Comune di Verona: assegno di maternità comunale alle donne straniere anche non lungosoggiornanti

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A seguito delle azioni giudiziarie antidiscriminazione promosse dai legali della sezione veneta dell’ASGI, il Comune di Verona, con determinazione dirigenziale n. 918 dd. 25 febbraio scorso, ha esteso anche alle cittadine straniere di Paesi terzi non membri dell’Unione europea in possesso di permesso di soggiorno ordinario e non lungosoggiornanti, l’accesso alla prestazione sociale familiare denominata ‘assegno di maternità di base comunale’. L’assegno di maternità di base comunale Tale prestazione è prevista dall’art. art. 74 del D.lgs. n. 151/2001 e successive modificazioni (Testo Unico delle disposizioni normative a tutela e sostegno della maternità e paternità). Si tratta di un assegno che la madre non lavoratrice può chiedere al proprio Comune di residenza per la nascita del figlio oppure per l’adozione o l’affidamento preadottivo di un minore di età non superiore ai 6 anni (o ai 18 anni in caso di adozioni o affidamenti internazionali). La madre lavoratrice può chiedere l’assegno se non ha diritto all’indennità di maternità dell’Inps oppure alla retribuzione per il periodo di maternità. Se l’importo dell’indennità o della retribuzione è inferiore all’importo dell’assegno, la madre lavoratrice può chiedere al Comune l’assegno in misura ridotta. L’ assegno è di un importo complessivo pari ad euro 1.545,55 in caso di madre non lavoratrice. In caso di madre lavoratrice, l’assegno viene pagato per intero se durante il periodo di maternità non spetta l’indennità di maternità dell’Inps oppure la retribuzione; se l’indennità di maternità dell’Inps oppure la retribuzione sono di importo superiore rispetto all’importo dell’assegno, l’assegno viene pagato per la differenza (c.d. quota differenziale). L’assegno spetta per ogni figlio; quindi, in caso di parto gemellare oppure di adozione o affidamento di più minori, l’importo è moltiplicato per il numero dei nati o adottati/affidati. La domanda deve essere presentata al proprio Comune di residenza necessariamente entro sei mesi dalla nascita del figlio o dall’ingresso in famiglia del minore adottato/affidato. L’assegno è pagato dall’Inps dopo che il Comune ha trasmesso tutti i dati della madre necessari per il pagamento. Il contesto normativo La normativa di cui all’art. 74 del D.lgs. n. 151/2001 prevede per le cittadine di Stati terzi non membri dell’Unione europea il requisito del permesso di soggiorno UE per lungosoggiornanti di cui all’art. 9 del T.U. immigrazione. L’esclusione dalla prestazione della cittadine extracomunitarie regolarmente soggiornanti in Italia ma in possesso del permesso di soggiorno ordinario e non di quello per lungosoggiornanti deve, tuttavia, ritenersi illegittima per effetto innanzitutto della sopravvenuta entrata in vigore della direttiva europea n. 2011/98, che prevede un principio di parità di trattamento nella materia della ‘sicurezza sociale’ a favore dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti in un Paese membro per motivi di lavoro (art. 12 ). La nozione di ‘sicurezza sociale’ contenuta nella direttiva 2011/98 non deve essere intesa nell’accezione propria del diritto interno e quindi limitata alle prestazioni nell’ambito pensionistico aventi carattere contributivo, bensì in quella propria del diritto dell’Unione europea sulla base della lettura combinata degli artt. 3 comma 3 e art. 70 del Regolamento n. 883/2004. Sulla base di tale previsioni, debbono essere considerate quali prestazioni di ‘sicurezza sociale’ non solo quelle prettamente pensionistiche, ma anche quelle c.d. ‘miste’, ovvero aventi carattere assistenziale da un lato in quanto non sorrette da meccanismi contributivi e finanziate dalla fiscalità generale, ma che dall’altro costituiscono diritti soggettivi, in quanto criteri e condizioni per l’accesso sono regolati dalla normativa interna senza margini di discrezionalità lasciati alle P.A. Pertanto, sulla base di quanto previsto dalla direttiva 2011/98, deve essere garantita la piena parità di trattamento tra cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti titolari del permesso di soggiorno unico per lavoro e cittadini nazionali con riferimento perlomeno a quelle prestazioni elencate nell’allegato X (già allegato II-bis) al Regolamento 883/2004, introdotto con Regolamento (CE) n. 988/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009, (tra cui l’assegno sociale) così come alle “prestazioni familiari” ovvero quelle “prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari” (art. 3 c. 1 lett. j) e art. 1 lett. z) Reg. CE n. 883/2004), inclusi gli assegni speciali di nascita o di adozione, in quanto l’Italia non ha menzionato alcuno di essi nell’apposito allegato I al Regolamento. Pertanto, per ottemperare agli obblighi derivanti dalla direttiva 2011/98, il decreto legislativo di recepimento della direttiva (D.Lgs. n. 40/2014) avrebbe dovuto adeguare tutta una serie di preesistenti normative di settore nell’ambito del welfare che contenevano clausole di esclusione dei lavoratori di Paesi terzi da determinate prestazioni di assistenza sociale ( si pensi oltre all’assegno di maternità comunale, anche all’assegno sociale, all’assegno INPS nuclei familiari numerosi, alla carta acquisti ), ma purtroppo così non è avvenuto nonostante il parere in questa direzione che era stato emanato dalla Commissione XIV- Politiche dell’UE della Camera dei Deputati. A tale proposito, si ricorda,  tuttavia, il principio della diretta applicabilità delle norme del diritto UE negli ordinamenti interni degli Stati membri, così come il principio del primato delle norme comunitarie (ora del ‘diritto dell’Unione europea’) su quelle interne con l’obbligo per la Pubblica Amministrazione e per i giudici di interpretare le seconde in conformità alle prime ovvero, in caso di loro incompatibilità, a disapplicare le norme interne a favore di quelle del diritto dell’Unione. A ciò si aggiunge come a più riprese la Corte Costituzionale abbia ribadito l’illegittimità costituzionale di una disparità di trattamento fondata sulla nazionalità, e dunque tra cittadino e straniero, nell’accesso a prestazioni sociali (da ultimo con la sentenza n. 222/2013 ed in precedenza con le sentenze n. 40/2011, 187/2010). Infine, la stessa Corte europea dei diritti dell’Uomo, con la recente sentenza 8 aprile 2014, Dhahbi c. Italia (causa n. 17120/09), ha riconosciuto come l’esclusione di una categoria di persone da una prestazione sociale familiare in ragione unicamente della loro condizione di stranieri sia incompatibile con il principio di non discriminazione di cui all’art. 14 della Convenzione europea. A tale riguardo, la Corte di Strasburgo ricorda che una disparità di trattamento tra persone in situazioni comparabili è discriminatoria e dunque illegittima a meno che riposi su una giustificazione obiettiva e ragionevole, vale a dire se tale disparità non persegue uno scopo legittimo e non vi sia un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e l’obiettivo indicato. Ricordando la sua giurisprudenza ormai consolidata, la Corte di Strasburgo ha indicato che solo considerazioni molto forti possono giustificare delle disparità di trattamento fondate esclusivamente sulla nazionalità (cittadinanza) e dunque sulla mera condizione giuridica di straniero, nell’ambito della sicurezza sociale,  e a tali considerazioni non possono essere assimilate gli interessi di bilancio e di contenimento della spesa pubblica da parte degli Stati (Gaygusuz c. Austria, 16 settembre 1996, Koua Poirrez c. Francia, n. 40892/98). Le ragioni di bilancio e di contenimento della spesa infatti, pur costituendo uno scopo legittimo, non rispondono ai principi di proporzionalità nel momento in cui trovino applicazione per escludere da prestazioni sociali di sostegno al reddito familiare immigrati stranieri che abbiano un sufficiente legame con lo Stato ospitante , in quanto vi soggiornino non in maniera irregolare o per ragioni di breve durata, bensì con regolare permesso di soggiorno e di lavoro, senza dunque che vi sia necessità di un livello di consolidamento del soggiorno tale da richiedere un permesso di soggiorno permanente quale quello previsto dalla normativa dell’Unione sui lungosoggiornanti (direttiva 109/2003). L’ azione legale dell’ ASGI a Verona Sulla base di queste ragioni, gli avvocati dell’ASGI di Verona hanno depositato alcuni ricorsi anti-discriminazione dinanzi al Tribunale di Verona, sezione lavoro, a favore di donne straniere che si erano viste negare l’accesso all’assegno di maternità comunale sulla base del mancato possesso del permesso UE per lungo soggiornanti. Nelle more del procedimento, l’Avvocatura Civica del Comune di Verona ha riconosciuto il contrasto e l’incompatibilità della normativa di cui al D.Lgs. n. 151/2001 con le fonti di diritto UE, nonchè la con giurisprudenza costituzionale interpretativa dell’art. 3 Cost. e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Pertanto, il Comune di Verona ha agito in autotutela revocando l’iniziale diniego e riconoscendo alle ricorrenti l’accesso al beneficio sociale, ma anche modificando in via generale i criteri di accesso al beneficio, riconoscendolo anche alle cittadine immigrate titolari di permesso di soggiorno ordinario in possesso degli altri requisiti soggettivi e reddittuali. A seguito dei provvedimenti in autotutela del Comune, il giudice del lavoro del Tribunale di Verona, con ordinanze emanate lo scorso 13 maggio 2014,  ha dichiarato il comportamento discriminatorio di INPS e Comune di Verona nell’aver inizialmente negato alle ricorrenti  il beneficio sociale dell’assegno di maternità comunale, ha dichiarato cessata la materia del contendere con riferimento alla domanda di condanna all’erogazione della prestazione e ha condannato INPS e Comune di Verona al pagamento delle spese legali in virtù del principio della soccombenza virtuale. L’ASGI esprime apprezzamento per la decisione del Comune di Verona e confida che altre amministrazioni comunali adotteranno lo stesso comportamento in linea con il pieno rispetto degli obblighi alla parità di trattamento e alla non discriminazione imposti dalle fonti del diritto UE, dal diritto costituzionale e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Documenti utili   [ul] [li icon=”tag”]La determinazione dirigenziale del Comune di Verona n. 918 del 25/02/2014[/li] [li icon=”tag”]Tribunale di Verona, sez. lavoro, sentenza del 13 maggio 2014(1)[/li] [li icon=”tag”]Tribunale di Verona, sez. lavoro, sentenza dd. 13 maggio 2014 (2) [/li] [li icon=”tag”]Assegno di maternità – Comune di Verona. Nuovo foglio informativo[/li] [/ul]

Si ringraziano per la segnalazione gli Avv. Enrico Varali e Beatrice Rigotti del foro di Verona. A cura di Walter Citti – Servizio antidiscriminazioni dell’ASGI. Progetto con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.

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1 commento su “Comune di Verona: assegno di maternità comunale alle donne straniere anche non lungosoggiornanti”

  1. Buongiorno
    Sono un volontario di un’associazione Caritas di Belluno che assiste persone in difficoltà economiche, tra cui molti stranieri, che si occupa di accesso ai diritti assistenziali.
    In relazione all’articolo sul l’assegno di maternità è permesso di soggiorno l.p. Mi domandavo se una semplice informazione al Comune di riferimento bastasse a modificare le procedure escludenti a tutt’oggi attuate, o se si debba procedere in modo differente magari segnalando la problematica ad altre autorità.
    Vi segnalo che in un mio approccio informale con l’amministrazione comunale di Belluno, corredato dalla documentazione da voi pubblicata, vi è stato un netto rifiuto alle modifiche procedurali è un comportamento discriminatorio di accesso al diritto dell’assegno comunale di maternità non correlato con permesso di soggiorno di l.p..
    In attesa di risposta.
    Saluti Renato Vignato

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