Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza del 23 novembre 2017, n. 5449

L’esistenza di una condanna, per quanto relativa ad un reato grave e tale da comportare allarme sociale, non è ritenuta dall’art. 5, comma 5, cit., di per sé sufficiente a giustificare il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, così esonerando dall’onere di ulteriore motivazione, qualora sussistano legami familiari ed una stabile permanenza in Italia.

Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza del 23 novembre 2017, n. 5449


 

N. 05449/2017REG.PROV.COLL.

N. 02206/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2206 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Rocco Condello, Francesco Mainetti, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Mainetti in Roma, piazza Mazzini, 27;

contro

Ministero dell’Interno, Questura -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA –-OMISSIS-, resa tra le parti, concernente diniego di rinnovo del permesso di soggiorno di cui al decreto della Questura di-OMISSIS-;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno e Questura -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2017 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato Rocco Condello e l’Avvocato dello Stato Alberto Giua;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. La controversia è originata dal diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, opposto dalla Questura di-OMISSIS- all’odierno appellante in ragione dell’esistenza di una condanna per il reato di detenzione e spaccio di un ingente quantitativo di marijuana (commesso a 19 anni), ritenuto ostativo ai sensi degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998 (affermandosi anche la mancanza di qualsiasi attività lavorativa e di integrazione sociale, la pessima condotta morale e la pericolosità dello straniero).

2. L’appellante ha impugnato il diniego dinanzi al TAR Lombardia, lamentando la mancata valutazione in concreto dei legami familiari, dell’inserimento sociale e lavorativo e la carenza di motivazione circa la pericolosità sociale.

3. Il TAR Lombardia, con la sentenza appellata (-OMISSIS-), ha respinto il ricorso, sottolineando che non ricorrono circostanze che potrebbero costituire i “sopraggiunti nuovi elementi” previsti dall’art. 5, comma 5, che non rileva lo svolgimento di attività lavorativa (non derivando la preclusione dalla carenza di tale requisito) e che risulta che l’Amministrazione abbia valutato i vincoli familiari.

4. Nell’appello, si prospetta che sia sostanzialmente mancata la valutazione comparativa richiesta dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, in quanto:

– la pericolosità sociale è stata affermata sulla base della mancanza di un lavoro, mentre invece l’appellante ha sempre lavorato, e in particolare, in data -OMISSIS-aveva documentato alla Questura il rapporto di lavoro esistente con la -OMISSIS-;

– risulta dalla documentazione che ha iniziato a lavorare nel dicembre del 2013, all’età di 19 anni; ha lavorato durante la permanenza in carcere in maniera ininterrotta dal novembre 2014 al gennaio 2016; ha ricominciato a lavorare nel marzo 2016 durante l’applicazione delle misure alternative alla detenzione; ha proseguito con altra ditta nel settembre 2016 e lavora tutt’oggi (cfr. documenti prodotti in primo grado fasc. odierno appellante da 16 a 21);

– la circostanza che per il periodo marzo 2016- settembre 2016 manchi la relativa contribuzione previdenziale nell’ estratto conto INPS prodotto dalla Questura in primo grado comporterà semmai accertamenti nei confronti del datore di lavoro;

– è stata sottovalutata la presenza in Italia di un nucleo familiare di supporto pienamente integrato, irreprensibile nella condotta, ossequioso delle regole sociali e comunitarie, economicamente stabile; infatti, l’appellante, arrivato in Italia nel 2003, a 10 anni, ha in Italia tutta la famiglia (genitori, con lavoro stabile, e sorella, universitaria), mentre in -OMISSIS-non ha più alcun legame.

5. Inoltre, si sottolinea che l’applicazione dei criteri stabiliti dalla CEDU avrebbe dovuto condurre a diverso esito, ricordando che (come affermato anche dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 552/2016) la Corte Europea (cfr. CEDU, GC, 23 giugno 2008, Maslov, punto 71; II, 15 novembre 2012, Shala, punto 45) ritiene che si debbano considerare (1) la natura e la gravità delle infrazioni commesse dal cittadino extracomunitario, (2) la durata del soggiorno, (3) il tempo trascorso dalle infrazioni e la condotta mantenuta nel frattempo, (4) la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con lo Stato ospitante e con quello di origine.).

6. L’Amministrazione si è costituita in giudizio con memoria di stile.

7. Con ordinanza n.-OMISSIS-, questa sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza, sottolineando la necessità di approfondire la adeguatezza della motivazione del diniego di rinnovo, e la possibilità per la Questura di adottare nelle more ulteriori motivati provvedimenti.

8. Gli unici atti adottati successivamente concernono la concessione, in data -OMISSIS-, della cittadinanza italiana ai genitori ed alla sorella dell’appellante.

9. Il Collegio ribadisce il principio (ribadito dalla Sezione anche con la citata ordinanza cautelare n.-OMISSIS-) secondo il quale la valutazione comparativa richiesta dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, qualora l’intero nucleo familiare dello straniero sia radicato in Italia e non vi sia alcun legame nel Paese d’origine, non può limitarsi a postulare la prevalenza delle esigenze di tutela della collettività, in ragione delle caratteristiche del reato commesso, ma deve anche formulare un giudizio prognostico ex ante circa la verosimile probabilità che la condotta illecita sia reiterata dallo stesso trasgressore con la conseguente diffusione di un ulteriore allarme sociale (cfr. Cons. Stato, III, n. 4492/2016).

Nel caso in esame, detto principio non è stato applicato (o, quanto meno, il provvedimento impugnato non contiene al riguardo un’adeguata motivazione).

Infatti, da un lato gli elementi di fatto esposti e documentati dall’appellante non sono stati confutati. Dall’altro, nessun elemento oggettivo, oltre alla condanna, è stato prospettato e tantomeno documentato a carico dell’appellante, e, soprattutto, è mancata la valutazione comparativa richiesta dalla norma.

Nel diniego impugnato, al riguardo, si legge (soltanto) “… la gravità del reato commesso fa prevalere l’esigenza di proteggere la collettività dalla presenza di soggetti socialmente pericolosi mettendo in secondo piano il principio della tutela del nucleo familiare.”.

Deve pertanto concludersi che il diniego, al di là delle formule stereotipe (nel caso in esame, come esposto, con tenore meramente assertivo), non evidenzia che gli elementi forniti dall’appellante circa il proprio cambiamento di vita, sulla base dello svolgimento continuativo di attività lavorativa a partire dal periodo trascorso in carcere (e, a quanto sembra, sino ad epoca recente – cfr. buste paga relative ai mesi di giugno e luglio 2017, versate in atti), siano stati specificamente considerati e ponderati.

Tuttavia, si ripete, l’esistenza di una condanna, per quanto relativa ad un reato grave e tale da comportare allarme sociale, non è ritenuta dall’art. 5, comma 5, cit., di per sè sufficiente a giustificare il diniego, così esonerando dall’onere di ulteriore motivazione, qualora sussistano legami familiari ed una stabile permanenza in Italia.

10. L’appello deve pertanto essere accolto, con riforma della sentenza appellata ed annullamento del diniego impugnato in primo grado.

La Questura di -OMISSIS- è conseguentemente tenuta a rivalutare la posizione dell’appellante e ad adottare riguardo all’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno un nuovo motivato provvedimento.

11. Considerata la natura e l’esito della controversia, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso proposto in primo grado ed annulla il provvedimento con esso impugnato.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Umberto Realfonzo, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore

Giorgio Calderoni, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Pierfrancesco Ungari Marco Lipari

IL SEGRETARIO

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.