Un breve resoconto sull’operato di Malta nella gestione delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, dei centri di detenzione durante la pandemia e sul ruolo politico giocato a livello europeo e negli equilibri dei paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo.
Respingimenti e mancati salvataggi in zona SAR
Preme in primo luogo dare atto della conclusione di un altro drammatico episodio di ‘stallo’ che era in corso alla data dell’ultimo aggiornamento: l’attesa della Open Arms, con 278 persone a bordo è finalmente volta al termine dopo più di dieci giorni dalla prima delle tre operazioni di salvataggio, avvenuta l’8 settembre. A seguito del divieto di ingresso e del rifiuto da parte di Malta e Italia di evacuare 9 persone, la nave è rimasta dinanzi al porto di Palermo in attesa di istruzioni. È stato il drammatico tentativo di 124 migranti in preda alla disperazione di gettarsi in mare per raggiungere le coste italiane a determinare finalmente le autorità a consentire lo sbarco.
Il 2 ottobre sono state soccorse 38 persone in zona SAR maltese. Inizialmente è stata mostrata preoccupazione da parte di Alarm Phone per un possibile respingimento in Libia in ragione della mancata risposta alle segnalazioni fatte all’AFM, che stava coordinando le procedure di salvataggio. In seguito, il portavoce del ministero ha confermato lo sbarco dei migranti soccorsi a Malta, precisando che, data la loro probabile provenienza dal Marocco, le richieste di protezione internazionale sarebbero state esaminate con procedure prioritarie in modo da accelerare le procedure di rimpatrio.
Il 22 ottobre un peschereccio italiano ha soccorso 14 persone in zona SAR di competenza maltese, 13 delle quali di nazionalità libica, di cui due donne e due minori non accompagnati. In tale frangente sia le autorità italiane che quelle maltesi si sono attivate per il salvataggio, azione proseguita con la ricerca di 5 dispersi, tra cui due bambine e una donna incinta.
Una politica pericolosa in violazione dei diritti umani: le denunce della comunità internazionale
L’UNHCR ha riferito di essere stato informato del tentativo di respingimento, da parte delle autorità maltesi, di un’imbarcazione verso la Libia, mentre alcuni migranti detenuti presso i centri di detenzione maltesi hanno denunciato omissioni di soccorso da parte di mercantili, ovvero di essere stati dapprima tratti in salvo e poi ricondotti in Libia, dove sono stati di nuovo trattenuti in centri di detenzione. Le politiche di respingimento maltesi sono inoltre state oggetto di una denuncia presentata al Commissariato per i diritti umani dell’ONU da Border Violence Monitoring Network (BVMN) e Sea Watch.
Significativa è la circostanza che, tra il 2 e il 3 novembre, mentre sono sbarcate a Lampedusa circa 870 persone, tra cui anche 6 cittadini libici giunti autonomamente con una piccola imbarcazione, centinaia di persone sono state intercettate dalla guardia costiera libica e ricondotte in Libia, in virtù di quella che sembra essere una consolidata prassi di ‘non intervento’ da parte delle autorità maltesi e italiane al di fuori delle loro acque territoriali, nel silenzio di Frontex, contro cui è anzi stata promossa un’investigazione da alcuni membri del Parlamento europeo per avere investito in tecnologie messe a disposizione delle autorità libiche per la sorveglianza dei migranti.
In tale contesto si segnala un’azione di risarcimento del danno introdotta contro il governo maltese da 52 migranti ricondotti in Libia (50 direttamente coinvolti e due parenti di persone che hanno perso la vita nelle operazioni).
L’emergenza COVID peggiora le condizioni di detenzione dei migranti
Continuano a destare particolare preoccupazione tanto le condizioni dei migranti all’interno dei centri di detenzione maltesi, quanto la legittimità di questi trattenimenti. La situazione è radicalmente peggiorata in seguito all’inizio della pandemia. In particolare, a marzo, è stata sospesa la possibilità per le ONG di accedere all’interno del centro di detenzione di Safi. L’accesso è stato consentito solamente nel mese di giugno, per tre ore settimanali, e poi nuovamente impedito a partire da agosto. Le persone all’interno del centro, ove sono presenti anche minori, non hanno modo di ottenere informazioni rispetto alla procedura di esame delle loro domande di protezione e nemmeno di accedere ai servizi di base; le carenti condizioni igienico-sanitarie, l’obbligo di restare in luoghi angusti e sovraffollati, con limitato – se non inesistente – accesso a spazi esterni, hanno determinato il verificarsi di tentativi di suicidio e di scontri.
Neil Falzon (Aditus Foundation) e Katrine Camilleri (JRS) hanno denunciato il ritorno ad un sistema di detenzione automatica e priva di base legale, già condannato da diversi tribunali prima dell’emergenza sanitaria. Sei richiedenti asilo, assistiti da Aditus e JRS, hanno instaurato procedimenti volti ad accertare l’illegittimità del loro trattenimento, asseritamente fondato su ‘ragioni sanitarie’ e in ogni caso eccedente il limite di 10 settimane previsto dalla vigente legislazione.
Emblematico è il caso di un richiedente ivoriano che, dopo essere stato soccorso in mare, è stato trattenuto nel centro di detenzione di Safi per 144 giorni, ottenendo poi la liberazione.
Le condizioni di trattenimento dei migranti sono state denunciate anche dall’Alto Commissario delle Nazioni Uniti per i diritti umani Michelle Bachelet in seguito alla missione di un team di funzionari dell’UE condotta nel mese di settembre: sono stati intervistati 76 migranti arrivati dalla Libia e provenienti da 25 Paesi diversi che hanno confermato la precarietà delle condizioni di detenzione e la difficoltà di accedere a diritti e informazioni. L’Alto Commissario ha riferito anche di diverse segnalazioni con riferimento a respingimenti verso la Libia e ‘accompagnamenti’ verso le coste italiane e annunciato lo svolgimento di indagini in merito.
Politica estera: reazioni al Patto UE e relazioni con Libia e Turchia
Malta, al pari di Grecia e Italia, non ha nascosto la sua insoddisfazione per le timide modifiche proposte dalla Commissione europea nel nuovo Patto europeo per l’immigrazione e l’asilo. Accanto al compiacimento curiosamente espresso da Malta con riferimento alle raccomandazioni effettuate dalla Commissione in materia di individuazione del porto sicuro e di non criminalizzazione delle ONG coinvolte in attività SAR, gli elementi di insoddisfazione maltese riguardano ovviamente il mantenimento del criterio del primo ingresso e del carattere volontario della ‘relocation’; quest’ultimo punto dimostra in particolare, ad avviso del Ministro degli interni, che la Commissione non ha fatto abbastanza per garantire la solidarietà tra gli Stati membri.
Nel frattempo, le ‘ricollocazione’ dei migranti giunti a Malta in altri Stati membri continuano, seppure a rilento, con 81 richiedenti asilo trasferiti in Germania e 89 in Francia nelle ultime settimane.
Nella prima metà di ottobre il Ministro degli esteri maltese ha incontrato un gruppo di rappresentanti politici provenienti da diverse parti della Libia al fine di promuovere tentativi di riconciliazione. È evidente il ruolo che Malta sta giocando e si propone di giocare in futuro nelle relazioni tra UE, Libia e Turchia, a maggior ragione alla luce del progressivo controllo che quest’ultima sta assumendo sulla guardia costiera libica.
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