Tribunale di Ivrea: Assegno INPS famiglie numerose anche agli stranieri non lungosoggiornanti

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Il Tribunale di Ivrea ha dichiarato discriminatorio il comportamento del Comune di Castellamonte che aveva negato l’assegno per famiglie numerose ex art. 65 L. 488/98 a uno straniero regolarmente soggiornante, ma privo di permesso di soggiorno di lungo periodo.

Ha conseguentemente condannato il Comune a riconoscere l’assegno e l’INPS a erogarlo.
L’ordinanza apporta un ulteriore e innovativo tassello alla sempre più complicata vicenda dell’assegno famiglie numerose: sinora, come noto, la giurisprudenza aveva esaminato la questione quasi esclusivamente sotto il profilo del diritto dei lungosggiornanti protetti dalla clausola di parità di cui all’art. 11 direttiva 2003/109 e solo la Corte d’appello di Milano si era pronunciata (ma con motivazione meno chiara) sul diritto di un non-lungosoggiornante, anche in quel caso riconoscendo l’assegno (la sentenza è stata recentemente confermata in Cassazione con sentenza 15220/14: si veda sotto).
Secondo il Giudice di Ivrea l’assegno va collocato tra le prestazioni essenziali “destinate al sostentamento della persona e alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare….”.
Una volta operata tale collocazione è agevole per il Giudice fare applicazione dei medesimi principi elaborati dalla Corte Costituzionale e dalla Cassazione in tema di prestazioni di invalidità, riconoscendo cioè la illegittimità del collegamento con un titolo di soggiorno che (come accade appunto per il permesso di lungo periodo) vincola la prestazione ad un requisito di reddito e a un requisito di durata della residenza ben superiore a quella permanenza “non episodica e di non breve durata” cui fa riferimento la Corte Costituzionale).
Il punto centrale della questione – come ricostruita dal Giudice di Ivrea – si rivela dunque da un lato quello dei criteri di individuazione di una residenza “non episodica”, dall’altro quello della essenzialità della prestazione. Sul primo punto il Giudice correttamente richiama il criterio utilizzato dalla sentenza della Corte EDU Dhahbi (vedi il commento sotto) laddove la Corte rileva che il richiedente (anche in quel caso privo di permesso di soggiorno di lunga durata) “non è uno straniero soggiornante sul territorio dello Stato per un breve periodo, o in violazione delle leggi in materia di immigrazione: non appartiene pertanto alla categoria delle persone che non contribuiscono al finanziamento dei servizi pubblici”: un passaggio delicato laddove sembra alludere ad una sorta di corrispettività tra prestazione sociale e partecipazione alle finanze pubbliche, ma un passaggio certamente incompatibile con la limitazione del beneficio ai soli lungosoggiornanti.
Sul secondo punto la decisione rivela ancora una volta quanto, in assenza di indicazioni legislative circa il livello essenziale delle prestazioni, sia difficile la qualificazione di una sovvenzione in un senso o nell’altro. In proposito va rilevato che la citata sentenza di Cassazione n. 15220/14 (vedi sotto) in un passaggio peraltro per nulla argomentato (e non rilevante ai fini della decisione ivi assunta), sembra voler dar credito alla tesi dell’INPS secondo la quale il carattere non-essenziale dell’assegno famiglie numerose andrebbe desunto dal fatto che detta prestazione si cumula con quella dell’assegno “ordinario” per nucleo familiare ex L. 153/88. Ma l’osservazione appare davvero frutto di una svista: basti considerare che l’assegno ordinario ha natura previdenziale, è finanziato da una Cassa nella quale confluiscono solo i contributi pagati dai datori di lavoro sulle retribuzioni corrisposte, è erogato solo a condizione che il beneficiario sia occupato, o pensionato o fruisca della indennità di disoccupazione (oggi ASPI). Per contro l’assegno famiglie numerose ha natura strettamente assistenziale, è finanziato dalla fiscalità generale, spetta a chi abbia un reddito inferiore al limite, indipendentemente dalla sua condizione di lavoratore, pensionato o disoccupato. Si tratta dunque di prestazioni disomogenee volte a intervenire su situazioni diverse, onde il carattere essenziale o meno dell’una non può argomentarsi dalla esistenza dell’altra.
Ricollocata dunque la disciplina all’interno del sistema che si è via via stratificato a seguito dei vari interventi giurisprudenziali, il Tribunale di Ivrea è giunto a riconoscere il diritto sia in forza di una applicazione diretta dell’art. 14 CEDU e 21 Carta di Nizza (ed è questo sicuramente il punto più delicato, sul quale peraltro si era basata anche la citata pronuncia della Corte d’Appello di Milano), sia in forza di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 65 L. 488/98: senza necessità, dunque, di un rinvio alla Corte Costituzionale.
Da rilevare infine che la ordinanza riguarda il diritto all’assegno per il 2012 sicchè il giudice non ha potuto considerare gli effetti della clausola paritaria di cui alla direttiva 2011/98 (il cui termine di recepimento è scaduto il 25.12.2013) che potrebbe invece ricondurre a unità e razionalità l’intera disciplina.

Tribunale di Ivrea, sez. lavoro, ordinanza 24 luglio 2014

Si ringraziano per la segnalazione gli avv. Alessandro Maiorca e Massimo Pastore, del foro di Torino.

A cura del  Servizio Antidiscriminazioni dell’ASGI. Progetto con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.

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