La Corte di Appello di Bari ha pubblicato la sentenza del 30 novembre 2020, n. 2020 che conferma il danno dell’identità cittadina a causa delle condizioni inumane e degradanti rilevate nel CIE di Bari Palese .
In primo grado con sentenza del 10 agosto 2017 n. 4089/2017 Il Tribunale aveva ritenuto realizzato un danno all’immagine e all’identità delle amministrazioni locali (Comune e Provincia) causato dalla presenza di un CIE dove cittadini stranieri erano stati trattenuti in condizioni lesive della loro dignità in contrasto con le norme di legge che presiedono al funzionamento di tali strutture. Tale lesione, affermò il Tribunale, dava diritto alle amministrazioni locali a chiedere il risarcimento del danno a carico del Ministero dell’Interno e della Presidenza del Consiglio dei Ministri o, in caso di inerzia delle amministrazioni locali, ai singoli elettori in qualità di sostituti processuali ai sensi dell’art. 9 , comma 1, Dlgs 267/00.
Due cittadini di Bari avevano avviato l’azione popolare sulla base dell’art. 9 co. 1° d.lgs. 267/00, secondo cui “ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia”.
Dopo una rapida analisi su diversi statuti comunali contenuta nella sentenza, la Corte ha rilevato che quasi ogni grande città italiana enuncia nello statuto non soltanto regole procedurali di funzionamento, ma anche valori che talvolta sono quelli comuni a tutto il Paese, talaltra presentano specificità legate o alla tradizione cittadina o alla peculiare propensione politica. In tale contesto, lo Statuto di Bari contiene una fortissima tensione verso l’apertura a mondi diversi, essenzialmente mediterranei balcanici e del Levante, che non appare né casuale né frutto di pura retorica.
La Corte ha dunque ricordato che la lesione del diritto all’identità della città di Bari assume speciale pregnanza alla luce dello statuto comunale i cui contenuti e la cui sua storia testimoniano l’esistenza di una comunità capace di accoglienza.
La Corte di Appello, nel confermare sostanzialmente la sentenza di primo grado e, così, l’esistenza di trattamenti inumani e degradanti in capo ai trattenuti relativamente ad un certo periodo di tempo ha ricordato che “le rivolte e gli scioperi della fame degli ospiti del CIE di Bari Palese, in quanto frutto dell’evidente inadeguatezza della struttura, non sono tuttavia irrilevanti al fine della valutazione del danno agli enti esponenziali“.
“In siffatta situazione, che pure deriva in ultima analisi dalla legge e dalla normativa eurounitaria, lo Stato deve fare di tutto non solo per limitare la permanenza nei Centri allo stretto indispensabile, ma anche per renderla comprensibile e umanamente tollerabile.”
“Tenuto conto dell’esclusione delle altre voci, si ritiene quindi di liquidare il danno da lesione dell’identità cittadina nella somma di € 20.000,00, che appare adeguata da un lato alla lunga durata della non lieve violazione dell’identità di città accogliente, e dall’altro alla correttezza del comportamento processuale degli organi statali e alla novità delle questioni”.
La presente causa involge temi di grande rilevanza sia giuridica che politica, sociale e umanitaria, che toccano corde profonde della vita di una comunità, nazionale o locale che sia, afferma la Corte a testimonianza dell’importanza degli argomenti qui trattati.
Si veda anche: La Gazzetta di Bari, Cie lager e danno all’immagine Il Ministero dell’Interno condannato anche in appello