Consiglio di Stato, sentenza del 23 giugno 2014, n. 3166

Il mancato perfezionamento del rapporto di lavoro per causa non imputabile al lavoratore straniero munito di regolare visto di ingresso per motivi di lavoro subordinato ( in particolare, per quanto viene in rilievo nel caso all’esame, per sopravvenuta inattività dell’impresa ), equivalendo alla cessazione del rapporto di cui al comma 11 dello stesso art. 22, deve comportare quanto meno il rilascio di permesso di soggiorno per attesa di occupazione, ai cui fini l’interessato dovrà allegare solamente l’iscrizione al centro per l’impiego, nonché la dimostrazione inerente la disponibilità di fonti lecite di sostentamento.
Rileva inoltre, nel caso di specie, la violazione dell’art. 5, comma 5, del D. Lgs. n. 286/1998, nella parte in cui, una volta che si consideri il mancato perfezionamento del rapporto di lavoro di cui alla autorizzazione originaria alla stregua di una mera “irregolarità” amministrativa sanabile, obbliga l’Amministrazione a tener conto dei “nuovi elementi”, consistenti, nel caso all’esame, nell’instaurazione di un rapporto di lavoro, se pure con un diverso datore; tanto più quando ne sia data prontamente notizia all’Amministrazione.

 

Fatto e diritto

1. – L’appello può essere deciso, sussistendone i presupposti, con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’articolo 74 del c.p.a.
2. – L’odierno appellante impugna la sentenza, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia ha respinto il ricorso da lui proposto avverso il provvedimento, con cui il Questore della Provincia di Udine ha rifiutato l’istanza di rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato.
Non si è costituita l’Amministrazione appellata.
Con Ordinanza n. 2907/2009, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 9 giugno 2009, è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.
La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 22 maggio 2014.
3. – L’appello è fondato.
Come risulta invero dagli atti, il diniego di rilascio del permesso di soggiorno è stato determinato, secondo quanto consta dalla motivazione dello stesso, dal fatto che il cittadino straniero, giunto in Italia in possesso di visto di ingresso ordinario rilasciato dalla rappresentanza diplomatica italiana in Albania per motivi di lavoro subordinato e della prodromica autorizzazione al lavoro rilasciata dalla Provincia di Udine, non ha provveduto a sottoscrivere il contratto di soggiorno con il datore di lavoro, né a perfezionare il rapporto di lavoro presso l’Ufficio di collocamento.
Orbene, rileva la Sezione che il permesso di soggiorno, che consegue al nulla osta al lavoro di cui all’art. 22, comma 2, del D. Lgs. n. 286/1998, è atto dovuto a séguito del perfezionamento della procedura con la firma da parte dello straniero del contratto di soggiorno ai sensi del successivo comma 6 ( firma, questa, indubbiamente intervenuta nel caso di specie in data 16 novembre 2007 ); senza che rilevi, ai fini della validità di detto contratto, l’accertamento postumo del fatto che la ditta era, come risulta dal provvedimento oggetto del giudizio, “cessata addirittura due mesi prima del rilascio della autorizzazione al lavoro”, che l’Amministrazione avrebbe dovuto rilevare nella sede appropriata degli accertamenti previsti dal citato art. 22 e che comunque al più avrebbe potuto portare ad un provvedimento di annullamento d’ufficio della autorizzazione stessa, nella fattispecie non intervenuto.
Ne consegue che il mancato perfezionamento del rapporto di lavoro per causa non imputabile al lavoratore straniero munito di regolare visto di ingresso per motivi di lavoro subordinato ( in particolare, per quanto viene in rilievo nel caso all’esame, per sopravvenuta inattività dell’impresa ), equivalendo alla cessazione del rapporto di cui al comma 11 dello stesso art. 22, deve comportare quanto meno il rilascio di permesso di soggiorno per attesa di occupazione, ai cui fini l’interessato dovrà allegare solamente l’iscrizione al centro per l’impiego, nonché la dimostrazione inerente la disponibilità di fonti lecite di sostentamento.
Rileva inoltre, nel caso di specie, la violazione dell’art. 5, comma 5, del D. Lgs. n. 286/1998, nella parte in cui, una volta che si consideri il mancato perfezionamento del rapporto di lavoro di cui alla autorizzazione originaria alla stregua di una mera “irregolarità” amministrativa sanabile, obbliga l’Amministrazione a tener conto dei “nuovi elementi”, consistenti, nel caso all’esame, nell’instaurazione di un rapporto di lavoro, se pure con un diverso datore; tanto più quando ne sia data prontamente notizia all’Amministrazione.
4. – All’accoglimento dell’appello consegue, in accoglimento del ricorso di primo grado, l’annullamento del rifiuto oggetto del giudizio.
Le spese del doppio grado, liquidate nella misura indicata in dispositivo, séguono, come di regola, la soccombenza.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.
Condanna l’Amministrazione appellata alla rifusione di spese ed onorarii del doppio grado in favore dell’appellante, liquidandoli in complessivi Euro 5.000,00=, oltre I.V.A. e C.P.A.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.