#1 React – Diritti in pratica – Come reagire ai rimpatri di persone vulnerabili dalla Libia

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Inizia con questo contributo la pubblicazione di una serie di spunti operativi di pratiche e contenzioso strategico per reagire contro le illegittimità e le violazioni dei diritti dei cittadini stranieri in fuga dai loro paesi di origine o di transito. 

Con React – il Diritto in pratica vogliamo descrivere in modo sintetico ma completo come abbiamo deciso di affrontare i casi di respingimento in mare, di rimpatri “volontari” dalla Libia dei rifugiati, della cooperazione italiana nelle violazioni delle autorità libiche, delle restrizioni della libertà di movimento e di asilo dei cittadini stranieri, del monitoraggio dei fondi pubblici nei paesi di transito e del loro possibile sviamento. 

Questo è un invito a leggere e replicare queste azioni.

Per un motivo principale: se siamo in tanti a capire che ci sono violazioni e aumenta la consapevolezza della nostra società, se in tanti agiamo in modo coordinato per chiedere il rispetto dei diritti dei cittadini stranieri in movimento, potremo cambiare veramente le cose.

Rimpatri di persone sottoposte a tratta, minori e rifugiati dalla Libia: le violazioni del principio di non-refoulement nei rimpatri cd. volontari assistiti

Di cosa si parla

Le persone straniere vulnerabili, come le persone sottoposte a tratta, i minori non accompagnati, i richiedenti asilo presenti in paesi di transito quali Libia, il Niger, la Tunisia vengono rimpatriate nei loro Paesi di origine sulla base di programmi di rimpatrio volontario assistito generalmente implementati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e parte delle politiche di esternalizzazione dei Governi europei.

Diversi organi delle Nazioni Unite si sono espressi per criticare questi programmi che interessano le persone migranti a partire dai Paesi di transito dove si riscontrano:

– l’assenza di alternative per regolarizzare la propria posizione nel paese,

– la sottoposizione a regimi detentivi prolungati e/o arbitrari,

– le condizioni di vita degradanti.

Tutto questo può determinare l’impossibilità per le persone migranti di esprimere in modo libero la propria volontà ad essere rimpatriati . Tuttavia, in determinati contesti, in primo luogo in quello libico, il rimpatrio cd. volontario diventa l’unica alternativa alla detenzione e a condizioni di sfruttamento e violenza indiscriminata.

Tra le persone che in Libia sono maggiormente sottoposte a tale dinamica, vi sono le donne sottoposte a tratta provenienti dalla Nigeria. I programmi di evacuazione e protezione attivi in Libia sono infatti riservati alle persone appartenenti a nove nazionalità, tra cui non è presente quella nigeriana. A fronte delle forti limitazioni imposte all’uscita dal paese grazie alla cooperazione e all’equipaggiamento della cd. Guardia costiera libica da parte dei paesi europei e dall’Italia, per le donne nigeriane sottoposte a tratta l’unico modo per uscire dal paese e sottrarsi quindi agli abusi è il ricorso al rimpatrio cd. volontario assistito. In questo modo sono tuttavia esposte al rischio di essere nuovamente trafficate. A simili rischi in caso di rientro nel proprio paese di origine sono sottoposti i minori che intraprendono da soli il viaggio.

Per maggiori informazioni sulle criticità dei rimpatri volontari delle donne sottoposte a tratta e sull’espansione dell’uso del rimpatrio volontario:

Cosa è stato fatto

Nel dicembre del 2021 sono state presentate, in collaborazione con il NULAI, due comunicazioni individuali al Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne delle Nazioni Unite (CEDAW).

Le comunicazioni riguardavano due donne nigeriane che sono state sottoposte a tratta e schiavitù in Libia e successivamente rimpatriate in Nigeria dove hanno intrapreso programmi di “reintegrazione” estremamente carenti, insufficienti da un punto di vista economico per tutelarle dal rischio di refoulement e che non prevedevano alcun sostegno di tipo medico o psicologico a fronte delle violenze e delle torture subite in Libia. Il ritorno, secondo le ricorrenti, è stato quindi effettuato senza un’adeguata valutazione del rischio di refoulement. Il ricorso è stato proposto contro la Libia e l’Italia, la seconda in particolare in quanto le politiche di blocco italiane hanno impedito la fuga dal paese e determinato la detenzione delle ricorrenti, che, a seguito delle intercettazioni operate dalla cd. Guardia costiera libica in mare, sono state reimmesse in dinamiche di detenzione, compravendita e sfruttamento da parte di attori privati e statali.  Inoltre, il finanziamento italiano ad OIM è stato erogato sebbene l’Organizzazione non abbia fornito adeguate garanzie sulla protezione delle persone rifugiate e ha di fatto permesso il rimpatrio delle stesse. Il ricorso è stato sostenuto dal parere legale redatto dalla International Protection of Human Rights del Dipartimento di giurisprudenza dell’Università Roma 3.  

Cos’altro si può fare?

ASGI sta preparando una comunicazione individuale al Comitato ONU dei fanciulli contro l’Italia per la detenzione in Libia ed il rimpatrio volontario nel paese di origine di minori stranieri non accompagnati e/o vittime di tratta.

Il ricorso seguirà l’impostazione utilizzata per le comunicazioni presentate al CEDAW, ripercorrendo le responsabilità italiane in relazione al blocco delle partenze dalla Libia e al finanziamento in assenza di adeguate garanzie dei programmi di rimpatrio cd. volontario assistito effettuati da OIM.

Avvocatə, operatorə legali, altre figure professionali che sono in contatto con persone che hanno vissuto tali esperienze, possono valutare, insieme alle persone migranti, la possibilità di presentare questo genere di comunicazione per ampliarne la portata e rafforzarne gli effetti.

Entrambi i ricorsi possono essere infatti proposti anche per vittime di tratta o minori che siano stati detenuti e/o ridotti in schiavitù in Libia i quali siano poi giunti in Italia.

In caso di arrivo in Italia, le comunicazioni si concentrerebbero sulle violazioni sofferte dalle persone migranti a causa dell’impossibilità di lasciare il paese a causa dell’aumentata capacità delle forze di sicurezza libiche di intercettare le imbarcazioni e di bloccare le partenze grazie ai finanziamenti italiani. 

Cosa vogliamo ottenere

La moltiplicazione di questi ricorsi renderebbe evidente la sistematicità delle violazioni portate all’attenzione dei Comitati ONU, rafforzando anche la consapevolezza della società civile nazionale e internazionale in relazione alle criticità delle politiche di blocco della mobilità e dei programmi di rimpatrio cd. volontario.


Quest’azione rientra nell’ambito del progetto Sciabaca&Oruka promosso dall’ASGI per contrastare le politiche che limitano illegittimamente la libertà di movimento e il diritto di asilo.

Contatti : sciabacaoruka@asgi.it

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