Stop a mediatori culturali “solo italiani”: il Tribunale di Milano ordina al Ministero della Giustizia riapertura del bando

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Per il Tribunale di Milano, la riserva ai soli cittadini italiani di un bando per l’assunzione di mediatori culturali destinati al sistema carcerario, è illegittima per contrasto con l’art. 38 Dlgs 165/01 interpretato alla luce della giurisprudenza della CGUE.

La questione affrontata dal Tribunale di Milano – su ricorso di ASGI, APN e di una cittadina spagnola – nasce dal fatto che l’art. 38 del TU Pubblico Impiego (d.lgs 165/01) aveva demandato a un DPCM l’individuazione dei “posti di lavoro e funzioni” riservati ai soli cittadini italiani e dunque sottratti all’accesso sia dei cittadini dell’Unione, sia di quelle categorie di cittadini extra UE che, con le modifiche introdotte dalla L. 97/13, sono stati ammessi al pubblico impiego a parità di condizioni con i cittadini UE (si tratta dei lungosoggiornanti, dei titolari di protezione internazionale, dei familiari di cittadini UE).

Secondo il predetto art. 38 i posti riservati agli italiani avrebbero dovuto essere quei “posti di lavoro e funzioni” che comportano l’esercizio diretto o indiretto di pubbliche funzioni o che attengono alla tutela dell’interesse nazionale.

In realtà, il previsto DPCM non è mai stato emesso e si è continuato così a fare riferimento a un DPCM emanato molti anni prima (n. 174/94) in forza della precedente disposizione di legge costituita all’epoca dal D.lgs 92/98. Tale DPCM da un lato individuava (e tuttora individua) le mansioni che comportano l’esercizio diretto o indiretto di pubbliche funzioni, ma dall’altro prevedeva l’esclusione di tutto il personale di interi Ministeri (Giustizia, Interno, Difesa, Finanze), senza alcuna valutazione specifica dei singoli posti e funzioni, escludendo dalla riserva di cittadinanza  i soli posti di lavoro per i quali è richiesto il solo titolo di studio della scuola dell’obbligo (attualmente quindi le sole prime due fasce): tutti gli altri sarebbero quindi riservati agli italiani, senza alcuna valutazione specifica circa l’effettivo esercizio di pubblici poteri.

Da quando quel DPCM è stato emanato, tuttavia, molta acqua è passata sotto i ponti e la CGUE, chiamata ripetutamente a pronunciarsi sulla interpretazione dell’art. 45, par. 4, TFUE (che appunto esclude i posti di lavoro alle dipendenze della PA dal diritto alla libera circolazione dei lavoratori) ha ripetutamente affermato che la “riserva di cittadinanza”  può che essere apposta in relazione a posti di lavoro specifici ove l’esercizio di pubbliche funzioni rappresenti una parte determinante delle mansioni assegnate (si vedano le pronunce citate nell’ordinanza).

Non è questo ovviamente il caso dei mediatori culturali che, pur destinati a collaborare con l’amministrazione della giustizia, non esercitano sicuramente funzioni giudiziarie né alcun tipo di pubblico potere: una volta quindi rimossa la tesi, propria solo dell’ordinamento italiano, secondo la quale si potrebbero escludere intere amministrazioni (appunto un intero Ministero) sulla base di una sorta di intrinseca “natura” della amministrazione stessa, ne deriva immediatamente l’erroneità (e quindi il carattere discriminatorio) del bando in questione.

Se dunque il bando deve essere aperto ai cittadini dell’Unione in ottemperanza all’art. 45 TFUE, lo deve essere anche per le altre categorie di cittadini extra UE previste dal citato art. 38, che erano rappresentate nel giudizio dalle Associazioni legittimate ASGI e APN (delle quali il Tribunale ha riconosciuto la legittimazione attiva per il contrasto alle discriminazioni per nazionalità).

Il bando dovrà ora essere rifatto, in ottemperanza all’ordine del giudice. Certo una complicazione, ma inevitabile per affermare un principio di uguaglianza che il Tribunale ha riconosciuto e che riveste particolare importanza ai fini di una politica di inclusione: ridurre le barriere di accesso degli stranieri al pubblico impiego significa entrare nell’ottica che la cura dell’interesse pubblico non è appannaggio del solo “cittadino” e che anche di chi mantiene un legame giuridico con il paese di origine, può porsi al servizio esclusivo della nazione (come recita l’art. 98 Cost.) nella quale risiede.

Non resta ora che sperare che, anche a prescindere dalla vicenda, il governo voglia mettere mano al DPCN del 174/1994 che, come insegna anche la nota vicenda dei direttori dei musei, è formulato sulla base di criteri che non reggono al confronto con la giurisprudenza CGUE.

L’ordinanza


 

Foto da Flickr – (CC BY 2.0)

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