Le precisazioni della Corte europea di giustizia sui controlli degli Stati di approdo alle NGO impegnate nel soccorso in mare

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salvataggio

La decisione del 1° agosto 2022 sancisce una serie di principi importantissimi destinati ad avere una ricaduta generale sulle attività di soccorso laddove pone limiti specifici al potere di controllo dello Stato di approdo finora utilizzato in modo molto arbitrario. 

Perché è importante

  • I provvedimenti sono stati lo strumento ricorrente con cui le autorità italiane hanno tentato di fatto di ostacolare le attività delle organizzazioni come SW attive per la salvaguardia della vita in mare nel Mediterraneo nell’ambito delle politiche di esternalizzazione delle frontiere.
  • A causa di tali provvedimenti infatti, adottati sempre a seguito di ispezioni sulla sicurezza delle navi e la regolarità dei certificati e realizzati dalle autorità in maniera sistematica al termine di attività di soccorso, l’operato delle organizzazioni è spesso rimasto bloccato. 
  • La direttiva europea n.2009/16 relativa al controllo da parte dello Stato di approdo deve essere applicata alle ONG, ma il potere di controllo che ne deriva lo Stato di approdo va esercitato in maniera proporzionale ai principi delle Convenzioni e quando vi sia una sistematica attività di soccorso secondo precisi chiari e rigidi criteri e limiti.

La vicenda

Il procedimento riguarda due provvedimenti di fermo amministrativo disposti nell’estate del 2020 dalle Capitaneria di Porto di Palermo e di Porto Empedocle.

Una delle organizzazioni attive nelle attività di tutela e monitoraggio del rispetto dei diritti umani nel Mar Mediterraneo centrale, la Sea Watch (SW), li impugnava successivamente dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (TAR) . 

Investito della decisione sulla legittimità dei provvedimenti di fermo, il TAR ha rinviato alla Corte di Giustizia l’interpretazione di quattro complesse questioni pregiudiziali riguardanti tutte la portata della normativa europea e in particolare della direttiva n.2009/16 relativa al controllo da parte dello Stato di approdo il suo rapporto con le Convenzioni internazionali sul diritto del mare e per la salvaguardia della vita in mare, i poteri dello Stato di approdo in relazione alle autorizzazioni e alle certificazioni rilasciate dallo Stato di Bandiera.  

La decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea

Pur rimettendo la causa al Giudice interno per decidere nel merito della legittimità dei provvedimenti, la Corte di Giustizia con la decisione del 1° agosto 2022 sancisce una serie di principi importantissimi destinati ad avere una ricaduta generale sulle attività di soccorso laddove pone limiti specifici al potere di controllo dello Stato di approdo finora utilizzato in modo molto arbitrario. 

La decisione della CGUE chiarisce che le navi delle ONG non hanno bisogno di alcuna autorizzazione da parte dello Stato di approdo neppure quando svolgono attività di search and rescue in maniera sistematica.  Ribadisce la preminenza del diritto internazionale del mare e della salvaguardia della vita in mare e l’obbligo degli Stati di non ostacolare le attività SAR. In questa prospettiva, la Corte ha anche ribadito che il numero di persone soccorse a bordo non conta ai fini della convenzione SOLAS e che lo stato di approdo non può richiedere alle imbarcazioni certificazioni diverse da quelle la cui validità è stata confermata dallo Stato di bandiera. 

In particolare la Corte ha stabilito che:

1. La direttiva si applica sicuramente alle navi delle ONG e gli Stati membri dell’UE non possono esentarle dalla sua applicazione.

2. E tuttavia la direttiva deve essere letta insieme ed interpretata alla luce dei principi del diritto internazionale, compreso il dovere di salvataggio (art. 98 UNCLOS). Ciò significa che:

  • le persone soccorse non devono essere prese in considerazione quando è necessario verificare l’applicazione alla nave di qualsiasi disposizione della convenzione SOLAS;
  • quando il capitano adempie all’obbligo di salvataggio, né lo Stato del porto né lo Stato di bandiera possono esercitare poteri di controllo per il fatto che la nave trasporta persone salvate.

3. La direttiva deve essere interpretata nel senso di conferire un potere di controllo allo Stato di approdo che tuttavia va esercitato in maniera proporzionale ai principi delle Convenzioni e quando vi sia una sistematica attività di soccorso secondo precisi chiari e rigidi criteri e limiti. Stabilisce infatti che: 

  • Per quanto riguarda il potere di ispezione esso non è giustificato nel suo esercizio dal solo fatto che la nave abbia a bordo un numero di persone superiore a quello consentito dalle certificazioni. Lo Stato di approdo può ispezionare le navi private umanitarie solo in presenza di chiari e dimostrati elementi fattuali e giuridici che dimostrano la sussistenza di un grave pericolo per la sicurezza della navigazione. Si ritiene venga dunque imposto un preciso obbligo di motivazione preventivo all’esercizio del potere di controllo e ispezione. 
  • Per quanto riguarda il potere di fermo deve essere interpretato non come sanzione automatica ma quale misura adottabile al solo scopo di impedire di salpare a una nave che si trova nell’ “impossibilità” di navigare in sicurezza. L’uso non sicuro di una nave per una situazione già consumata ed evidentemente eccezionale non è sufficiente per l’adozione di un provvedimento essendo necessario che il pericolo sia futuro o che sussistano carenze della nave idonee a rendere la stessa non sicura. Il provvedimento di fermo in ogni caso non può essere basato sulla mancanza di certificazioni diverse da quelle rilasciate dallo Stato di bandiera e deve rispettare il principio di proporzionalità.

4. La direttiva deve essere interpretata nel rispetto delle competenze dello Stato di bandiera da parte dello Stato di approdo e nel rispetto del principio di cooperazione tra gli Stati. In questo senso ribadisce la Corte che la richiesta da parte dello Stato di approdo che le navi sottoposte a un’ispezione siano munite di certificati diverse da quelli rilasciate dallo Stato di bandiera o che rispettino  requisiti applicabili alle navi di diversa classificazione, è contraria non solo alle norme di diritto internazionale in materia ma alla direttiva stessa perché mette illegittimamente in discussione il modo in cui lo Stato di bandiera esercita la propria competenza a concedere la nazionalità alle navi e a classificarle e a certificarle. 

La Sentenza del 1° agosto 2022 della Corte di Giustizia dell'Unione europea è stata ottenuta da un collegio difensivo composto da alcune socie Asgi ed in particolare dagli avvocati Lucia Gennari, Giulia Crescini e Cristina Laura Cecchini insieme ai marittimisti Andrea Mozzati ed Enrico Mordiglia. Tuttavia, come dichiarato dagli stessi avvocati, l’attività difensiva che ha portato a questo importante risultato è il frutto del lavoro fondamentale e dell’interesse del mondo accademico. In particolare della Professoressa Francesca De Vittor, della Dott.ssa Claudia Cinnirella, assegnista di ricerca in diritto dell’Unione Europea presso l’Università di Catania, Dipartimento di Giurisprudenza e del Prof. Ulrich Stege della Clinica legale dell’International University College di Torino.

Il Comunicato stampa della Corte di Giustizia UE

La sentenza del 1° agosto 2022 della Corte di Giustizia dell’Unione europea Sentenza della Corte nelle cause riunite C-14/21 e C-15/21| Sea Watch

Foto da Pixabay

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