Secondo il Tribunale di Roma anche i cittadini extra UE irregolarmente soggiornanti hanno diritto a percepire il sussidio distribuito dal Comune per acquistare i beni di prima necessità.
La vicenda riguarda un nucleo familiare filippino costituito da genitori, tre figli minori, tutti sprovvisti di permesso di soggiorno e di residenza, ma domiciliati da diversi anni presso il Comune di Roma. Entrambi i genitori hanno sempre svolto regolare attività lavorativa fino alla scadenza del permesso di soggiorno; inoltre, in conseguenza dello scoppio dell’emergenza sanitaria, si sono improvvisamente trovati in in una situazione di forte precarietà e indigenza avendo dovuto interrompere la propria attività lavorativa senza tuttavia godere di alcun ammortizzatore sociale.
La pronuncia, seppur non ancora definitiva, ha il pregio di ricondurre il diritto all’alimentazione nell’alveo dei diritti fondamentali sanciti dall’art. 2 della Costituzione secondo cui “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Il buono spesa, infatti, è stato istituito nell’emergenza sanitaria in atto proprio per garantire alle persone più vulnerabili la possibilità di soddisfare un bisogno primario che va ricondotto tra i diritti fondamentali di cui all’art. 2 Cost.
La Giudice Albano, nel ricostruire la disciplina dei diritti fondamentali degli stranieri, tiene conto dell’importante evoluzione giurisprudenziale intervenuta soprattutto in materia di diritti sociali degli stranieri, ribadendo il principio affermato da tempo dalla Corte Costituzionale inerente il carattere universalistico dei diritti umani fondamentali per cui “esiste un nucleo “minimo” di questi diritti che non può essere violato e spetta a tutte le persone in quanto tali, a prescindere dalla regolarità del soggiorno sul territorio italiano“.
Si legge infatti nel provvedimento che “anche nella disciplina dei diritti sociali, nella quale pure la discrezionalità del legislatore è molto più ampia che nella disciplina dei diritti di libertà – perché sono richiesti l’uso e la allocazione di risorse scarse – il diverso trattamento deve essere giustificato da ragioni serie e non deve, comunque, violare quel nucleo di diritti fondamentali che, appunto, vengono definiti “inviolabili””.
Pertanto, la Giudice ammette al beneficio del buono spesa il nucleo familiare irregolarmente soggiornante sul territorio italiano e qui radicatosi in base al solo domicilio, in quanto trattasi di misura emergenziale introdotta a tutela di un diritto fondamentale, tra cui quello all’alimentazione e alla vita stessa, che non ammette discriminazioni e che pertanto bisogna riconoscere e garantire a tutte le persone, a prescindere dalla loro presenza regolare sul territorio o da specifici requisiti quale quello della residenza, e a maggior ragione nel caso di specie in cui sono tra l’altro coinvolti tre minori, soggetti particolarmente vulnerabili e meritevoli di tutela.
Si tratta di un’importantissima pronuncia che costituisce un precedente in un panorama nazionale in cui, la maggior parte dei Comuni, richiede il requisito della residenza per poter erogare il bonus spesa.
foto da Pixabay