I Tribunali di Brescia e Ferrara, rispettivamente con decreto del 28 aprile u.s. e con ordinanza depositata in data odierna, hanno dichiarato discriminatoria la delibera del Comune di Bonate Sopra-BG (il primo) e di Ferrara (il secondo) che limitava l’accesso ai buoni spesa destinati al sostegno delle famiglie colpite dall’emergenza COVID ai soli stranieri in possesso del permesso di soggiorno per lungo soggiornanti, escludendo quindi i titolari di un permesso ordinario per famiglia o lavoro, i titolari di protezione internazionale, i richiedenti asilo.
In entrambi i casi il Tribunale ha accertato il carattere discriminatorio della condotta tenuta dai Comuni con la quale erano stati adottati criteri e modalità di selezione delle domande per l’erogazione delle risorse da destinare a misure urgenti di solidarietà alimentare sotto forma di “buoni spesa”, ai sensi dell’ Ordinanza della Protezione civile 658/2020, nella parte in cui tali criteri contenevano, per gli stranieri extra UE, il requisito del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo “anziché dei soli requisiti relativi alla condizione di disagio economico e alla domiciliazione nel territorio comunale.”
Bonate Sopra e Ferrara erano infatti due dei pochi Comuni in tutta Italia che avevano scelto di “selezionare” gli stranieri richiedendo loro un requisito di lungo residenza pur a fronte di una prestazione di assoluta emergenza, destinata a rispondere alle immediate esigenze alimentari derivanti dal blocco delle attività.
In primo luogo il Tribunale di Brescia, nel ricostruire il quadro normativo relativamente agli aiuti alimentari per acquistare beni alimentari e di prima necessità, ricorda la discrezionalità limitata dei Comuni nella fissazione dei criteri di accesso alla prestazione.
Secondo la Giudice (dott.ssa Pipponzi) il criterio indicato dal Comune di Bonate Sopra è “precluso dall’Ordinanza governativa” ed è anche illogico perché esclude proprio gli stranieri più bisognosi che, proprio per carenza di un reddito minimo, non hanno ancora avuto accesso al permesso di lungo periodo. E aggiunge che comunque gli aiuti alimentari costituiscono misure emergenziali volte a soddisfare le difficoltà economiche delle persone maggiormente vulnerabili nel rispetto del “diritto all’alimentazione che costituisce il presupposto per poter condurre un’esistenza minimamente dignitosa e la base dello stesso diritto alla vita e alla salute, quindi che appartiene a quel nucleo insopprimibile di diritti fondamentali che spettano necessariamente a tutte le persone in quanto tali;”
Il ricorso era stato proposto dalle associazioni ASGI e da Fondazione GUIDO PICCINI per i diritti dell’uomo ONLUS – con il patrocinio degli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri – in rappresentanza della generalità degli stranieri e dunque la decisione riguarda tutti gli stranieri finora esclusi a causa della clausola sul titolo di soggiorno. La Giudice ha però anche sancito che il riferimento deve essere quello del mero domicilio sul territorio e non della iscrizione anagrafica, con ciò imponendo al Comune di tenere conto anche delle persone bisognose che per qualsiasi motivo non hanno potuto iscriversi all’anagrafe: sotto questo aspetto la decisione non potrà che essere applicata dal Comune anche agli italiani, che non potrebbero ovviamente ricevere un trattamento più limitativo rispetto a quello degli stranieri.
Con motivazioni praticamente analoghe decide il Tribunale di Ferrara (Giudice dott. Martinelli), che dopo un’attenta ricognizione della giurisprudenza costituzionale in materia di accesso alle prestazioni di assistenza sociale, esclude la prevalenza dell’art. 80 della l. n. 388/2000 (come invece prospettato dal Comune convenuto), “sia perché la disposizione non ha abrogato l’art. 41 TUI, sia perché la stessa disposizione prevede che per le “prestazioni e servizi sociali l’equiparazione con i cittadini italiani è consentita a favore degli stranieri che siano almeno titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno”, sia, infine, perché disposizione “martoriata” dalle continue pronunce della Corte Costituzionale.“
Le Associazioni che hanno promosso i ricorsi esprimono soddisfazione per queste importanti pronunce che fanno seguito ad altra analoga del Tribunale di Roma e aprono la strada al riconoscimento di un welfare universale che si basi – soprattutto in questo periodo di emergenza – sul criterio dell’effettivo bisogno (in ossequio alle indicazioni della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 44/2020) e non su presunti requisiti di “radicamento” sul territorio locale o nazionale.
“Sarebbe bello – dicono gli avvocati – se la politica anziché leggere la decisione del giudice come un’offesa al potere politico locale, provasse a riflettere sul messaggio che viene da decisioni come questa: cioè che in epoca di emergenza le parole d’ordine del tipo “prima i nostri” sono contrarie non solo al diritto, ma anche al buon senso comune perché di fronte all’emergenza di un virus che si muove senza badare ai confini, è illogico continuare a favorire divisioni nelle comunità territoriali che danneggiano non solo gli stranieri, ma anche chiunque “venga da fuori”, da un altro Comune o da un’altra Regione.”