Corte costituzionale, sentenza n. 63/2022 del 10.3.2022: è incostituzionale l’art. 12 c. 3 lett. d) d. lgs. 286/1998 che prevede l’aggravante del reato di favoreggiamento delle migrazioni illegali limitatamente alla previsione di avere commesso il fatto “utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti”
Il contesto giuridico
Per ben comprendere la limitata ma rilevante portata della sentenza in esame occorre ricordare che l’art. 12 T.U.I. – rubricato “Disposizioni contro le immigrazioni clandestine” – al comma 1 sanziona con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona favorita la condotta di chi, in violazione delle norme del T.U.I., promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato, ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso (c.d. favoreggiamento dell’immigrazione illegale). Analogamente, è punito chi compie gli stessi atti per procurare l’ingresso di stranieri in altro Stato di cui la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente (c.d. favoreggiamento dell’emigrazione illegale).
Il comma 3 della stessa disposizione prevede una diversa ipotesi, identica quanto alla definizione della condotta a quella di cui al comma 1, che potremmo definire “qualificata per aggiunta” dal ricorrere delle seguenti circostanze:
- il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di 5 o più persone;
- la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale;
- la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza in Italia;
- il fatto è commesso da 3 o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;
- gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
In questi casi la pena editate è da cinque a quindici anni di reclusione, ferma restando la sanzione pecuniaria di 15.000 euro per ogni persona favorita.
Occorre ancora rammentare che il contrasto giurisprudenziale relativo alla qualificazione in termini di fattispecie autonoma di reato dell’ipotesi di cui al comma 3, ovvero di circostanza aggravante dell’ipotesi base di cui al comma 1, è stato risolto dalla Sezioni unite penali della Cassazione, con la sentenza n. 40982/2018 nel senso che “Le fattispecie previste nell’art. 12, comma 3, d.lgs. 286/98 configurano circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo”.
Il caso concreto esaminato dalla Corte costituzionale nella sentenza 63/2022
Fatta questa essenziale premessa, il fatto storico che ha originato la vicenda in questione riguardava una donna di origini congolesi che si era presentata alla frontiera aeroportuale di Bologna, proveniente da Casablanca, esibendo per lei e per le due bambine al suo seguito (successivamente identificate come figlia e nipote) passaporti senegalesi risultati falsi.
La donna è stata pertanto rinviata a giudizio per violazione dell’art. 12, co. 1, aggravato ai sensi dell’art. 3, lett. d), T.U.I., (utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti), in concorso con il reato di possesso di documenti di identificazione falsi (art. 497 bis, c.p. a sua volta aggravato a perché commesso al fine di commettere il reato di favoreggiamento dell’ingresso illegale, ai sensi dell’art. 61 c.p.).
A dibattimento la difesa dell’imputata aveva sollevato plurime questioni di legittimità costituzionale, due delle quali relative alla cornice edittale; in effetti mentre la pena detentiva per l’ipotesi base va da uno a cinque anni, quella per l’ipotesi aggravata (utilizzo di servizi internazionali di trasporto e documenti falsi) va da cinque a quindici anni: quintuplicata nel minimo e triplicata nel massimo. Di qui il preteso contrasto con il principio di uguaglianza-ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., nonché con il principio di proporzionalità della sanzione penale di cui all’art. 3 e 27, comma 3, Cost.
Il Tribunale di Bologna, con ordinanza resa in data 1.12.2020, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata tale questione, ha disposto la sospensione del processo e la trasmissione degli atti alla Consulta che si è pronunciata con la sentenza in esame, dichiarando l’illegittimità dell’aggravante di cui all’art. 12, co. 3, lett. d), T.U.I. limitatamente alla previsione di avere commesso il fatto “utilizzando servizi internazionali di traporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti”.
Nel giudizio di costituzionalità si è costituita la difesa dell’imputata nel processo di merito, concludendo per il contrasto della disposizione censurata con il principio di uguaglianza-ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., difettando ogni ragionevole giustificazione della risposta sanzionatoria così elevata e sproporzionata della fattispecie aggravata, rispetto alla fattispecie base (art. 12, co. 1, T.U.I.), perchè utilizzare documenti falsi per accedere a mezzi di trasporto internazionali non acuisce il disvalore della condotta posto che si tratta di una modalità del tutto fisiologica di realizzazione della condotta di favoreggiamento dell’immigrazione contra ius che offende il bene giuridico dell’ordinata gestione dei flussi migratori. Peraltro, l’utilizzo di documenti falsi, alterati o illegalmente ottenuti integra la fattispecie codicistica di cui all’art. 497 bis c.p.
Amici Curiae, l’intervento delle associazioni nazionali e internazionali
Con decreto presidenziale sono state ammesse le opzioni scritte di due amici curiae: tre associazioni internazionali senza fine di lucro attive nella promozione dei diritti umani e nella tutela dei migranti (ECRE, ICJ ed AIRE), e l’Accademia di diritto e migrazioni (ADiM). Le prime, hanno offerto alla Corte una articolata ricostruzione del quadro normativo internazionale ed europeo di riferimento, evidenziando come nessun obbligo gravi sugli Stati in ordine alle ipotesi aggravate oggetto di censura, posto che l’art. 3, § 6 del Protocollo di Palermo vincola gli Stati parte a prevedere circostanze aggravanti in sole due ipotesi relative alla messa in pericolo della vita o dell’incolumità dei migranti coinvolti, e alla loro esposizione a trattamenti inumani o degradanti, incluso lo sfruttamento. Sicché le due ipotesi aggravate oggetto di censura costituiscono una libera scelta del legislatore italiano (senza che se ne trovi traccia nei lavori preparatori).
L’amicus curiae ADiM, dal canto suo, dopo avere sottolineato la novità assoluta della questione sollevata, ha precisato che la natura di circostanza aggravante della disposizione censurata non la sottrae al rispetto del principio di offensività e proporzionalità ( contrastando così la tesi, proposta dall’interveniente Avvocatura erariale, secondo cui l’ampia forbice sanzionatoria consentirebbe al giudice di adeguare la sanzione alla gravità del fatto in concreto ritenuto, mediante il bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti). Inoltre, secondo un’interpretazione sistematica dell’art. 12 T.U.I., l’utilizzo di mezzi internazionali di trasporto e di documenti falsi costituisce una modalità fisiologica di realizzazione del reato che non lo caratterizza, per ciò solo, di maggior gravità. Con riferimento poi alla natura dei beni giuridici protetti, ADiM evidenzia che le circostanze aggravanti di cui ai commi 3 e 3 bis dell’art. 12 T.U.I. non tutelano solo l’ordine pubblico o la tutela dei confini, ma pure i diritti delle persone trasportate e illegalmente introdotte in Italia ( o nel diverso Stato estero di destinazione): consegue che, sotto questo profilo, le circostanze oggetto di censura sono caratterizzate da minor disvalore, invece di una maggiore intensità offensiva rispetto alla fattispecie base di cui al comma 1 dell’art. 12 T.U.I. (a differenza di altre ipotesi aggravate, come l’esposizione a pericolo per la vita o l’integrità fisica del migrante, o la sua esposizione a trattamenti inumani o degradanti).
Favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, la Corte costituzionale esamina l’art. 12 del Testo Unico immigrazione
La motivazione della sentenza n. 63/2022, pubblicata il 10 marzo è davvero eccellente, sia per chiarezza espositiva che per l’approfondita analisi dell’istituto.
Infatti, è premessa non solo una esauriente disamina dello sviluppo storico del delitto di favoreggiamento delle migrazioni illegali, dalla “legge Martelli”del 1990 fino alla versione attualmente vigente modificata con L. n. 94/2009, ma pure un’attenta ricostruzione delle norme internazionali e unionali vincolanti per l’Italia.
Venendo al merito della questione, la sentenza osserva in linea generale come l’intera gamma delle ipotesi delittuose previste dall’art. 12 T.U.I. ha quale comune oggetto di tutela l’ordinata gestione dei flussi migratori, definito, al lume della giurisprudenza costituzionale (cfr. sent. 250/2010), come bene giuridico “strumentale” per il cui tramite il legislatore attua una protezione avanzata di un insieme di beni pubblici “finali” di sicuro rilievo costituzionale, quali gli equilibri del mercato del lavoro, le limitate risorse del sistema di sicurezza sociale, l’ordine e la sicurezza pubblica. E’ proprio alla tutela di questi beni che sono funzionali gli obblighi stabiliti dall’Unione europea (decisione quadro 2002/946/GAI e direttiva 2002/90 CE) che riguardano l’obbligo, per gli Stati membri, di prevedere sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive verso chi intenzionalmente aiuti un cittadino di uno Stato terzo a entrare o a transitare illegalmente nel territorio di uno Stato membro.
In tale prospettiva, dal punto di vista del trattamento sanzionatorio, il legislatore italiano si è attestato, a partire dal 2004, su una cornice edittale da uno a cinque anni di reclusione per l’ipotesi base ( art. 12, co. 1, T.U.I.), che si innalza bruscamente per le ipotesi aggravate di cui al comma 3: da cinque a quindici anni di reclusione (ulteriormente aumentate nelle ipotesi di cui ai commi 3 bis e 3 ter).
Già con sentenza n. 142/2017 la Consulta chiarì che tali ipotesi aggravate “sono volte anzitutto, se non esclusivamente, a tutelare le persone trasportate, che spesso versano in stato di bisogno, anche estremo”, oltre che tutelare il bene giuridico “strumentale” cui s’è appena fatto cenno.
Immigrazione illegale tramite aereo di linea: irragionevole l’aggravante
In tal prospettiva sicuramente rientrano le circostanze aggravanti relative all’esposizione del migrante a pericoli per la propria vita o incolumità, e a maggior ragione a trattamenti inumani o degradanti, al pari di quella – prevista al comma 3 bis – dell’introduzione del migrante nel territorio dello Stato al fine di destinarlo allo sfruttamento sessuale o lavorativo.
Analogamente, pare evidente la natura plurioffensiva per le ipotesi aggravate inerenti il numero di persone favorite ( cinque o più di cui all’art.12, co. 3, lett. a), ovvero la disponibilità di armi o esplosivi ( co. 3, lett. e), ovvero ancora l’aver commesso il fatto da tre o più persone in concorso tra loro), che richiamano scenari di criminalità organizzata nel traffico internazionale di migranti, per le quali la decisione quadro 2002/946/GAI richiede agli Stati membri di prevedere sanzioni detentive non inferiori ad otto anni nel massimo.
Ma un’analoga giustificazione dell’elevato inasprimento sanzionatorio non pare ravvisabile nelle ipotesi oggetto di scrutinio.
Ad avviso della Corte “ non pare ragionevolmente ravvisabile un surplus di disvalore del fatto commesso mediante l’utilizzazione di servizi internazionali di trasporto rispetto alla generalità dei fatti riconducibili alla fattispecie base di cui al comma 1: una tale modalità di commissione non offende alcun bene giuridico ulteriore rispetto a quello tutelato al comma 1 (l’ordinata gestione dei flussi migratori), né rappresenta una modalità di condotta particolarmente insidiosa o tale da creare speciali difficoltà di accertamento da parte della poliziani frontiera”.
Immigrazione irregolare e documentazione falsa, irragionevole la diversità di trattamento con altre fattispecie
Quanto all’utilizzo di documenti falsi, alterati o illecitamente ottenuti, non v’è dubbio che tale condotta abbia una connotazione offensiva ulteriore rispetto alla fattispecie base: la fede pubblica. Ma è il confronto con le pene previste dalle fattispecie codicistiche in materia di falsità in atti e personali che consente di ritenere irragionevole un trattamento sanzionatorio da cinque a quindici anni di reclusione. La generalità dei delitti di falsità in atti è punita con pene che non superano, nel minimo, la soglia di un anno di reclusione. Il delitto di contraffazione o alterazione del permesso di soggiorno di cui all’art. 6, co. 6 bis, T.U.I. prevede una cornice edittale da uno a tre anni di reclusione, mentre il possesso di documenti falsi validi per l’espatrio di cui all’art 497 bis c.p. (peraltro contestato all’imputata nel giudizio di merito) va da due a cinque anni di reclusione, limitatamente al possesso di documenti falsi e con esclusione di quelli autentici ma illecitamente ottenuti, che invece rientrano nella fattispecie scrutinata.
Pertanto, la previsione di una sanzione edittale così elevata per un fatto ordinariamente punibile da uno a cinque anni di reclusione, solo in considerazione dell’utilizzo di documenti falsi, di assoluta anomalia intrasistematica rispetto alle scelte sanzionatorie tanto del codice penale, quanto della legislazione di settore.
Altruismo o sfruttamento, l’obiettivo cambia il contesto e la sanzione
Infine, la Corte osserva come fin dalla legge “Martelli” la norma incriminatrice abbia progressivamente differenziato il trattamento sanzionatorio in due distinte classi di condotte: le condotte adiuvanti l’ingresso nel territorio dello Stato (o di altro Stato) di singoli stranieri “per finalità in senso lato altruistiche”, e le condotte poste in essere per fini di lucro da gruppi criminali organizzati nei confronti di un ampio numero di persone, queste ultime punite con maggior rigore.
Osserva altresì come i due tipi criminologici siamo tenuti distinti anche dalle fonti sovranazionali vincolanti per l’Italia: mentre il Protocollo di Palermo ha di mira il traffico internazionale di migranti, gestito dalla criminalità organizzata, la decisione quadro 2009/946/GAI e la direttiva 2002/90/CE prevedono gli obblighi di incriminazione in misura distinta tra le due classi di condotte, prevedendo l’obbligo di sanzioni severe soltanto per quelle condotte riconducibili al traffico di migranti.
In questo contesto la Corte intelligentemente si interroga sulla posizione del migrante rispetto a questi due gruppi: mentre rispetto al favoreggiamento “individuale” o “altruistico” previsto dal comma 1 dell’art. 12, T.U.I. lo straniero favorito è in qualche misura beneficiario della condotta illecita, invece nelle ipotesi aggravate lo straniero è vittima della condotta criminosa perché esposto a rischio per la sua vita, a trattamenti inumani e degradanti, a svariate forme di sfruttamento, costretto a pagare ingenti somme per ottenere l’aiuto a varcare le frontiere.
Consegue che la parificazione – quanto al trattamento sanzionatorio – delle condotte oggetto della questione di legittimità con altre condotte coerenti con la tipologia criminologica afferente il traffico internazionale di migranti “costituisce una scelta legislativa manifestamente irragionevole”.
Si ringrazia per il commento l’avv. Guido Savio