Mi pare che si possano ipotizzare due percorsi. Il primo parte dalla constatazione che l’art. 10, terzo comma, Cost. è considerato norma direttamente applicabile (e infatti è stato oggetto di applicazione diretta nei lunghi anni di inattuazione legislativa dell’art. 10, terzo comma, Cost.) [20] e perviene, in sostanza, a “sterilizzare” – almeno in parte − la modifica normativa, in quanto manterrebbe la possibilità di rilasciare il permesso umanitario là dove esso sia attuativo del diritto di asilo (cioè, nei casi di privazione dei diritti fondamentali nel Paese di provenienza). Secondo la Cassazione, «il diritto di asilo è […] interamente attuato e regolato, attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti di protezione, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 (adottato in attuazione della direttiva 2004/83/CE) e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sì che non si scorge alcun margine di residuale diretta applicazione della norma costituzionale» (Cass. civile, sez. VI, n. 10686/2012, confermata da Cass. civile, sez. VI, n. 16362/2016). Dunque, venuta meno una delle forme di attuazione del diritto di asilo, potrebbe “rivivere” la diretta applicabilità dell’art. 10, terzo comma, Cost.
Il secondo percorso parte da una diversa lettura del dl 113/2018, non nel senso della mancata previsione del permesso umanitario ma nel senso della preclusione di esso (cioè, come se disponesse che non è ammesso il rilascio del permesso umanitario al di fuori dei casi espressamente previsti). Qualora il dl 113/2018 escludesse il rilascio del permesso di soggiorno per motivi «risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano», la sua incostituzionalità parrebbe risultante per tabulas. Dunque, sarebbe ipotizzabile una questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. b) dl 113/2018, nella parte in cui ha eliminato la possibilità di riconoscere il permesso di soggiorno umanitario “generico”, per violazione (perlomeno) degli artt. 2 e 10, terzo comma, Cost. [21]. Infatti, la legge cui rinvia l’art. 10, terzo comma, Cost. ha il compito di precisare le condizioni del rilascio e i requisiti del richiedente, di regolare la procedura del riconoscimento e i casi di cessazione, forse ha la possibilità di fissare limiti numerici ma non può limitare il diritto di asilo a un gruppo di soggetti (gli aventi diritto allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria), escludendo tutti coloro che si trovano in altri modi privati dei diritti fondamentali nel Paese di provenienza.
Potrebbe venire in rilievo anche il parametro dell’art. 117, primo comma, Cost. in riferimento all’art. 8 Cedu, nei casi in cui lo straniero abbia stabilito determinati legami sociali e familiari in Italia [22]. Le fonti europee, invece, lasciano alla discrezionalità degli Stati la previsione dei permessi umanitari [23].
Più incerta mi sembra la valutazione del dl 113/2018, là dove abolisce il permesso di soggiorno umanitario non attuativo del diritto di asilo. Infatti, la formulazione del previgente art. 5, comma 6, T.U. [24] rivela che possono esserci casi di permesso umanitario non attuativi del diritto costituzionale di asilo. Essi possono essere comunque legati a una situazione di attuale pregiudizio dei diritti fondamentali (ma non nello Stato di provenienza) oppure semplicemente a considerazioni umanitarie (come è successo in relazione ai migranti provenienti dalla Libia) [25]. Alcuni degli speciali permessi fatti salvi dal dl 113/2018 rientrano in questa categoria. È venuta meno, però, la clausola “aperta” dell’art. 5, comma 6, T.U.
In conclusione, mi pare che, in relazione ai migranti che hanno maturato il diritto al permesso umanitario prima del 5 ottobre 2018, si possa immaginare il prevalere, nella giurisprudenza ordinaria, della soluzione della non retroattività del dl 113/2018; dunque, la Corte costituzionale potrebbe non essere investita – sotto questo profilo − della questione di legittimità costituzionale del dl 113/2018.
Invece, quanto ai migranti “futuri”, è ipotizzabile che la Corte costituzionale sia investita delle questioni di costituzionalità sopra delineate, apparendo difficile immaginare un compatto orientamento dei giudici ordinari nel senso della applicazione diretta dell’art. 10, terzo comma, Cost.
[*] Nel presente lavoro si fa riferimento al testo del dl 113/2018, prima della conversione. Gli emendamenti introdotti al Senato (testo del 7 novembre 2018) non mutano le conclusioni raggiunte nel presente lavoro.
[1] Sul permesso umanitario vds., da ultimo, la sent. Cass. Civile, sez. I, n. 4455/2018, e, in dottrina (anche per ulteriori citazioni), N. Zorzella,La protezione umanitaria nel sistema giuridico italiano, in Dir., Imm. e Cittadinanza, n. 1/2018, pp. 1 ss.; P.Morozzo Della Rocca, Protezione umanitaria una e trina, in Questione giustizia trimestrale, n. 2/2018;G. Conti, Il criterio dell’integrazione sociale quale parametro rilevante per il riconoscimento della protezione umanitaria, in www.federalismi.it, 29 ottobre 2018; C. Favilli, La protezione umanitaria per motivi di integrazione sociale. Prime riflessioni a margine della sentenza della Corte di cassazione n. 4455/2018, in questa Questione Giustizia, 14 marzo 2018; A. Villecco, La Cassazione sui permessi di soggiorno per “seri motivi” umanitari, in Famiglia e diritto, n. 6/2018, pp. 537 ss.; V. Marengoni, Il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in Dir., Imm. e Cittadinanza, n. 4/2012, pp. 59 ss.; M. Cosito, La tutela amministrativa del migrante involontario, Jovene, Napoli 2016, pp. 233 ss.
[2] Rifugiato è il «cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese» [art. 2, comma 1, lett. e) d.lgs 251/2007; l’art. 7 definisce gli «atti di persecuzione»]. Persona ammissibile alla protezione sussidiaria è il «cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, […], correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno» [art. 2, comma 1, lett. g) d.lgs 251/2007]; in base all’art. 14, «sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale». In relazione al permesso umanitario vds. l’art. 34 d.lgs 251/2007.
[3] Vds. sent. Cass. civile, sez. I, n. 4455/2018: «La protezione umanitaria, in conclusione, costituisce una forma di tutela a carattere residuale posta a chiusura del sistema complessivo che disciplina la protezione internazionale degli stranieri in Italia, come rende evidente l’interpretazione letterale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, (cd. decreto “procedure”), […] la protezione umanitaria è collocata in posizione di alternatività rispetto alle due misure tipiche di protezione internazionale, potendo l’autorità amministrativa e giurisdizionale procedere alla valutazione della ricorrenza dei presupposti della prima soltanto subordinatamente all’accertamento negativo della sussistenza dei presupposti delle seconde».
[4] L’art. 18, comma 1, parlava e parla di «speciale permesso di soggiorno», l’art. 18-bis, comma 1, e l’art. 22, comma 12-quater, rinviavano espressamente all’art. 5, comma 6, ma tali riferimenti sono stati abrogati dal dl 113/2018.
[5] L’art. 5, comma 6, vigente al 9 novembre 2018, dispone: «6. Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti» [vds. l’art. 1, comma 1, lett. b) dl 113/2018].
[6] Vds. l’art. 32, comma 3, d.lgs 25/2008, vigente al 9 novembre 2018: «3. Nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale e ricorrano i presupposti di cui all’articolo 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, la Commissione territoriale trasmette gli atti al questore per il rilascio di un permesso di soggiorno annuale che reca la dicitura “protezione speciale”, salvo che possa disporsi l’allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare una protezione analoga. Il permesso di soggiorno di cui al presente comma è rinnovabile, previo parere della Commissione territoriale, e consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro».
[7] Art. 19 T.U.: «1. In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione. 1.1. Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani».
[8] Il titolo III è rubricato Disposizioni di carattere umanitario e comprende gli artt. da 18 a 20-bis.
[9] Ord. 11535/2009: «Di qui l’attribuzione alla Commissione di tutte le competenze valutative della posizione del richiedente asilo, da quella diretta all’ottenimento della protezione maggiore (lo status di cui al capo 3^ del D.Lgs. n. 251 del 2007) a quella generante una protezione sussidiaria (capo 4^ del D.Lgs., citato) sino a quella, residuale e temporanea, di cui al più volte richiamato del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 con una organica previsione che fa venir meno ogni margine di apprezzamento politico delle condizioni del paese di provenienza (apprezzamento che non può competere ad un organo tecnico quale è la Commissione Territoriale) e lascia residuare al Questore nulla più che un compito di mera attuazione dei deliberati assunti sulla posizione dello straniero dalla Commissione stessa (restando al Questore rimessa la valutazione degli altri requisiti di legge che rendono “eventuale”, come recita il citato art. 32, comma 3 il rilascio del permesso umanitario)».
[10] «Attribuire alla Commissione Territoriale […] la valutazione della sussistenza del quadro di controindicazioni al rimpatrio formulato dalle convenzioni internazionali firmate dall’Italia e richiamare tale valutazione come premessa per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 5, comma 6 del cit. T.U. sull’immigrazione significa assegnare alla Commissione stessa l’accertamento delle condizioni del diritto alla protezione ed al contempo escludere alcun margine di discrezionalità in tale valutazione (posto che, come dianzi detto, la natura tecnica dell’organo collegiale esclude che ad esso competano valutazioni proprie dell’autorità di governo). Correlato a tale attribuzione è quindi l’effetto di escludere che al Questore competa − in sede di adozione dei provvedimenti sul soggiorno del richiedente − la discrezionalità valutativa il cui esercizio faceva a sua volta escludere (come affermato dalle S.U. in ord. n. 7933 del 2008) la sussistenza del diritto soggettivo e la conseguente giurisdizione del giudice ordinario sui dinieghi».
[11] «8. Fermo restando i casi di conversione, ai titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari già riconosciuto ai sensi dell’articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, in corso di validità alla data di entrata in vigore del presente decreto, è rilasciato, alla scadenza, un permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, come modificato dal presente decreto, previa valutazione della competente Commissione territoriale sulla sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
[12] «9. Nei procedimenti in corso, alla data di entrata in vigore del presente decreto, per i quali la Commissione territoriale non ha accolto la domanda di protezione internazionale e ha ritenuto sussistenti gravi motivi di carattere umanitario allo straniero è rilasciato un permesso di soggiorno recante la dicitura “casi speciali” ai sensi del presente comma, della durata di due anni, convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo o subordinato. Alla scadenza del permesso di soggiorno di cui al presente comma, si applicano le disposizioni di cui al comma 8»
[13] Sulla giurisprudenza costituzionale in tema di leggi retroattive vds., ad es., A. Giuliani, Retroattività e diritti quesiti nel diritto civile, in C. Padula (a cura di), Le leggi retroattive nei diversi rami dell’ordinamento, Napoli 2018, pp. 101 ss.
[14] Sul tema vds., ad es., S. Bastianon, La Corte di giustizia e le fonti retroattive, in C. Padula, op. cit., pp. 33 ss.
[15] Sul tema v., ad es., M. Bignami, La Corte Edu e le leggi retroattive, in C. Padula, op. cit., pp. 51 ss.
[16] Sulle leggi retroattive v., ex multis, anche per ulteriori citazioni, A. Pugiotto, Il principio d’irretroattività preso sul serio; L Antonini, Retroattività e diritto tributario;A. Calegari, Le leggi retroattive nel diritto amministrativo; D. De Pretis, Osservazioni conclusive, tutti in C. Padula, op. cit., rispettivamente pp. 11 ss., pp. 145 ss., pp. 205 ss., pp. 243 ss.; V. Pampanin, Legittimo affidamento e irretroattività della legge nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in www.giustamm.it, n. 11/2015.
[17] Vds., ad es., P. Bonetti, Art. 10, in F. Clementi-L. Cuocolo-F. Rosa-G.E. Vigevani (a cura di), La Costituzione italiana, Bologna 2018, pp. 77 ss.; M. Consito, op. cit., 223; V. Marengoni, op. cit., pp. 65 ss.; C. Favilli, op. cit., § 4: Cass. civile, sez. I, n. 4455/2018: «La protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione dell’asilo costituzionale (art. 10 Cost., comma 3), secondo il costante orientamento di questa Corte (Cass. 10686 del 2012; 16362 del 2016), unitamente al rifugio politico ed alla protezione sussidiaria, evidenziandosi anche in questa funzione il carattere aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo riconoscimento, coerentemente con la configurazione ampia del diritto d’asilo contenuto nella norma costituzionale, espressamente riferita all’impedimento nell’esercizio delle libertà democratiche, ovvero ad una formula dai contorni non agevolmente definiti e tutt’ora oggetto di ampio dibattito».
[18] «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
[19] «Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti».
[20] Vds. Cass., sez. unite, n. 4674/1997; in dottrina vds., ad es., P. Bonetti, op. cit., 75; A. Cossiri, Art. 10, in S. Bartole e R. Bin (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, Padova 2008, 86; N. Zorzella, op. cit., 2; V. Marengoni, op. cit., p. 65.
[21] Vds. N. Zorzella, op. cit., p. 9 e ss.: «L’art. 5, co. 6 TU immigrazione rappresenta, pertanto, non solo la salvaguardia, certamente opportuna, di un sistema rigido qual è il TU immigrazione, ma una salvaguardia necessitata dagli artt. 2, 3 e 10 della Costituzione (che impone che la legge sia conforme alle norme di diritto internazionale, che molti di quei diritti umani contempla, oltre che ai Trattati internazionali) e dalle altre disposizioni costituzionali e internazionali che proteggono diritti e libertà fondamentali universali e dunque norma imprescindibile e non abrogabile». Sul collegamento fra art. 2 Cost. e permesso umanitario v., ad es., ord. Cass. civile, sez. unite, n. 19393/2009.
[22] Vds. sent. Cass. civile, sez. I, n. 4455/2018; C. Favilli, op. cit., § 2 («il principio che si ricava dall’art. 8 Cedu è esattamente quello della valorizzazione dei legami familiari o sociali costruiti nel Paese membro (art. 8.1) comparati con quelli esistenti nel Paese d’origine»); N. Zorzella, op. cit., pp. 26 ss.
[23] Vds. l’art. 6, par. 4, direttiva “rimpatri” 2008/115/CE: «In qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare. In tali casi non è emessa la decisione di rimpatrio. Qualora sia già stata emessa, la decisione di rimpatrio è revocata o sospesa per il periodo di validità del titolo di soggiorno o di un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare». V. anche il Considerando 15 della direttiva 2011/95/UE: «La presente direttiva non si applica ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi cui è concesso di rimanere nel territorio di uno Stato membro non perché bisognosi di protezione internazionale, ma per motivi caritatevoli o umanitari riconosciuti su base discrezionale».
[24] Vds. la particella disgiuntiva «o»: «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano».
[25] Vds. N. Zorzella, op. cit., pp. 3 ss.
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L’articolo è pubblicato nella Rubrica “Diritti senza confini”, nata dalla collaborazione fra le Riviste Questione Giustizia e Diritto Immigrazione e Cittadinanza per rispondere all’esigenza di promuovere, con tempestività e in modo incisivo il dibattito giuridico sulle principali questioni inerenti al diritto degli stranieri. Vai alla Rubrica