L’8 agosto 2017 il Governo ha sottoposto alla Corte Costituzionale la questione di legittimità della legge regionale ligure relativa all’accesso all’edilizia residenziale pubblica. L’illegittimità della norma starebbe nella richiesta, per i soli cittadini stranieri, del requisito della residenza decennale sul territorio nazionale ai fini dell’accesso a tali prestazioni.
L’articolo 5, comma 1, lettera a) della Legge regionale ligure 10/2004, che prevedeva, ai fini dell’accesso all’edilizia pubblica, la titolarità del permesso di soggiorno lungo periodo, è stato recentemente modificato dall’art. 4, comma 1 della Legge regionale 6 giugno 2017 n. 13 ove si introduce la condizione che i cittadini stranieri risiedano da dieci anni sul territorio nazionale.
Nel ricorso viene giustamente sottolineato come l’art. 11 della direttiva 2003/109, relativa allo status dei cittadini dei paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, preveda la parità di trattamento tra questi e i cittadini dello Stato ospitante in una serie di materie tra le quali è prevista, alla lettera f), “la procedura per l’ottenimento dell’alloggio”.
La disciplina comunitaria è stata recepita con il decreto legislativo n. 3 del 2007 che ha sostituito l’articolo 9 del T.U sull’immigrazione. Infatti, coerentemente a quanto previsto dalla direttiva, al comma 12 di detto articolo si legge che il titolare del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo può usufruire, tra le altre prestazioni sociali, anche della procedura per l’ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Nonostante la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza 164/2014 relativa all’accesso all’edilizia residenziale pubblica nella regione Valle d’Aosta, abbia ammesso che la previsione di un radicamento sul territorio potrebbe trovare ragionevole giustificazione nell’evitare che gli alloggi vengano assegnati a persone che, non avendo ancora un legame abbastanza stabile, potrebbero poi rinunciarvi rendendoli inutilizzabili per altri aventi diritto, nel caso di specie l’estensione a dieci anni di residenza è apparsa al Governo, palesemente sproporzionata allo scopo nonché incoerente alle finalità stesse dell’edilizia residenziale pubblica.
Per quanto dunque alle regioni sia consentita la subordinazione alla sussistenza di un minimo di residenza sul territorio tale condizione non può arrivare al punto di vanificare la portata del principio di parità sancito dalla direttiva comunitaria.
Nel caso di specie poi l’irragionevolezza della disciplina regionale appare particolarmente evidente se si considera che la norma fa, incongruamente, riferimento alla residenza decennale sul territorio nazionale non risultando in alcun modo coerente allo scopo di garantire la sussistenza di un idoneo radicamento tra il richiedente e il territorio regionale.
Pertanto, il Governo ha sostenuto nel ricorso che, la nuova disciplina regionale, ponendosi in contrasto con gli articoli 4 e 11 della direttiva 2003/109, comporta la violazione dell’art. 117 comma 1 della Costituzione nella parte in cui obbliga il legislatore regionale a legiferare in conformità al diritto dell’Unione europea.