“NO STRANIERI, NO ANIMALI”: la impossibile ricerca di una casa in affitto per una cittadina straniera

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La proprietà, per sue motivazioni personali, vuole inquilini italiani e no animali. Dovesse avere le caratteristiche sopraelencate e volesse visionare l’appartamento ci risponda alla presente”.

Questa la comunicazione inviata da una nota agenzia immobiliare della periferia milanese a una cittadina nigeriana, in Italia da cinque anni, dipendente da anni di una Residenza Assistenziale per anziani, già “eroina” dell’assistenza nei tempi della pandemia.

Asgi interviene con una lettera all’agenzia.

Il messaggio dell’Agenzia immobiliare è l’ennesima spia di un comportamento molto diffuso: la “libertà contrattuale”  del privato nella scelta del contraente nasconde sempre più spesso preconcetti e discriminazioni che si manifestano soprattutto nell’accesso alla casa, un ambito che la cultura corrente ritiene di poter sottrarre alla verifica sulla correttezza dei criteri di scelta applicati (“a casa mia ci metto chi voglio”).

Il resto lo fa un sistema abitativo con una cronica carenza di alloggi pubblici e con un mercato delle locazioni che – specie al nord – mantiene gli affitti a livelli troppo elevati rispetto alle retribuzioni medie: discriminazioni e difficoltà del mercato convergono quindi a far sì che, soprattutto per i cittadini stranieri, reperire una casa decente è sempre piu difficile, con le gravissime conseguenze che ne derivano in termini di inserimento sociale, vita dignitosa, tutela dell’unità familiare (spesso la ricerca della casa è infatti il presupposto per la richiesta di ricongiungimento con i familiari).

Certo la questione del rapporto tra divieti di discriminazione e libertà contrattuale è complessa: tra i giuristi l’opinione prevalente è che nei rapporti contrattuali tra privati il divieto di discriminazione trovi applicazione allorchè si formuli una offerta al pubblico (ed è questo il caso di chi, in proprio o tramite agenzia, comunichi alla generalità dei possibili contraenti “affitto una casa”).

Indipendentemente dalle varie opinioni su questo punto,  ciò che con certezza può dirsi è che chi esercita una attività commerciale non può farsi  latore di messaggi discriminatori: lo vieta in primo luogo l’art. 43, comma 2, lett. c) che qualifica come discriminazione “il rifiuto di fornire l’alloggio allo straniero, soltanto in ragione della sua condizione di straniero” senza distinguere se il rifiuto viene opposto “in proprio” o a causa della decisione di un terzo (il proprietario). Ma lo vieta soprattutto la lettera b) dello stesso comma che vieta di impedire allo straniero, in quanto tale,  l’accesso a un servizio offerto al pubblico: e l’agenzia, operando come nel caso in questione,  esclude lo straniero dalla possibilità di accedere alla intermediazione immobiliare da lei offerta al pubblico, anche se solo per uno specifico alloggio (ma è da presumere che, se questo è il comportamento dell’agenzia, altri messaggi del genere possano esser stati inviati anche per altri alloggi).

ASGI è quindi intervenuta con la lettera qui allegata, inviata anche a UNAR e alla Camera di Commercio, incaricata per legge sulla sorveglianza dell’attività degli agenti immobiliari.

A cura del servizio antidiscriminazione


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